COMO: Macbeth – Giuseppe Verdi, 31 ottobre 2019
MACBETH
Melodramma in quattro atti. Musica di Giuseppe Verdi. Libretto di Francesco Maria Piave, tratto dall’omonima tragedia di William Shakespeare.
Prima rappresentazione assoluta: Firenze, Teatro della Pergola, 14 marzo 1847
Prima rappresentazione della seconda versione: Parigi, Théâtre Lyrique, 19 aprile 1865
Maestro concertatore e Direttore d’orchestra Gianluigi Gelmetti
Regia Elena Barbalich
Personaggi e Interpreti:
- Macbeth Angelo Veccia
- Banco Alexey Birkus
- Lady Macbeth Silvia Dalla Benetta
- Dama di Lady Macbeth Macduff Katarzina Medlarska
- Macduff Giuseppe Distefano
- Malcolm Alessandro Fantoni
- Medico/Domestico di Macbeth/Sicario Alberto Comes
Scene e Costumi . Tommaso Lagattolla
Luci . Giuseppe Ruggiero
Coreografie Danilo Rubeca
Regista assistente Costanza Degani
Maestro del coro Diego Maccagnola
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Allestimento Teatro Nacional de Sao Carlos di Lisbona
Teatro Sociale, 31 ottobre 2019
Ritorna sul palcoscenico del Teatro Sociale di Como il verdiano Macbeth – nel novembre del 1979, esattamente 40 anni fa, vidi una delle ultime recite con la Lady di Leyla Gencer! – in una produzione del circuito OperaLombardia che, partita dal Teatro Fraschini di Pavia, completerà le recite tra Brescia e Cremona. Si tratta in realtà della ripresa di uno spettacolo nato a Salerno nel 2006 e che poi è circolato soprattutto nella penisola iberica, ospitato per ben due volte al Teatro Sao Carlos di Lisbona, che ha acquistato l’allestimento, e pure a Valladolid, a La Coruna e al Teatre Principal di Palma di Maiorca. Scene e costumi firmati da Tommaso Lagattola, luci di Giuseppe Ruggiero, coreografie di Danilo Rubeca.
La regia si deve a Elena Barbalich che, tra i registi di nuova generazione italiani, si afferma tra i più interessanti e stimolanti. Ricordo con piacere alcuni spettacoli che sono rimasti impressi nella memoria “impiccionesca” (messa a dura prova dalle continue trasferte) ed in particolare il riuscitissimo Capello di paglia di Firenze prodotto dall’As.Li.Co. e visto proprio a Como ed un curioso ed insolito dittico, in quel di Sassari, costituito da Les Mammelles de Tirésias di Poulenc e da La Damoiselle élue di Debussy. In questo caso la Barbalich è al servizio di Shakespeare, seppure mediato da Francesco Maria Piave e di Verdi: il risultato non poteva essere più felice. A tutta prima si potrebbe liquidare il tutto con l’aggettivo “minimalista”, poiché la scena è praticamente fissa – una grande scalinata sovrastata da un praticabile – con un sipario in tulle ed un attrezzo invero essenziale. Una grande e mobile superficie circolare si trasforma ed adatta a far da tavolo nella scena del brindisi o, piuttosto, da caldaia nell’antro delle streghe; ciò basta e avanza, assieme al sapientissimo gioco di luci a ricreare ambienti, atmosfere e a far procedere l’azione con una fluidità ed un ritmo teatrali coinvolgenti, cogliendo della tetra vicenda sia l’aspetto arcano, il potere divinatorio delle streghe che poi possono essere considerate le vere protagoniste dell‘opera, che il tormento psicologico di Macbeth e le diaboliche aspirazioni, quindi la follia della Lady senza nome. In assoluto, tra i tanti Macbeth collezionati in oltre 50 anni di frequentazione teatrale, uno dei più avvincenti, al servizio totale della drammaturgia originale e della musica di Verdi, cogliendone la “tinta” anche registicamente, senza dover decontestualizzare e sviare l’attenzione del pubblico, senza tradire e sconvolgere un libretto ed uno spartito che hanno una forza enorme ed una presa sensazionale.
Altro capolavoro di intuizione e rispetto della volontà del Compositore si è colto della direzione per molti versi innovativa di Gianluigi Gelmetti, il quale ha un bel dire, con un sorriso un po’ sornione, “basta far quello che ci sta scritto in partitura”: fosse così facile e ci riuscissero tutti! A capo della Orchestra “I Pomeriggi Musicali di Milano”, impegnata qui in una delle prove più convincenti, e dell’ottimo coro OperaLombardia, istruito a dovere da Diego Maccagnola, Gelmetti procede ad una lettura che ricrea le atmosfere nebbiose e tetre della Scozia medievale; potrebbe sembrare, inizialmente, una lettura appannata e, certo, meno “quarantottesca” di quanto si sente di solito, di fatto lo è volutamente. Questo “Verdi di galera” è un caso a parte, specie se si esegue la versione ripensata nel 1865 nella sua quasi integralità – mancante solo dei ballabili, ma comprensiva del coro “Ondine e Silfidi“ che spesso viene mutilato assieme alle danze – e la “tinta” è assai più sfumata, quasi sfuggente rispetto a quella di altre opere degli anni 40. Ciò che colpisce è l’impostazione vocale, oltre che musicale: il canto sussurrato, interiorizzato, a volte sibilato, assolutamente introspettivo. Un’esecuzione che “guarda avanti”, a un teatro espressionista che è ancora da venire, ma che potrebbe far intuire – è un azzardo – il Wozzeck. E tutto ciò, si badi, nel rispetto delle regole del Belcanto e con una linea musicale e vocale senza crepe.
Un appunto ci si sente in dovere di farlo: quello della lettura della lettera, che precede la sortita della Lady, affidata ad una voce maschile registrata e, soprattutto, il fatto che è stata registrata (e mal amplificata, poiché il passaggio da un teatro all’altro per i fonici è sempre… un’avventura!) la banda fuori scena nel corteo di Duncano e così pure le apparizioni. Un “tiro” che va aggiustato per non compromettere il risultato finale.
Il cast è parso assolutamente all’altezza, iniziando dal basso Alberto Comes che ha vestito i panni del domestico di Macbeth, del sicario e finalmente del Medico con una voce dal timbro notevole, continuando con la Dama, Katarzyna Medlarska, precisa anche negli assieme, con i validi tenori Alessandro Fantoni, Malcolm e Giuseppe Distefano, Mcduff, premiato da un bell’applauso dopo la sua aria nel terzo atto e passando al Banco dal colore baritonale, ma musicalmente e vocalmente ben definito di Alexay Birkus.
Un capitolo a parte meritano i due protagonisti che hanno ottenuto applausi convinti al termine delle loro arie in corso d’opera ed un successo con punte trionfale alla ribalta finale. Silvia Dalla Benetta possiamo considerarla, a ragione, un “soprano assoluto”; se penso che l’ho ascoltata nemmeno un anno fa nel ruolo della rossiniana Semiramide, portata a termine con un grande successo ed ottimi risultati in quel di Bilbao e che proprio al Teatro Sociale l’ascoltai a inizio carriera quale Adina ne L’elisir d’amore! C’è di che meravigliarsi della splendida riuscita della sua Lady. Costituisce un chiaro esempio di cosa si possa ottenere con la giusta tecnica, senza forzare la propria voce: sicuramente una Lady sopranile che non cerca inutili affondi in zona grave, per altro coperta sufficientemente e che lancia, di conseguenza, acuti fulminanti. Ma quello che ha convinto è stata la sua immedesimazione, sia con l’impostazione registica che con la visione che ha del personaggio il direttore Gelmetti. E’ lei la stratega e quindi la personificazione delle streghe, le quali potrebbero essere solo un’allucinazione dell’anima. Si percepisce nell’insinuante duetto del primo atto con il baritono e poi, di seguito, nella temibile aria “La luce langue”. E’ piaciuta molto la ripresa del brindisi, davanti al terrore degli astanti che rifuggono il suo invito a “colmare il calice” ed infine, la scena del sonnambulismo, resa con accenti da grande “tragedienne” e concluso con il Re sovracuto in quinta, ne hanno fatto un personaggio memorabile.
Non meno bravo, anzi se possibile ancor superiore nella recitazione, il Macbeth di Angelo Veccia, al quale solo in rare occasioni è stata offerta la possibilità di far esplodere la piena voce, dimostrando di averne da vendere e di salire con facilità. Gli è stato richiesto un canto quasi sempre fior di labbra, con mezze voci e pianissimi di grande difficoltà soprattutto per sostenere il fiato e mantenere l’intonazione, dove non ci son stati cedimenti. Anche lui perfettamente compenetrato con la Lady nel duetto del primo atto, con un memorabile attacco di “Fatal mia donna! un murmure” e poi in tutta la scena del banchetto davanti all’ombra di Banco, per riuscire ancora più esaltante in tutta la scena nella grotta delle streghe e quindi emozionante, in un estremo e commovente “Pietà, rispetto, amore” che ci ha tenuti inchiodati alla poltrona, dove è riuscito a trasmettere tutto il senso di disinganno e di avvilimento dell’uomo perdente. Grande interpretazione!
Si replica prossimamente a Brescia, consiglio caldamente di non perdervi queste recite.
Andrea Merli