COMO: La Gioconda – Amilcare Ponchielli, 10 novembre 2022

COMO: La Gioconda – Amilcare Ponchielli, 10 novembre 2022

LA GIOCONDA

AMILCARE PONCHIELLI

Melodramma in quattro atti. Libretto di Arrigo Boito.
Musica di Amilcare Ponchielli
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 8 aprile 1876


Direttore Francesco Ommassini

Regia e scene Filippo Tonon

Personaggi e Interpreti:

  • La Gioconda Rebeka Lokar
  • Laura Adorno Cristina Melis
  • Alvise Badoero Simon Lim
  • La Cieca Agostina Smimmero
  • Enzo Grimaldo Angelo Villari
  • Barnaba Angelo Veccia
  • Zuàne Alessandro Abis
  • Isèpo Francesco Pittari
  • Un cantore Francesco Azzolini
  • Un pilota Maurizio Pantò
  • Un barnabotto Nicolò Rigano
  • Una voce Dario Righetti
  • Un’altra voce Jacopo Bianchini

 

Costumi Filippo Tonon e Carla Galleri

Luci Fiammetta Baldiserri

Coreografo Valerio Longo

Maestro del coro Ulisse Trabacchin

ORCHESTRA E CORO DELLA FONDAZIONE ARENA DI VERONA
CORO DI VOCI BIANCHE A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani

Coproduzione Teatri di OperaLombardia, Fondazione Arena di Verona, Teatro Nazionale Sloveno di Maribor, Teatro Massimo Bellini di Catania

Teatro Sociale, 10 novembre 2022


Nata come coproduzione con il teatro Sloveno di Maribor, dove ha visto il debutto, e la Fondazione Arena di Verona, assieme al Teatro Massimo Bellini di Catania ed i Teatri di OperaLombardia, ovvero il circuito lombardo ove ora è in scena, La Gioconda rappresenta oltre al lodevole sforzo produttivo, un’oculata maniera di amministrare le forze teatrali nel garantire numerose repliche ad uno spettacolo ammirevole e che ha riscontrato un franco e insistito successo di pubblico.

È pur vero che un titolo un tempo popolarissimo è man mano uscito di repertorio, vuoi per le oggettive difficoltà, oltre che nell’allestirlo, nel reperire un cast che ne sia all’altezza: “trovati gli interpreti per La Gioconda si finisce per mettere su il Don Carlo!” mi commentò tempo fa, non senza un pizzico di ragione, un “addetto ai lavori”. Ora senza tentare inutili paragoni con uno dei massimi capolavori verdiani, che anticipa per altro quello di Ponchielli di nove anni, La Gioconda rimane opera suggestiva, ricca di occasioni succose che ogni buon “melomane medio”, o di livello differente, che si rispetti attende con gioiosa ansia anche per valutare le prestazioni degli interpreti chiamati in causa: “Voce di donna o d’angelo”, “O monumento”, il Si bemolle su “Enzo adorato” della protagonista, e via via “Cielo e mar”, il furente duetto tra Laura e Gioconda, l’aria di Alvise, la Danza delle ore, il “suicidio”… insomma un bel rosario di pagine una più bella dell’altra.

A Como, come del resto nei teatri che l’hanno preceduta, questa Gioconda è andata benissimo. Innanzi tutto per il bell’allestimento, praticamente unico, ma gestito con particolare efficacia dall’ottima regia di Filippo Tonon, il quale ha firmato pure la scena e, con Carla Galleri, i costumi che, nel caso dei solisti, ci riportano ai tempi della prima esecuzione dell’opera al Teatro alla Scala nel 1876. Un’azione che scorre fluida, chiara, senza intoppi con una lettura del pur arzigogolato libretto di immediata comprensione. Le luci di Fiammetta Baldiserri centratissime, ridotta ai minimi termini (solo tre le ore!) la fatidica danza del terzo atto:  molto meglio la “furlana” del primo a cui ha preso parte pure il coro (quello dell’Arena di Verona, come pure l’orchestra invero ottima e le puntuali voci bianche A.LI.VE. istruite da Paolo Fanciani ben integrato anche musicalmente grazie al buon lavoro del Maestro Ulisse Trabacchin, e il cospicuo numero di figuranti ed attori, vivacizzando così una scena popolarissima. Lode, comunque, al coreografo Valerio Longo.

Il merito principale del direttore d’orchestra Francesco Ommassini è stato quello di riaprire alcuni tagli “di tradizione” sia nel concertato finale del secondo atto e, soprattutto, nel terzetto tra Gioconda, Enzo e Laura del quarto: pagine che completano un quadro che lo stesso Ponchielli, nelle sua revisione dell’opera, avrebbe apprezzato. Personalmente ho trovato alcuni accompagnamenti un po’ difficoltosi e pesanti per gli interpreti, per tutti un “Suicidio” da sfinimento, ma nel complesso l’opera ha retto benissimo e il Maestro ha ricevuto un’accoglienza calorosa al pari di tutti gli interpreti alla ribalta finale.

Tra tutti in bell’evidenza la protagonista, il soprano sloveno Rebeka Lokar di carriera italiana e presenza sempre rassicurante. La sua Cantatrice conquista per la suadenza della voce, per il gusto controllato nell’interpretazione, che si presterebbe a sguaiataggini ed esagerati suoni di petto. Buona tenuta in acuto e completezza nella gamma con una zona centrale molto apprezzabile e non artificiosa nei gravi. Appassionata e veemente quanto il ruolo richiede, ha superato con ampio margine l’ardua prova. Molto bene pure la Laura di Teresa Romano, di bel colore e brillantezza in acuto, amministrata con ottima emissione in acuto sopranile, quale l’artista era fino a poco tempo fa. Al contrario Agostina Smimmero costituisce un raro esempio di autentico contralto, con una voce ambrata, piena e corposa nel grave, che suona poderoso, e anche una considerevole estensione: la sua Cieca è parsa assolutamente esemplare e l’ovazione che ha suscitato dopo il suo a solo nel concertato del primo atto, meritatissima.

Ottimi i maschi: iniziando da Angelo Villari che si impone all’attenzione come tenore di primo cartello per la bellezza del timbro, per lo squillo in acuto e per la generosità dell’interprete. Un Enzo battagliero ma anche amoroso nella sognante aria del secondo atto. Bravissimo anche il baritono Angelo Veccia, Barnaba che come non mai ci ha fatto percepire il futuro Jago verdiano con un canto insinuante, mefistofelico e pure scanzonato nella ballata del secondo atto, imponendosi con l’aria del primo atto “Oh monumento” di felice esecuzione. Il basso koreano Simon Lim, recentemente ammirato quale straordinario Mefistofele a Piacenza, ha composto un Alvise altero, severo, inflessibile con la sua voce duttile, sonora e modulata alla perfezione. Ottimi nei ruoli di fianco tutti, ma proprio tutti: lo Zuàne di Alessandro Abis, credibile scenicamente e assai ben cantato e così, tra i tanti, il bravo tenore Francesco Pittari, Isèpo di voce penetrante, emessa a dovere.

Teatro non pienissimo, va detto: si paga l’assenza del titolo con una popolarità in diminuendo, ma la risposta dei presenti, che si sono attardati in lunghi applausi ci fa sperare in tempi migliori per La Gioconda e per il teatro d’opera in generale.

Andrea Merli

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