BERGAMO: La Favorite – Gaetano Donizetti, 18 novembre 2022
LA FAVORITE
Opéra en quatre actes di Alphonse Royer e Gustave Vaëz
Musica di Gaetano Donizetti
Prima esecuzione: Parigi, Théâtre de l’Académie Royale de Musique, 2 dicembre 1840
Edizione critica a cura di Rebecca Harris-Warrick
© Casa Ricordi, Milano con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Teatro Donizetti
Direttore Riccardo Frizza
Regia Valentina Carrasco
Personaggi e Interpreti:
- Léonor de Guzman Annalisa Stroppa
- Fernand Javier Camarena
- Alphonse XI Florian Sempey
- Balthazar Evgeny Stavinsky
- Don Gaspar Edoardo Milletti
- Inès Caterina Di Tonno
Scene Carles Berga e Peter van Praet
Costumi Silvia Aymonino
Coreografia Massimiliano Volpini
Lighting design Peter van Praet
Orchestra Donizetti Opera
Coro Donizetti Opera e Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti in coproduzione con l’Opéra National de Bordeaux
Teatro Donizetti, 18 novembre 2022
Torna a Bergamo, dopo la sua prima apparizione nel settembre 1991, di cui colui che firma fu testimone, La Favorite nella sua versione originale francese. Sebbene la diffusione mondiale dell’opera sia dovuta alla sua traduzione in italiano da parte di Jannetti, la preferita dall’editore Ricordi tra le tante disponibili, poiché La Favorita fu presentata in Italia a metà dell’Ottocento con titoli diversi, tra i quali citiamo Leonora di Guzman ed Elda, quest’ultima ambientata in Oriente tra i dervisci, a causa di problemi di censura variabile nei molti stati che componevano l’Italia ancora non unificata, La Favorite può essere considerata “un’altra” opera del compositore bergamasco, come – ad esempio – è Jérusalem, versione francese de I Lombardi alla prima crociata di Verdi.
La nuova produzione è stata affidata a Valentina Carrasco, la scena è di Carles Berga e Peter van Praet, responsbile anche delle luci, i costumi di Silvia Aymonino, le coreografie di Massimiliano Volpini. Partendo dall’apparizione della sivigliana Virgen del Rocio a Santiago de Compostela nelle scene conventuali, dominano il tutto enormi grate, alcune in proscenio altre sullo sfondo; l’attrezzo si riduce principalmente a dei letti a castello ammucchiati su più piani; la regia si sviluppa secondo la convenzione: incrocio del coro, quelli da destra a sinistra e viceversa quando non girano in tondo. Il lavoro sui solisti, tolta qualche azione eclatante ad esempio quando Alfonso trascina per il rosario Leonora come fosse un cane di sua proprietà, passa in secondo piano. L'”idea” vincente, in assenza di un corpo di ballo per le danze del secondo atto offerte nella sua interezza, è stata quella di affidarlo a venticinque dame mature, presumibilmente le precedenti “favorite” del re. Balletto molto ben eseguito, va detto, ottenendo un effetto comico che ci riporta alle Convenienze del Donizetti, recentemente in scena a Novara ed a Savona.
L’interesse maggiore è stato il versante musicale. È la prima volta, in tante Favorita e Favorite ascoltate nella mia già lunga carriera, che ho ascoltato la versione integrale, senza tagli né nelle cabalette né nei concertanti, con l’apertura di pagine assolutamente inedite nei duetti tra Fernand e Léonor, variando e interpolando acuti e cadenze. E ciò grazie alla direzione ricca di passione, ritmo e coinvolgimento, perfetta nella realizzazione delle dinamiche e nella tenuta dei tempi di Ricardo Frizza, il quale ha portato ad ottimi risultati sia l’Orchestra che il Coro dell’Opera Donizetti, integrato dal coro dell’Accademia Teatro alla Scala, rispondenti alla guida di Salvo Sgrò.
Il cast è sembrato esemplare: a partire dalla diligente Ines del soprano Caterina Di Tonno, proseguendo con l’ottimo tenore Edoardo Milletti, Don Gaspar, molto presente nelle sue frasi solistiche e nelle concertanti.
Ciò che ha entusiasmato il pubblico, numeroso e con tanti stranieri, visto che il Festival è diventato decisamente un’attrazione internazionale, è stato il quartetto di sensazionali protagonisti. A cominciare dal basso moscovita Eugenij Stavinskij, Balthasar, dotato di voce ampia, mirabile estensione, bel colore scuro, autorevolezza sia vocale che scenica. Il trentaquattrenne baritono francese Florian Sempey è una garanzia nel repertorio belcantistico. Nobiltà di linea di canto, potenza e forza nella trasmissione: qualità emerse nel recitativo, aria e cabaletta del secondo atto e poi rivelatosi di morbidezza accattivante nel “cantabile” del terzo atto “Pour tant d’amour ne soyez pas ingrate” là dove Alphonse rinuncia alla propria amata.
Trionfi con punte di autentico delirio hanno sollevato sia la protagonista, Annalisa Stroppa al suo debutto di ruolo, sia il tenore Javier Camarena, Fernand. È noto che quest’opera, sia nella sua versione italiana che ancor più nell’integrale francese, si programma qualora si disponga di un tenore fuori serie. È il caso dell’artista messicano, la cui carriera è in continuo crescendo. Possiede voce di qualità sublime, da autentico tenore di grazia, ma dotata di un colore maschio e immune di manierismi o peggio, melensa. La sua linea di canto è pura, immacolata e senza soluzione di continuità nell’emissione, senza che si percepisca il fatidico “passaggio” all’acuto; la sua intensa interpretazione si unisce alla tecnica superiore: un “rospino” quasi impercettibile – incidente che può capitare ai migliori – nell’aria “Ange si pur” dell’ultimo atto, si è trasformato in un’espressione di dolore, per altro subito coronata da poderoso sovracuto. Tutto ciò lo innalza ad un livello superiore per questa parte. Si è sognato così come poteva cantare il primo interprete di Fernand, il leggendario Gilbert-Louis Duprez.
Annalisa Stroppa, s’impone infine come il mezzosoprano acuto ideale per questo ruolo che, se fu Rosine Stoltz alla “prima” del 1840, nel corso degli anni ha visto alternarsi le più illustri colleghe. Sicuramente favorita, è il caso di sottolinearlo, dalla figura slanciata e dalla bellezza, la sua vocalità ha un ché di seducente nel timbro omogeneo in tutta la gamma. Risolve senza apparente sforzo le “puntature” al Do acuto che la parte esige, ma convince soprattutto per la sua fervida interpretazione, dove i sentimenti di amore, pentimento e sacrificio finale acquistano una totale veridicità scenica. Il suo grande momento, recitativo, aria e cabaletta del terzo atto “O mon Fernand! ” è stato accolto da una salva di applausi, ma è stato nel quarto atto, nel duetto finale con Fernand, dove sono stati raggiunti momenti di autentica magia emozionale.
Una serata, insomma, di quelle che riempiono ti colmano la vita e ti mettono in pace con il mondo intero.
Andrea Merli