ZURIGO: Il trovatore – Giuseppe Verdi, 11 ottobre 2022
Il trovatore
Dramma lirico in quattro parti di Giuseppe Verdi (1813-1901)
Libretto di Salvatore Cammarano, completato da Leone Emanuele Bardare,
da «El trovador» di Antonio García Gutiérrez
Direttore musicale Paolo Carignani
Regia Adele Thomas
Personaggi e Interpreti:
- Il Conte di Luna Artur Rucinski
- Leonora Elena Moşuc
- Azucena Yulia Matočkina
- Manrico Stefano La Colla
- Ferrando Roberto Pomakov
- Ines Bożena Bujnicka
- Ruiz Savely Andreev
- Un vecchio zingaro Jeremy Bowes
- Un messo Massimiliano Lawrie
Scenografia e costumi Annemarie Woods
Progettista luci Franck Evin
Video designer Burkhalter
Maestro del coro Janko Kastelic
Coreografia Emma Woods
Fight coreografia Jonathan Holby
Drammaturgia Beate Breidenbach
Filarmonica Zurigo
Chor der Oper Zurigo
Operhaus, 11 ottobre 2022
Se la pretesa fu quella di fare del Trovatore una caricatura, la produzione vista a Zurigo ha centrato in pieno lo scopo. Come sempre e più che mai, non si tratta di discutere se l’opera va “attualizzata” o deve rimanere “un genere museale”, poiché è ovvio che oggi si sfruttano tecnologie moderne e dunque le luci della ribalta o le tele dipinte, con tutto il loro fascino vecchio-stile, possono considerarsi trapassate, almeno per alcuni. Piuttosto la sensazione è che la smania di protagonismo porti registi, “drammaturghi” e compagnia “bella” a navigare contro. Sempre più spesso contro il buon senso, oltre che contro musica e libretto. Non si sottraggono a questo perverso gioco la regista Adele Thomas e con lei la scenografa (palco occupato da un’unica gradinata) e costumista Annemarie Woods, il datore di luci (il quale evidentemente non ha problema con la bolletta, poiché le lascia perennemente tutte accese) Franck Ewin, coreografa e maestro d’armi Emma Woods e Jonathan Holby rispettivamente e l’immancabile “drammaturga” Beate Breidenbach. Ne scaturisce una sorta di incubo disneyano in cui il Conte di Luna appare quale Principe Rosa con un grande cuore rosso sul giustacuore, appunto e Ferrando risulta essere il motore di ogni diabolico male, mellifluo e anche un po’ effemminato satanasso dai piedi grifagni, accompagnato da uno stuolo di bavosi diavolacci. E qui mi fermo poiché, parafrasando Oscar “già abbastanza ho detto”.
Chiusi gli occhi, almeno dove si poteva, è stato un gran piacere per le orecchie: benissimo il coro (risatacce ed urlacci imposti dalla regista permettendo) ben preparato da Janko Kastelic ed altrettanto in spolvero l’orchestra diretta splendidamente da Paolo Carignani, un direttore che unisce all’arte la pratica e perfetta conoscenza del repertorio. Sostegno ideale delle voci, sempre portate ad offrire il meglio delle loro possibilità, ha eseguito una lettura accattivante sebbene operando qualche taglio nelle riprese delle cabalette, ma vista la situazione scenica c’è di che essergliene grati. Un gran bel cast capeggiato dal solido e squillante Manrico di Stefano La Colla, voce ben emessa e sempre in avanti, che ha sugellato un ottimo “Ah sì ben mio” ed ha cantato in tono la fatidica “Pira”, senza tralasciare il resto dell’opera dove ha dato prova di gagliarda presa del ruolo. Benissimo il baritono polacco Artur Rucinski, conte di Luna, che ha eseguito in maniera ammirevole “Il balen del suo sorriso” e che è stato giustamente festeggiato anche alla ribalta finale dove pure, dopo aver dato prova di un’elegiaca Leonora, specie nell’ultimo atto, con un “D’amor sull’ali rosee” da manuale, è stata applauditissima Elena Moşuc, ormai lanciata in un prevedibile cambio di repertorio, ma senza aver compromesso il settore acuto e con una zona centrale di cospicua consistenza. Azucena era il mezzosoprano russo Yulia Matočkina, voce tornita e dal bel timbro quasi sopranile, ma consistente in basso, anche lei festeggiatissima dal pubblico che affollava la bella sala zurighese.
Ferrando, regia permettendo, è stato difeso onorevolmente dal basso Robert Pomakov, e bravi pure i comprimari: la efficace Ines del soprano Bozena Bujnicka, i precisi Savelly Andreev, Ruiz, Jeremy Bowes, Vecchio Zingaro e Maximilian Lawrie il solito “usato messo”. Pubblico generosissimo di applausi e, tutto sommato, divertito da tanta scenica stramberia.
Andrea Merli