TEATRO ALLA SCALA: Les contes d’Hoffmann – Jacques Offenbach, 28 marzo 2023

TEATRO ALLA SCALA: Les contes d’Hoffmann – Jacques Offenbach, 28 marzo 2023

LES CONTES D’HOFFMANN

JACQUES OFFENBACH

 Nuova produzione Teatro alla Scala


 

Direttore Frédéric Chaslin

Regia Davide Livermore

 

Personaggi e interpreti:

  • Olympia Federica Guida
  • Giulietta Francesca Di Sauro
  • Antonia Eleonora Buratto
  • Stella Greta Doveri
  • Hoffmann Vittorio Grigolo
  • Lindorf/Coppélius/Miracle/Dapertutto Luca Pisaroni
  • Nicklausse/La Muse Marina Viotti
  • Hermann/Schlémil Hugo Laporte
  • Andrés/Cochenille/Frantz/Pitichinaccio François Piolino
  • Luther/Crespel Alfonso Antoniozzi
  • Spalanzani Yann Beuron
  • Nathanaël Néstor Galván

 

Scene Giò Forma

Ombre Controluce Teatro d’Ombre

Costumi Gianluca Falaschi

Luci Antonio Castro

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Maestro del Coro Alberto Malazzi

 

 


photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala

Dopo undici anni Les Contes d’Hoffmann torna alla Sala del Piermarini in una nuova produzione firmata da Davide Livermore, il quale alla Scala è di casa per la presenza in cartello; con lui la sua squadra:  il gruppo Gio Forma, responsabile della scenografia, Gianluca Falaschi che firma i costumi, Antonio Castro le luci e, ora, la compagnia torinese Controluce per effetti visivi e mimici.  Molto rumore per nulla per uno spettacolo deludente, confuso e noioso. Lo prelude la tomba di Hoffmann, che tuttavia appare in un alter ego seduto davanti alla macchina da scrivere, con un bicchiere di whisky e sigaretta (tic inveterati di Livermore), per continuare con uno sfortunato atto di Olympia senza né spirito né, tantomeno, mistero; più compiuta forse quello di Antonia, ma totalmente strampalato quello di Giulietta – lei incrocio tra Marilyn Monroe e Marlene Dietrich – popolato da ombrelli e assordato da colpi di pistola che la feriscono mortalmente, oltre che il malcapitato Schlémil, lasciando superstite Pitichinaccio, in travesti sorta di Berta nel  Barbiere di Siviglia, cui Dappertutto consegna il scintillante diamante. Una vela  di voile di seta (vai a saperne il costo!) copre per alcuni istanti la platea simulando le onde della barcarola, effetto che forse non sfigurerebbe allo Spazio 89 o al parrocchiale Teatro Rosetum. Al monocromatismo bianco e nero si aggiungano altri dettagli che presto saranno dimenticati in uno spettacolo da accantonare. Alla “prima” è stato contestato non senza ragione.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala

La stessa sorte è toccata al direttore Frédéric Chaslin, che tuttavia vanta una lunga frequentazione proprio de Les Contes. La critica l’ha impietosamente censurato, ma gli va almeno riconosciuto l’innegabile mestiere (del maniscalco, hanno aggiunto altri) e se alcuni tempi sono sembrati eccessivamente affrettati ed altri troppo allungati, non mi pare un delitto; una direzione accettabile in un questo contesto dove il coro, istruito con cura da Alberto Malazzi, è perennemente fisso in scena, poiché i movimenti sono affidati all’abbondante e troppo spesso ingombrante figurazione, e orchestra hanno dimostrato di essere all’altezza del compito.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala

Molti hanno arricciato il naso per la versione scelta, un misto della vetusta, ma liberamente circolante, edizione Choudens con recitativi di Guiraud, della successiva, ma ormai sorpassata, Oeser, con in aggiunta qualche reperto di quella Kaye. Presumibilmente si tratta di un “pasticcio offenbachiano” che ha procacciato diritti a chi lo ha confezionato. E così si è ascoltato nell’atto di Olympia il bolero di Nicklausse “Voyez-la  sous  son éventail”, l’aria di Coppelius trasformata in terzetto, la Romance: “Vois, sous l’archet frémissant” nell’atto di Antonia, e incidentalmente l’apocrifo ” Scintille diamant” e il non meno falso settimino “Hélas!  Mon coeur s’égare encore”; per fortuna anche il finale “Des cendres de ton coeur”, che oggi come oggi è imprescindibile.  Tuttavia questi cambiamenti ed aggiustamenti non sono colti dalla maggior parte del pubblico e sono, dal mio punto di vista, ininfluenti  in un’opera postuma ed incompleta, la cui identità rimarrà indefinita per sempre.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala

Trionfante a pieno diritto Vittorio Grigòlo: voce ben impostata, timbro splendido, accattivante come interprete. Alcuni lo hanno accusato di dare un’immagine troppo leggera, “alla Claudio Villa”. Tenendo conto che il celeberrimo Reuccio fu, in pratica, un “tenore rubato alla lirica” (parola di Rodolfo Celletti col quale una tantum concordo) ciò va preso come un  complimento. Nodimeno Grigólo ha  obbedito ad una direzione scenica che in più punti lo ridicolizza e lo riduce ad una sorta di chansonnier da Cabaret di provincia. Ciò nonostante, ne è uscito vittorioso nell’impegno, festeggiato con entusiasmo dal pubblico. A seguire tra le quattro dame, la perfetta Antonia di Eleonora Buratto, soprano lirico di squisita linea di canto, appassionata e partecipe scenicamente. Federica Guida, accettabile Olympia seppure assai penalizzata dalla regia, anche se gli estremi acuti tendono al grido; corretta Francesca Di Sauro Giulietta e anche la madre di Antonia e così la meteorica Stella, allieva dell’Accademia della Scala, Greta Doveri. I quattro ruoli malvagi sono stati affidati a Luca Pisaroni, perennemente al suo fianco un nano che fuma un sigaro (?!); bene in generale, ma a corto di fiato nell’aria di Dappertutto, che gli va molto stretta.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala

Marina Viotti ha ripetuto la sua ben nota interpretazione di Musa / Nicklausse, ma va detto che nelle recite al Teatre Liceu fu più apprezzata.  François Piolino, in travesti, ha coronato con strilletti fuori ordinanza i quattro personaggi, dimostrando chiari limiti vocali nei couplets di Franz, senza caratterizzare adeguatamente le parti di Andrés, Cochenille e Pitichinaccio. Molto bene, invece, il Luther e poi Crespel di Alfonso Antoniozzi, veterano artista apprezzabile in scena e per la voce che si impone per fraseggio ed accento; notevole per voce pure il baritono canadese Hugo Laporte, nelle parti di Hermann e Schlémil. Yvan Beuron, Spalanzani, Néstor Galván, Nathanaël e Alberto Rota, basso che canta “La harpe”, hanno completato il cast.

Andrea Merli

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