TEATRO ALLA SCALA: Manon Lescaut – Giacomo Puccini, 3 aprile 2019
MANON LESCAUT
Dramma lirico in quattro atti
dall’omonimo romanzo di A. F. Prévost
Libretto di Luigi Illica, Domenico Oliva, Marco Praga
Musica di GIACOMO PUCCINI
(Edizione critica a cura di Roger Parker, 2013;
Editore Casa Ricordi, Milano)
Prima rappresentazione: Torino, Teatro Regio, 1 febbraio 1893
Prima rappresentazione al Teatro alla Scala: 7 febbraio 1894
Nuova produzione Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Regia David Pountney
Personaggi e Interpreti:
- Manon Maria José Siri
- Lescaut Massimo Cavalletti
- Des Grieux Marcelo Álvarez (31 marz; 16, 19, 27 aprile), Roberto Aronica (3, 6, 9, 13, 24 aprile)
- Geronte Carlo Lepore
- Edmondo / Il maestro di ballo / Lampionaio Marco Ciaponi (31 marz; 3, 6, 9, 16, 19, 27 aprile) Alessandro Scotto Di Luzio (13, 24 aprile)
- L’Oste Emanuele Cordaro
- Un Musico Alessandra Visentin
- Sergente degli arcieri Daniele Antonangeli
- Un Comandante di Marina Gianluca Breda
- Musici Barbara Lavarian, Roberta Salvati (sop. primi), Silvia Spruzzola (sop. secondo), Julija Samsonova, Maria Miccoli (contralti)
Scene Leslie Travers
Costumi Marie-Jeanne Lecc
Coreografia Denni Sayers
Luci Fabrice Kebour
Teatro alla Scala, 3 aprile 2019
“Una tragedia ferroviaria” potrebbe essere il sottotitolo di questo allestimento di Manon Lescaut, nuova produzione del Teatro alla Scala, regia di David Poutney, scene di Leslie Traves, costumi di Marie-Jeanne Lecca, coreografia di Denni Sayers, luci di Fabrice Kebour. Uno di quegli “spettacoloni-oni-oni” per i quali non si e’ lesinato in spese e che fanno tanto “colossal Scala”. Come, del resto, l’Attila inaugurale e la recentissima Kovancina, ma nello specifico con risultati dal punto di vista registico molto scarsi, tant’è che alla “prima” son piovuti inevitabilmente ed implacabilmente dei sonori “buh” che hanno distratto il malcapitato regista facendolo precipitare nella buca del suggeritore, fortunatamente senza conseguenze che non fosse la comicità involontaria della scena, ripresa e finita immediatamente sul web.
Alla monumentalità della stazione, omaggio all’archeologia industriale ed alle costruzioni in ghisa del periodo in cui fu composta l’opera, con il transito nel solo primo atto di ben quattro convogli ferroviari sul doppio binario inframezzato da una banchina d’attesa, si sommano l’interno di un convoglio di gran lusso, articolato in tre vagoni mobili, per decoro a metà strada tra un Saloon del Far West ed il carrozzone della compianta Moira Orfei, un’enorme poppa di nave, che a sua volta pareva ispirata al mitico transatlantico Rex del film “Amarcord” di Fellini, ed infine la stessa stazione di partenza, ma invasa da dune di sabbia e definitivamente fuori uso, a significare la landa desolata del quarto atto. In questo faraonico ed eccessivo contesto, il regista ha voluto aggiungere ben nove Manon, di statura degradante dall’adolescenza alla prima infanzia, come contorno alla figura piuttosto matronale della protagonista ed ha invece accomunato in un unico personaggio, sorta di paraninfo, lo studente Edmondo, il Maestro di ballo ed il lampionaio. All’inizio si è pensato volesse significare una sorta di flashback della protagonista, adagiata su un carro merci sia nella prima scena che poi alla fine dell’opera senza possibilità di muoversi. La drammaturgia, volendo da un lato rimaner fedele e dall’altro rinnovarsi, si è persa in dettagli inutili quando non risibili: Geronte che segue il tutto con una macchina fotografica, novello barone von Gloeden, ad immortalare la coppia che lo cornifica, Lescaut cugino e magnaccia che mette all’asta le prostitute deportate in America dopo che queste vengono pesate pubblicamente. Insomma, un tanto al kilo anche per questo spettacolo destinato comunque a piacere, come si è potuto constatare dalla seconda recita col turno B di abbonamento, più per la confezione che per il contenuto.
Di tutt’altra valenza la parte musicale in cui va lodata, innanzi tutto, l’eccezionale prova dell’orchestra ed il lavoro meticoloso condotto da Riccardo Chailly, il quale nell’ottica e nel programma sistematico di offrire le prime versioni delle opere di Puccini, dopo la Butterfly inaugurale di due stagioni fa ci propone la Manon Lescaut nella prima versione di Torino del 1893. Premesso che Puccini metteva continuamente mano ai suoi lavori e che la versione abituale si rifà all’ultima revisione del 1923, l’interesse sta in special modo nel finale primo, che ha una struttura più spiccia e particolarmente nell’ultimo atto, dove la famosa romanza “Sola perduta abbandonata” comporta una scrittura più articolata, drammaticamente meno efficace, ma assai bella da udire. Detto ciò, soddisfatta la curiosità, si può tornare beatamente all’edizione universalmente nota. Ottimo, come sempre, il coro istruito da Bruno Casoni. Avendo assistito alla prova generale si è potuto apprezzare il Des Grieux di Marcelo Alvarez, trovato in splendida forma fisica e in ottima forma vocale. Alla seconda recita, che ha seguito la prima del 31 marzo dove pare desse già qualche segno di sofferenza, lo ha sostituito Roberto Aronica, previsto per alcune repliche, confermando la sua generosità vocale ed il forte temperamento, grazie ad un fraseggio scolpito ed incisivo. Massimo Cavalletti, Lescaut, è piaciuto moltissimo per la disinvoltura scenica in una parte che da un punto di vista vocale non pone problemi alla sua rigogliosa e ben proiettata voce. Geronte ha trovato in Carlo Lepore un interprete di lusso, musicalmente sicuro e certo non senescente come spesso capita di sentire in questo ruolo. Marco Ciaponi, nel triplice ruolo di Edmondo, Maestro di ballo e Lampionaio, si è fatto apprezzare per la bella linea e la chiara vocalità e così gli altri ruoli di fianco, compreso quello del Musico affidato ad Alessandra Visentin, non più come brano solistico bensì contornata da altre damigelle – che alla fine sollevano la gonna “alla veneziana” per fare intravvedere le terga – Barbara Lavarian, Roberta Salvati, Silvia Spruzzola, Julija Samsonova e Maria Miccoli.
Buona ultima Maria Jose’ Siri, Manon. Il soprano è una specialista del ruolo ed è garanzia di solidità e presenza musicale inoppugnabili. Certo, chi ricorda le “dive” che nel passato hanno affrontato il ruolo potrà accusare l’assenza di una personalità travolgente, ma non è stata aiutata dalla regia, ne dal trucco e parrucco e nella scelta dei costumi che l’hanno messa in difficoltà, nel primo atto volendo spacciarla per una collegiale e nel secondo con un vestito che, nello stile belle epoque, la impacciava e quel che è peggio le faceva far tappezzeria col rosso dell’interno del vagone. Ciò nonostante la sua è stata un’esibizione in crescita e nel quarto atto ha trovato gli accenti ed I colori per risultare addirittura commovente. Il pubblico, generoso con tutti, a lei ha decretato un meritato trionfo personale.
Andrea Merli