Spagna – 33esimo Festival Castell Peralada 2019: La traviata – Giuseppe Verdi, 7 agosto 2019

Spagna – 33esimo Festival Castell Peralada 2019: La traviata – Giuseppe Verdi, 7 agosto 2019

La traviata

opera in tre atti di Giuseppe Verdi

su libretto di Francesco Maria Piave

basata su La signora delle camelie, opera teatrale di Alexandre Dumas (figlio)

 

Regia Paco Azorín

Direttore Riccardo Frizza

 

Personaggi e Interpreti:

  • Violetta Valéry Ekaterina Bakanova
  • Alfredo Germont René Barbera
  • Flora Bervoix Laura Vila
  • Barone Douphol Carlos Daza
  • Giorgio Germont Quinn Kelsey
  • Annina Marta Ubieta
  • Gaston Vicenç Esteve
  • Marchese d’Obigny Guillem Batllori
  • Dr. Grenvil Stefano Palatchi
  • Giuseppe, serviteur de Violetta Quintin Bueno
  • commissionario Nestor Pindado

 

Auditorio del Parco del Castello, 7 agosto 2019


Nuova produzione de La traviata, unico appuntamento operistico del Festival giunto alla sua 33esima edizione.

La suggestione del Castello, del suo parco dove è stato ricavato l’Auditorio all’aperto, ma che ha uno spazio scenico coperto e assolutamente funzionale, la vicinanza con la Francia e, soprattutto, con le vicine località turistiche della prossima Costa Brava, infine un collegamento in pulman organizzato da Barcellona per garantire il rientro, seppure in tarda notte, ai molti “aficionados”, ha garantito ancora una volta, grazie anche allo popolarità del titolo, il “tutto esaurito” per la seconda ed ultima recita del capolavoro verdiano.

Uno spettacolo, nella su pretesa modernità, molto convenzionale e per certi versi prevedibile. Il regista Paco Azorin insiste sul “sempre libera”, pure proiettato a grandi lettere sul fondo scena, per sottolineare la volontà della protagonista, trasformandola in una sorta di Carmen verdiana, di decidere lei stessa del suo destino, ivi compresa la corsa accelerata alla morte colpita da una malattia che non è più la fatidica “tisi” bensì un generico “morbo” nella vaga definizione che il Dottor Grenvil esplicita alla fida Annina. La teoria è un conto, ma alla resa pratica la drammaturgia dell’opera va da un’altra parte, come suggerisce il libretto e, soprattutto, come indica la musica. La scenografia che si pretende originale, ricalca “corporeamente” quella arcinota di Svoboda, nata a Macerata e vista un po’ dappertutto almeno in Italia. Azorin ripete sullo sfondo e in verticale ciò che si vede sul palcoscenico: una serie di tavoli di biliardo che vengon buoni per tutti e tre gli atti e le relative quattro scene. Degli acrobati, legati a delle funi, pendendo dal soffitto simulano dei movimenti più o meno riflesso di quello che gli interpreti fanno in scena. La qual cosa né aggiunge nulla, anzi distrae più spesso, e nemmeno costituisce novità: vedi la recente Carmen maceratese di Spirei. Quella che è innecesariamente di più è la bambinetta che circola per il corso di tutta l’opera e che, con ogni probabilità, vorrebbe rappresentare l’innocenza (perduta?) di Violetta. L’epoca è l’attuale ed i costumi, a dire il vero molto eleganti: sono firmati da Ulises Mérida, mentre il ben realizzato gioco di luci è dovuto ad Albert Faura, così come le coreografie in cui è coinvolto altre al cospicuo numero di figuranti l’agile coro Intermezzo, diretto da José Luis Basso, costituiscono il lavoro di Carlos Martos. Non mancano le video proiezioni, opera di Pedro Chamizo.

Musicalmente il risultato è stato più apprezzabile soprattutto per la bella prova offerta dall’orchestra Sinfonica del Gran Teatre del Liceu sotto la direzione di Riccardo Frizza, una garanzia al podio. Lo spartito è stato rispettato nella sua quasi integrità, compresa la ripetizione delle cabalette di tenore e baritono e delle strette dei duetti. Ma ciò che ha convinto è stata la bella sonorità raggiunta, sebbene si sia all’aperto, come se ci si trovasse in un teatro al chiuso. Frizza non lesina colori, sfumature e pretende dai solisti la massima duttilità nel canto. Tra questi vanno lodati in primis le parti di fianco, nel complesso ottime e molto puntuali: la bravissima, anche scenicamente, Annina di Marta Ubieta, la disinvolta Flora di Laura Vila, il brillante Gastone di Vicenç Esteve Madrid, il Barone Douphol di Carles Daza, il Marchese d’Obigny di Guillem Batllori, il Giuseppe di Quintìn Bueno, il Commissionario di Néstor Pintado fino al domestico di Flora, Toni Fajardo, a tempo con “La cena e pronta”. Menzione speciale al veterano basso Stefano Palatchi, nel cameo del dottor Grenvil.

Rimane il terzetto dei protagonisti, capeggiato dalla avvenente Ekaterina Bakanova, Violetta, la quale prende quota dal secondo atto, passando con destrezza, ma senza sovracuti aria e cabaletta del primo atto, dove il suono è parso più spesso sfogato. La compenetrazione col personaggio preteso dalla regia è parsa convincente e, nonostante la sua non sia una voce prediletta dalla natura, l’interprete ha vinto ed è soprattutto piaciuta al pubblico che l’ha applaudita generosamente. Lo stesso vale per il tenore René Barbera, Alfredo, accolto con entusiasmo. Dotato di voce generosa e comunque bene in parte. I panni di Papà Germont sono stati vestiti dal baritono Quin Kelsey, a cui la voce non manca certo di armonici, ma vuoi fosse il suggerimento registico, vuoi convinzione propria, ne è scaturito un personaggio ruvido, aggressivo in eccesso e pure sarcastico nei confronti di Violetta. D’accordo, il personaggio non è per definizione simpatico. Qui sono riusciti, forse per la prima volta, a renderlo odioso e spregevole.   

Andrea Merli

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