ARENA DI VERONA: AIDA – Giuseppe Verdi, 23 giugno 2019

ARENA DI VERONA: AIDA – Giuseppe Verdi, 23 giugno 2019

Direttore d’orchestra Francesco Ivan Ciampa 

Regia Gianfranco de Bosio

Personaggi e Interpreti:

  • Il Re Romano Dal Zovo
  • Amneris Violeta Urmana
  • Aida Anna Pirozzi
  • Radamès Murat Karahan
  • Ramfis Dmitry Beloselskiy
  • Amonasro Amartuvshin Enkhbat
  •  Un messaggero Carlo Bosi
  • Sacerdotessa Yao Bo Hui

Primi ballerini Petra Conti, Mick Zeni, Alessandro Macario

Coreografia Susanna Egri

Luci Paolo Mazzon

Maestro del Coro Vito Lombardi

Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino

Direttore allestimenti scenici Michele Olcese

Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici Dell’Arena di Verona

 

Arena, 22 giugno 2019


Si fa presto a dire 700 volte: tante sono le recite di Aida andate in scena dal 10 agosto 1913 ad oggi. Che questo sia il titolo di elezione per l’Arena è fuori discussione e dubbio. La riprova l’abbiamo avuta ieri sera con un anfiteatro strapieno pure nei posti di scarsa visibilità, praticamente sopra ed oltre lo spazio dedicato alla scena. Il problema, caso mai e di fronte ad una presenza così massiccia, lo rappresenta il sistema di controllo col Metal Detector, in vigore ormai da qualche anno per prevenire possibili atti di terrorismo, approntati in numero insufficiente creando code di centinaia di metri e che hanno ritardato di oltre mezz’ora l’inizio dell’opera previsto alle 21. Mentre Radames, Amneris e Aida stavano cantando il primo terzetto, c’era ancor gente che stava entrando negli spalti più alti.

Un pubblico, anche in questo caso, che sprizza entusiasmo e affamato d’opera, intesa nel solco della più collaudata tradizione. Ogni momento è buono per far scattare l’applauso e non solo nella scena trionfale, dove per un attimo si è temuto il peggio quando qualcuno ha iniziato a ritmare l’applauso (di nuovo il fantasma della Marcia Radetzky!) per fortuna non seguito dagli oltre 15mila presenti.

Spettacolo, come si diceva, perfetto nel suo riproporre l’Aida “storica”, da cartolina Liebig fin che si vuole, molto naïve e con un buon tocco autoironico, specie nelle splendide coreografie di Sussanna Egri (giova ricordare che si tratta di una pimpante 92enne!) dove si spazia dagli scatenati “moretti” in calzamaglia marrone, alle “sacerdotesse” piumate che paiono uscite da un numero del parigino Lido, ai guerrieri egizi, calzati con stivali bianchi come altrettante Majorettes! Una delizia di Kitsch consapevole e sottolineato, che il pubblico apprezza oltre ogni umana idea. La regia del 96enne Gianfranco De Bosio, alla ribalta finale in carozzella e talmente vivace da temere che finisse per rotolare nel golfo mistico, è semplicemente ideale nella sua imponenza e nel gestire le masse che invadono scena e spalti, quanto efficace nei momenti di maggior intimità, vedi atto del Nilo e scena della tomba.

Musicalmente, inutile negarlo, si è avuta la netta sensazione che questa fosse la vera inaugurazione. Francesco Ivan Ciampa si è dimostrato non solo all’altezza dell’arduo compito – impresa sempre ciclopica dirigere quest’opera in Arena – nel tenere le redini della splendida orchestra e dell’altrettanto lodevole coro, sempre agli ordini di Vito Lombardi, ma anche abile nel tenere a bada il palcoscenico e nel cercare nuances e sottolineature drammatiche senza cedere all’enfasi pompier, all’effettaccio: festeggiatissimo e giustamente. Con lui hanno trionfato tutti: lo squillante Messaggero di Carlo Bosi, la ispiratissima Sacerdotessa di Yao Bo Hui, il prestante e monumentale Faraone di Romano Dal Zovo. Il basso russo Dmitry Beloseskiy ha impersonato un autorevole Ramfis, intanto che il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat è stato un Amonasro come da tempo non si sentiva, per morbidezza del suono scuro e vellutato, autenticamente baritonale e per la penetrazione nel fraseggio, sempre curato e con una dizione da far invidia agli italiani! Violeta Urmana torna a vestire con fulgore vocale i panni di Amneris, cogliendone tutte le sfumature ed intenzioni, dalla rabbia e sete di vendetta ai toni della seduzione e della donna innamorata: bravissima. Restano il debuttante nel ruolo di Radames Murat Karahan, tenore turco di bellissimo timbro, dall’acuto squillante e tenuto con gagliardo entusiasmo. Si n’è apprezzata l’interpretazione, dove è stato curato nel fraseggio ricco di intenzioni, modulando anche in piani e pianissimi la preziosa voce. Infine Anna Pirozzi in un ruolo dove non teme rivali e confronti: la sua Aida è semplicemente perfetta, per aderenza interpretativa e per il canto alato, ma sempre alla ricerca della parola scenica, ricco di intenzioni ed affascinante in pianissimi e messe in voce di rara seduzione ed infine saettante nel settore acuto, dove la voce si libera in sciabolate argentee superando nei concertati orchestra e solisti. Al suo apparire è scoppiato un boato di applausi e anche di fischi che, giova ricordarlo, in Arena sono segno del massimo gradimento.   

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