DRESDA: 250esimo anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven, 21-22-23 febbraio 2020
I percorsi di Schumann, Weber e Wagner in occasione del 250esimo anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven
Kulturpalast, Semperoper, Staatsoperette 21, 22, 23 febbraio 2020
La ricorrenza beethoveniana è celebrata a Dresda, città di cultura ove ne siano, grazie a un fitto programma di concerti sotto la sigla Focus Beethoven, capeggiati da quelli offerti dalla prestigiosa Dresdener Philharmonie nella sede ufficiale del rinnovato Kulturpalast, magnifica sala concertistica nel cuore della capitale sassone.
Non di meno l’efficentissimo Ufficio del Turismo, cui fa capo l’affabile Corinne Miseer, affidato per l’occasione all’insostituibile guida di Christoph Muench, poliglotta, storico e musicologo nel contempo, ha pensato bene, grazie alla collaborazione di preziosi sponsor tra cui va doverosamente citato l’Hotel Vienna Hause che ci ha ospitato principescamente, di organizzare una serie di incontri, concerti e gite fuori porta per un gruppo di ben dodici tra rappresentanti della stampa e operatori turistici di ben otto nazionalità diverse: da quella tedesca a quella francese, passando dal Belgio all’Olanda, dalla Polonia alla Cechia e all’Inghilterra per finire con l’Italia, rappresentata dal sottoscritto.
Una vera e propria maratona full immersion che, oltre alla meta squisitamente turistica, ha avuto principio con un’ottima esecuzione del mozartino Così fan tutte nella meravigliosa sala della Semperoper. Si è trattato di uno spettacolo collaudatissimo colto in una replica assai vivace e molto applaudita dal pubblico. Ovviamente, ci si è trovati con una revisione drammaturgica ad opera di Stefan Ulrich, per la regia di Andreas Kriegenburg, con la scena creata da Harald Thor ed i costumi di Andrea Schraad che fanno onore al concetto di “regie theater” di matrice tedesca. Nel comico – con I distinguo del caso nel Così fan tutte ché è un “dramma giocoso” – le rielaborazioni ci stanno comode e rappresentano spesso una ventata di novità su trame che, per quanto ben architettata questa nel libretto di Da Ponte, sono suscettibili di reinterpretazioni. Nello specifico caso si è stati fortunatissimi perché lo spettacolo, costruito con una scena fissa e rotante, con pochissimi essenziali elementi di attrezzo, ha funzionato a meraviglia grazie ad un efficace lavoro di squadra, al calibrato meccanismo ad orologeria nel pur macchinoso movimento scenico. Humor dispensato a piene mani nell’illustrare l’incredibile vicenda, spacciata per vera, delle due sorelle che scambiano i fidanzati. Motore della vicenda, più che il misogino Don Alfonso, qui relegato a una funzione quasi da osservatore esterno nella pur corretta interpretazione del basso Martin-Jan Njhof, la pepatissima e salace Despina affidate all’arte scenica impagabile ed alla più che lodevole vocalità del soprano Ute Selbig, cui si fa il bel complimento di aver ricordato per malizia ed intenzioni l’eccezionale Daniela Mazzucato. Le coppie degli amanti alla scuola della disillusione, hanno avuto nel baritono Lawson Anderson un valente quanto spigliato Guglielmo e nel tenore Joseph Dennis un Ferrando a tratti stralunato, ma ben cantato nelle rispettive arie, “Un’aura amorosa” e poi “Traditom schernito”. Molto in parte le due fanciulle: la Dorabella del mezzosoprano Jana Kurukovà e, in particolare, il “nostro” soprano Francesca Dotto, artista “ospite” e stupenda Fiordiligi, che si è giustamente meritata ovazioni dopo le rispettive due arie.
La Staatskapelle, gloriosa ed antichissima formazione, tiene fede alla fama di ottima orchestra; bene il coro della Semperoper diretto da Wolfram Tetzner, e benissimo la direzione di Georg Frisch ha offerto una lettura esemplare per nitidezza e perfezione musicale. Una versione quasi integrale, laddove si eccetuino i frequenti, a volte dolorosi almeno per noi italiani, tagli ai recitativi: cade, ad esempio, la frase di Don Alfonso, assolutamente indispensabile, rivolta ai due finti albanesi: “Dunque restate celibi in eterno!”. Compensa, in cambio, l’esecuzione dell’aria di Guglielmo al primo atto “Rivolgete a lui lo sguardo”, solitamente sostituita con la posteriore “Non siate ritrosi” e, soprattutto, la tendenza a variare, seppure con garbata moderazione, le riprese nelle arie e duetti. In definitiva, un gran bel Così fan tutte, frizzante e divertente.
A conclusione di una giornata trascorsa in gita nei dintorni di Dresda, a Maxen nei luoghi abitati da Robert e Clara Schumann, a Graupa nella casa in cui Wagner compose il Lohengrin e a Pillntz nella deliziosa casa-museo in cui visse Carl-Maria von Weber nei tempi in cui partorì il Franco cacciatore, il concerto beethoveniano al Kulturpalast in cui, a sala esaurita in ogni ordine di posti compresi quelli sopra l’orchestra, normalmente riservati al coro, si sono ascoltati due quartetti d’archi nell’esecuzione del prestigioso Quartetto Ebène intercalati dalla Sinfonia N° 4 diretta da Marek Janowski a capo della orchestra filarmonica di Dresda.
Particolarmente denso di impegni turistici e musicali l’ultimo giorno di tour, che ci ha prima deliziato alla Staatsoperette, unica formazione statale di operetta in tutta la Germania che vanta una lunga e prestigiosa storia ricca di prime assolute, tra cui My Fair Lady in versione tedesca, con una strepitosa versione di Follies, il Musical di Stephen Sondheim. La qualità degli spettacoli offerti da questa istituzione ha pochi riscontri anche nel resto d’Europa dove il Musical e l’operetta sono di casa. Alle formazioni stabile di orchestra, coro e danza, ai solisti di casa, si aggiungono in questo caso altri “ospiti” di grande fama in suolo nazionale. La trama originale, adattata alla storia stessa del teatro di Dresda che dal dopoguerra al 2017, anno di inaugurazione della nuova sala, ebbe sede “provvisoria” in una ex balera di periferia, sopravvissuta al terribile bombardamento del 1945 e adattata per accogliere l’unico dei tre teatri d’operetta superstite, si svolge in un incredibile e stupefacente rimescolamento di fantasia e realtà: le coppie di attori che si ritrovano a distanza di trenta anni in Follies sono artisti che nella vecchia sede dalla Staatsoperette mossero i primi passi. Il passaggio dal ricordo del passato, suggerito dallo sdoppiarsi con i loro alter ego giovani, funziona a meraviglia; ne emergono la crisi delle coppie mature, le ansie dei giovani principianti: gli inevitabili sbagli che fa solo chi vive intensamente la propria vita. La lista è molto lunga, ma tutti, dicasi tutti, hanno recitato e cantato e ballato con risultati a dir poco sorprendenti. Vanno almeno menzionati il regista, Martin G. Berger, e con lui la scenografa Sarah-Katharina Karl, la costumista Esther Bialas e Marie-Christin Zeisset per le scatenate e fantasiose coreografie. Una lode speciale alla brillante orchestra stabile ed al direttore Peter Christian Feigel, che ha impresso al tutto un ritmo contagioso. La risposta del pubblico è stata dir poco entusiastica e ce n’era di ché esserlo.
Ultimo, attesissimo appuntamento musicale, di nuovo alla Semperoper, questa volta per una recita di Tosca con protagonista Angela Georghiu, artista che manca da troppo tempo dall’Italia. Inserita in uno spettacolo vecchio e di poco rilievo, firmato a suo tempo per la regia da Johannes Schaff (passato a miglior vita) con le scene, piuttosto squallide nel loro grigiore, di Christof Cremer, i costumi di scarso rilievo di Petra Reinhardt e l’inevitabile drammaturgia di Ilsedore Reinsberg, che in un’azione che precede l’inizio dell’opera ci fa assistere ad un’improbabile relazione amorosa tra Cavaradossi e l’Attavanti (quella di far apparire l’Attavanti non è, purtroppo, una novità), la Georghiu ha dato vita ad un personaggio avvincente, sia per la splendida forma vocale che per l’irresistibile presenza scenica, ma soprattutto per le intenzioni del fraseggio, di squisita seduzione nel primo duetto col Pittore e poi infiammato e travolgente nel secondo atto dove affronta Scarpia. Ha siglato un memorabile “Vissi d’arte”, cesellato nelle sfumature e nelle intenzioni: in una parola, bravissima e sempre dotata quella “marcia in più” che fa di lei un’autentica diva in un contesto dove esserlo, diva, è essenziale.
Lieta sorpresa il tenore rumeno, pure lui, Teodor Ilincai dalla voce di bellissimo colore e timbro, squillante in acuto, dall’emissione notevole sempre “in avanti”. Il suo Cavaradossi, appassionato e valoroso, è stato applauditissimo pure per la generosità e la veemenza dell’interprete. Presenza scenica e voce imponenti pure quelle del baritono russo Alexey Markov, Scarpia di grande rilievo vocale e scenico. Il resto della compagnia, composta da artisti di casa alla Semperoper, ha fatto onorevolmente il proprio dovere, ma piace citare l’intonatissimo pastorello, per una volta in scena nell’arduo compito di mettere in ordine le scarpe dei condannati a morte (!?!) Errel Rodzinka.
Sul podio, in una toccata e fuga da Monaco di Baviera alternando a questa Tosca una Traviata bavarese, Giampaolo Bisanti che ha sudato le proverbiali sette camicie per tenere assieme il tutto, sostenendo ed inseguendo i solisti, dirigendo, come è d’abitudine in queste latitudini nelle riprese degli spettacoli, praticamente senza aver provato. Per far ciò si deve, oltre che conoscere a memoria le virgole dello spartito, avere nervi saldi e soprattutto grande esperienza e ferrea professionalità, doti di cui Bisanti risaputamente è assai dotato. Ciò detto la sua lettura, avallata dalla splendida esecuzione dell’orchestra Staatskapelle, è stata assolutamente avvincente e scandita alla perfezione, come se avesse avuto a disposizione un mese di prove.
Andrea Merli