MADRID: La sonnambula – Vincenzo Bellini, 3 – 4 gennaio 2023
LA SONNAMBULA
Melodramma in due atti
Musica Vincenzo Bellini (1801-1835)
Libretto di Felice Romani, tratto dal balletto -pantomine de La Somnambule , ou l’arrivée d’un nouveau seigneur di Eugène Scribe
Prima rappresentazione al Teatro Carcano di Milano il 6 marzo 1831
Prima al Teatro Real il 10 dicembre 1850
Nuova produzione del Teatro Real , in coproduzione con il New National Theatre Tokyo , il Gran Teatre del Liceu di Barcellona e il Teatro Massimo di Palermo
direttore Maurizio Benini
Regia Barbara Lluch
Personaggi e Interpreti:
- Lisa Rocío Pérez – 15, 18, 23, 26, 29 dicembre; 2, 4 gen, Serena Saenz – 16, 19, 27, 30 dicembre; 3, 6 gen
- Alessio Isacco Galan
- Amina Nadine Sierra – 15, 18, 23, 26, 29 dicembre; 2 gen, Jessica Pratt – 16, 19, 27, 30 dicembre; 3, 4, 6 gennaio
- Teresa Monica Bacelli – 15, 18, 23, 26, 29 dicembre; 2, 4 gen, Gemma Coma-Alabert – 16, 19, 27, 30 dicembre; 3, 6 gen
- Notaio Gerardo Lopez
- Elvino Xabier Anduaga – 15, 18, 23, 26, 29 dicembre; 2, 4 gen, Francesco Demuro – 16, 19, 27, 30 dicembre; 3, 6 gen
- Conte Rodolfo Roberto Tagliavini – 15, 18, 23, 26, 29 dicembre; 2, 4 gen, Fernando Radó – 16, 19, 27, 30 dicembre; 3, 6 gen
Scene Christof Hetzer
Costumi Chiara Peluffo
Luci Urs Schönebaum
Coreografia Iratxe Ansa
Direttore del Coro Andres Maspero
Coro Principale e Orchestra del Teatro Real
Teatro Real, 3 / 4 gennaio 2023
La Sonnambula, capolavoro di Bellini chiude idealmente l’anno che finisce ed inaugura con grande successo il nuovo 2023. Si tratta di una nuova coproduzione con il National Theatre Tokio, il Gran Teatre del Liceu e il Teatro Massimo di Palermo. La firma per la regia Bárbara Lluch, nipote d’arte della famosa attrice catalana Nuria Espert. La Lluch torna dopo 14 anni al Teatro Real dove diede i primi passi come attrice spinta dalla zia Nuria Moreno, figlia della Espert, la quale lavora nel teatro con funzioni artistiche. La regista in un’intervista ha dichiarato di aver sofferto abusi sessuali da parte del fidanzato e dunque trasferisce questo suo vissuto alla protagonista. Secondo la Lluch nel terzo millennio eseguendo titoli di oltre duecento anni fa “bisogna prendere posizione”; quindi nega alla candida Amina il lieto fine, poiché dopo essere stata rifiutata dal geloso Elvino e osteggiata da parte di Lisa, non potrebbe più accettare il matrimonio sottinteso nel libretto del Romani, tratto da un precedente balletto-pantomima di Scribe. E dunque Amina, dall’alto del cornicione di una sorta di magazzino (ovviamente dimentichiamoci l’ambiente idilliaco e bucolico svizzero tra monti, fonti, boschi e mulino) alla fine si getta sotto. A completare il quadro manca il grido “Oh Elvino, innanzi a Dio!”, sostituito – questo sì – da un Fa sopracuto lanciato e tenuto mirabilmente con un fiato interminabile dalla protagonista, Jessica Pratt.
Amina ci compare immediatamente, per un’azione mimica che precede la musica, turbata dagli incubi che popolano il suo sonnambulismo. Incubi che si materializzano in nove ballerini / mimi, i quali per altro diventano inutilmente insistenti, anche disturbanti, in interventi fuori luogo (coreografi: Iratxe Ansa e Igor Bacovich). Per giunta passa l’intera opera in camicia da notte, rendendo un po’ pleonastico il fatto che i valligiani invochino “un terribile fantasma” quando è a tutti evidente che lo impersona Amina, la quale per la festa iniziale viene vestita come Nannetta nei panni della Regina delle fate di Falstaff (costumi di Clara Peluffo). Si aggiunga la scena di Christof Hetzer, risolta con uno scarno albero in cui appaiono impiccati due pupazzi che rappresentano gli sposi, presi di mira dalle sassate che tira Lisa, lenzuola stese e tinozza per l’albergo e la scena del Conte, una segheria con macchina a vapore all’inizio del secondo atto. Luci, ben dosate, ma tendenti all’oscurità, quelle di Urs Schonebaum.
Sul versante musicale in due serate si sarebbero dovuti ascoltare i due cast proposti dal Teatro Real. La sera del 3 gennaio ho così potuto apprezzare la bella interpretazione del tenore Francesco Demuro, Elvino, il quale dopo anni di carriera e affrontando un repertorio decisamente lirico (penso a Werther e al Rodolfo della Boheme per limitarmi a due suoi cavalli di battaglia) domina ancora alla perfezione la tessitura proibitiva concepita da Bellini per il mitico Rubini, dove tutto si gioca sul passaggio e con note stratosferiche (tenendo conto che ai tempi il suono era “misto” e dunque col ricorso al “falsettone”) e non di meno gli riesce di fraseggiare con ottimi risultati cercando anche i colori e la soavità che la parte esige. Eseguita quasi integralmente, la partitura gli impone puntature al Re sovracuto preso e tenuto con estrema scioltezza, facilità e vigore, ma sono l’eleganza e la musicalità che lo rendono stilisticamente adeguato. Molto bene la Lisa del soprano Serena Saenz, non a caso piazzatasi seconda all’ultimo concorso Operalia, dotata di un timbro ideale per rendere la spigolosa e a modo suo sensuale e procace padrona dell’albergo, avvantaggiata pure lei dalla riapertura dei tagli. Ben assortiti tanto il basso Fernando Radó, Conte Rodolfo che la Teresa di Gemma Coma-Alberti. Nei ruoli di Alessio e del Notaio sono intervenuti il baritono Isaac Galán ed il tenore Gerardo López.
La sera successiva, il 4 gennaio, si sarebbe dovuta esibire la coppia costituita dal soprano americano Nadine Sierra e dal tenore guipuzcoano Xabier Anduaga, entrambi artisti emergenti e di grande interesse. Lei però, ha rinunciato e dunque la Pratt ha dovuto, tambur battente, sostituirla compiendo così la prodezza di cantare a brevissima distanza l’impegnativa parte. Anduaga si presenta con tutta la sua baldanza giovanile, la voce timbricamente di innegabile bellezza e una potenza di emissione invidiabile, scatenando da subito l’entusiasmo, condivisibile, di tutto il teatro. Nondimeno, ed è una nota che vale per la maggior parte dei giovani, in mancanza di veri preparatori e di Maestri che sappiano indirizzarne le pontenzialità, questo bel giovanotto – l’aspetto fisico gioca innegabilmente a suo favore – andrebbe sostenuto ed indirizzato ad un canto più sfumato e meno stentoreo. Intendiamoci, se ne sottolineano le qualità, ma soprattutto all’inizio, vuoi la tensione vuoi l’adrenalina, vuoi un passaggio troppo alto, è mancato l’afflato amoroso, specie in “Prendi l’anel ti dono” giocato sul forte. Quando vuole (e può) la voce acquista morbidezza nelle mezze tinte e nella modulazione. Però, insisto, lì dovrebbe intervenire e suggerire, vista la giovane età, il concertatore. Detto ciò e rimarcando che ha prudentemente evitato le puntature al Re acuto, va detto che la sua prestazione ha meritato il trionfo che gli è stato tributato.
Il Conte Rodolfo trova in Roberto Tagliavini, basso di Parma che mi vanto di seguire dai primi passi artistici, un’autorevolezza vocale totale, in virtù di una voce emessa a dovere, di colore ambrato e scuro scevra di forzature, agile e disinvolta in acuto. Ma ciò che mi ha piacevolmente sorpreso in questa personificazione di un Don Giovanni di Paese, sfortunato come il sivigliano sul piano delle conquiste femminili, ma baldanzoso quanto ironico e scherzoso, è stata la resa interpretativa che lo ha messo in primissimo piano. Lo stesso dicasi per l’ottima Teresa di Monica Bacelli, un lusso disporre di una così solida professionista. Rocio Pérez è stata una puntuale Lisa, anche lei applauditissima
Ottima la prestazione del coro “Intermezzo”, titolare del Teatro Real istruito dal valente Maestro Andrés Máspero e pure molto bene l’orchestra, ubbidiente alla direzione di Maurizio Benini. Una lettura caratterizzata da tempi a tratti estenuanti, soprattutto per i due protagonisti, da strette precipitose a conclusione di arie e concertati e comunque sufficiente a mantenere un buon ritmo narrativo.
Buona ultima la prestazione, ripetuta, di Jessica Pratt. Il soprano australiano, ormai di fatto italiano per matrimonio e residenza e carriera, ha sulle spalle molte recite di quest’opera meravigliosa e domina il ruolo in maniera totale. Nonostante la regia la esponga a situazioni improponibili in Italia (penso a tutta la scena finale sul ballatoio senza ringhiera e / o imbracature a due piani d’altezza rispetto al palcoscenico, dove ha dovuto svolgere il sonnambulismo e poi simulare il suicidio, che da noi gli addetti alla sicurezza ed i pompieri del teatro mai accetterebbero) si cala credibilmente in questa non facile regia che le impone tra l’altro di dover interagire fisicamente con i ballerini / mostri dei sogni e la risolve con estrema efficacia attoriale ed abilità da vera equilibrista. Ma è il lato squisitamente musicale e vocale che la rende, oggi come oggi, semplicemente insuperabile in questa parte: oltre alla tenuta dei fiati, all’emissione flautata e senza il benché minimo senso di sforzo pur nelle agilità snocciolate vorticosamente, alle messe in voce in cui si prodiga con suoni eterei e poi rinforzati, ma rispettando le dinamiche e senza ombra di forzatura, oltre alla mirabolante estensione che costella l’esecuzione di sovracuti perfettamente timbrati e sostenuti oltrepassando coro ed orchestra anche nel “tutti”, ciò che è veramente ammirevole è la pertinenza stilistica, la tavolozza di colori, il saper “cambiare” la voce mentre vagola nel sonno e quando poi è desta, all’accento drammatico che, come ho avuto già modo di scrivere dopo i recenti Puritani a Bilbao, fa intravvedere in un prossimo futuro l’evolversi dell’artista verso i ruoli che l’attendono e pretendono: intendo la Trilogia Tudor e anche Norma. Di fatto la vocalità è quella ed ascoltando la Pratt viene spontaneo evocare la Pasta e la Grisi. Certo di loro rimane il mito, ma io me le immagino così.
Andrea Merli