MADRID: Don Gil de Alcalà – Manuel Penella, 13 maggio 2022

MADRID: Don Gil de Alcalà – Manuel Penella, 13 maggio 2022

Don Gil de Alcalá

Opera in tre atti

Música y libreto de MANUEL PENELLA

Producción del Festival de Teatro Lírico Español de Oviedo (2017)


Direttore Luca Macias
Regia Emilia Sagi

Personaggi e Interpreti:

  • Don Gil Celso Albelo
  • Niña Estrella Sabina Puértolas
  • Chamaco Carlos Cosías 
  • Maya Carol García 
  • Don Diego Manel Esteve 
  • Virrey Pablo Lopez
  • Sargento Carrasquilla Simón Orfila
  • Madre abadesa María José Suarez
  • Padre magistrale David Sánchez
  • Maestro delle cerimonie Ricardo Muñiz
  • Il governatore Miguel Sola .

Scenografia Daniele Bianco
Costumi Pepa Ojanguren
Luci  Eduardo Bravo
Coreografia Nuria Castejon

Orquesta de la Comunidad de Madrid
Titolare del Teatro de La Zarzuela
Coro del Teatro de La Zarzuela
Direttore: Antonio Fauro

Teatro Nacional “La Zarzuela”, 13 maggio 2022


Definita “opera comica” dal suo stesso Autore, di musica e libretto, Manuel Penella un valenciano cosmopolita, bimbo prodigio e che nel corso della vita visse le esperienze più disparate visitando in special modo l’America Latina, Don Gil de Alcalà si distingue dalla zarzuela, il genere lirico spagnolo, per l’assenza di parti recitate e possiede un’altra peculiarità nella originale orchestrazione, che prevede i soli archi con l’aggiunta di due arpe. Penella organizzò il debutto al Teatro Novedades di Barcellona nel 1932 per un motivo pratico: in quel teatro operava la migliore compagnia di zarzuela allora attiva in tutta la Spagna. L’unica a giudizio dell’esigente compositore a poter eseguire con successo uno spartito apparentemente semplice ed a fornire un cast adeguato. Penella, uomo di ampie vedute e modernissimo, ne curò subito una prima edizione discografica con gli stessi primi interpreti e, trasferitosi in Messico, ne curò la versione cinematografica dal titolo “El Capitan aventurero”, protagonista il celebre tenore messicano José Mojica, ma non riuscì a visionarla perché la morte lo colse appena 59enne nel 1939 a Cuernavaca, in Messico.

Ora, a novanta anni dalla “prima”, il Teatro de La Zarzuela la ripropone in un nuovo allestimento, che in realtà grastisce con eleganza un’idea scenografica già realizzata al teatro Campoamor di Oviedo dagli stessi fautori, per la regia di Emilio Sagi, che ha la Zarzuela nel DNA e per il quale il teatro leggero non ha misteri, con la scena di Daniel Bianco, pure direttore del Teatro, i costumi di Pepa Ojanguren, le luci di Eduardo Bravo e le coreografie di Nuria Castejon. Si tratta di un team affiatato, abbonantemente collaudato nella zarzuela, che garantisce sempre i massimi livelli teatrali e spettacolari. In questo caso si è assistito ad una messa in scena di garbata eleganza, costruita con pochi elementi e con un impianto prticamente fisso ed unico, ma animato da una regia che non cede nel ritmo, che sottolinea con fortunata scelta i momenti comici, senza trascurare i momenti lirici in cui l’opera prende il volo con effusione emotiva e con melodie trascinanti, tanto nel folklore ispanico e latino americano, quanto nel ricreare con notalgica effiacia un mondo settecentesco coloniale, decisamente perduto quando lo spettacolo andò in scena nel 1932. La Pavana si alterna al Fandango, il Minuetto alla Habanera, questa forse la pagina più nota di tutto lo spartito: “Todas las mananitas llega la aurora”.

Il merito di questa splendida edizione musicale va al bravissimo direttore Lucas Macias, ispiratissimo e preciso nello stesso tempo, alla cui bacchetta ha ubbidito la sempre lodevole orchestra de la Comunidad de Madrid ed il brillante, anche nella gestione del palcoscenico e nel fornire elementi solisti, coro del Teatro de La Zarzuela diretto da Antonio Faurò.

La trama è presto detta: sul finire del Settecento, a Veracruz nella Nuova Spagna, una fanciulla orfana di origine meticcia, padre un soldato spagnolo e madre una nativa yucateca, di nome Estrella (Mitztilan, in lingua azteca), soprano, adottata dal Governatore, baritono, deve abbandonare il collegio del convento per sposare il nobile Don Diego, baritono anch’esso, ma in realtà ama ed è riamata dall’avventuriero Don Gil de Alcalà, il quale con il suo fido amico sivigliano Carasquilla, basso, organizza una finta imboscata in cui “eroicamente” salva il Governatore ottenendone la fiducia e gli onori. Smascherato da Don Diego, degradato e condannato con Carasquilla ad allontanarsi a combattere in una provincia estrema, per sua fortuna il servo messicano Camacho, tenore, assiste alla confessione del Governatore col Padre Magistral, basso profondo (una specie di satira del duetto tra Filippo II ed il Grande Inquisitore) in cui dichiara di aver lasciata incinta una giovane lavandaia madrilena e di essere fuggito in Messico senza averne riconosciuto il figlio. Don Gil, con mossa astuta, sostenuto da Carasquilla, da Chamaco e ovviamente da Estrella e dalla sua fida cameriera Maya, si spaccia per il figlio “del peccato” ed il Governatore, con smacco di Don Diego, lo riconosce e gli concede la mano di Estrella.

Il cast allineato non poteva essere più efficace. Il protagonista, il tenore Celso Albelo è in forma vocale smagliante, affronta il non facile ruolo con linea vocale inappuntabile, gioccando con una tavolozza ricca di colori fraseggio e accento, con tono gagliardo da vero guascone; risulta poi affascinante nelle dichiarazioni d’amore alla bella Mitztilan, specie in un’aria del secondo atto dal sapore quasi massenettiano. Sua spalla e perfetto nella caratterizzazione andalusa il basso di Minorca Simon Orfila, una sorta di Sancho Panza, ma dotato di una badanza scenica invidiabile. Vocalmente brillante, frizzante e ben caratterizzato nella parte, emerge nel finale del primo atto col brindisi in cui esalta le qualità del vino di Jerez. La parte del “cattivo”, ma pur sempre giustificato dall’amore, appartiene Don Diego che nel baritono Manel Esteve, figlio d’arte – quante volte ho ascoltato suo padre  Vicente al Liceu! – trova la giusta prestanza vocale e scenica, salutato da forti applausi dopo la impegnativa romanza nel secondo atto.

Come ha rimarcato Luciana Serra, mia compagna di avventura alla sua prima zarzuela in un teatro dove pure cantò la Rosina del Barbiere nel 1992, tutti gli interpreti, dal primo all’ultimo, sono dotati di voci ben impostate e ben emesse. Iniziando dalla deliziosa e assai godibile Sabina Puertolas, soprano che affronta con piglio lirico la parte della giovinetta Estrella, novella Rosina, appunto, determinata nel volere imporre la sua volontà, pur sottostando al tutore.  Una bella rimpatriata quella dell’ottimo tenore Carlos Cosias il quale ha dato un inusitato rilievo alla parte comica del messicano Camacho, cantando assai bene e ballando il “Jarabe” con la non meno brava Carol Garcia, mezzosoprano, nella parte di Maya cui spetta il controcanto con il soprano nella famoa Habanera. Se Miguel Sola, baritono ed attore di vaglia, può considerarsi un impagabile veterano nella parte del Governatore, autorevole e imponente il giovane basso David Sanchez, Padre Magistrale.

Lo spettacolo è stato preceduto dalla lettura da parte del direttore del Teatro, Daniel Bianco, di una sentita condoglianza per la morte di Teresa Berganza, avvenuta proprio quel giorno. L’Artista madrilena, il cui nome è stato fortemente legato anche al Teatro de La Zarzuela, di cui si fece messaggera a livello mondiale con un ricco lascito discografico, è stata ricordata non con il rituale minuto di silenzio, bensì con un prolungato e sentito applauso da parte di un pubblico visibilmete commosso e partecipe.   

Andrea Merli

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