VENEZIA: Semiramide – Gioachino Rossini, 27 ottobre 2018

VENEZIA: Semiramide – Gioachino Rossini, 27 ottobre 2018

Semiramide

melodramma tragico in due atti
Musica Gioachino Rossini
Libretto Gaetano Rossi
Fonti letterarie Sémiramis di Voltaire
Prima rappresentazione 3 febbraio 1823
Teatro Teatro la Fenice, Venezia

Teatro La Fenice, 27 ottobre 2018

Direttore Riccardo Frizza
Regia Cecilia Ligorio

Personaggi e Interpreti:

  • Semiramide Jessica Pratt
  • Arsace Teresa Iervolino
  • Assur Alex Esposito
  • Idreno Enea Scala
  • Oroe Simon Lim
  • Azema Marta Mari
  • Mitrane Enrico Iviglia
  • L’ombra di Nino Francesco Milanese

Scene Nicolas Bovey
Costumi Marco Piemontese
Movimenti coreografici e ballerina Daisy Ransom Phillips

ballerine: Olivia Hansson, Elia Lopez Gonzalez, Marika Meoli, Sau-Ching Wong

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti

nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice


Ultima recita del capolavoro rossiniano, Semiramide, che proprio al Teatro La Fenice vide la luce il 3 febbraio del 1823. Come si è più volte ripetuto, il trentunenne Rossini concluse così una parabola ideale che lo aveva visto debuttare a Venezia con La cambiale di matrimonio al Teatro di San Moisé nel 1810. In tredici anni, trentaquattro opere composte espressamente per i teatri italiani. Un’attività frenetica culminata con quest’opera dalle proporzioni bibliche di cui La Fenice custodisce l’autografo, esposto in bella mostra nelle sue sale durante il corso delle recite. Il “Progetto Rossini” nel centocinquantesimo anniversario della morte non poteva avere esito migliore ed il trionfo che ha accolto gli interpreti a fine rappresentazione, dopo i tanti e scroscianti applausi a scena aperta a conclusione di arie, duetti e pezzi d’assieme, ha pochi paragoni, anche tornando indietro con la memoria ad altre serate “infuocate” trascorse in teatro.

Merito di una lettura integrale dell’opera, che lungi dall’appesantire l’ascolto anzi ha aiutato alla miglior comprensione della monumentalità dell’opera e ciò a riprova che i tagli, spesso motivati da fatti contingenti e tutt’altro che “artistici”, sono sempre una mutilazione sciagurata, specie nelle opere, come questa, di puro Belcanto, baluardo estremo dell’opera “neoclassica” al successivo impetuoso “romanticismo” in musica, tanto detestato dal Pesarese e, probabilmente, uno dei motivi che lo convinsero a non comporre più per il teatro una volta concluso quell’altro capolavoro assoluto che è il Guglielmo Tell.

E ciò è uno dei riconoscimenti che vanno tributati in primis alla direzione artistica e, soprattutto, al direttore Riccardo Frizza che ha condotto in maniera esemplare la lodevole orchestra ed il non meno bravo coro del Teatro La Fenice, istruito alla perfezione da Claudio Marino Moretti. Una lettura dal ritmo serrato ed incalzante, ma attenta e carezzevole nell’accompagnamento dei solisti, per esempio nei duetti tra Arsace e Semiramide dove si è avuta una compenetrazione ideale tra voci mirabilmente affiatate ed orchestra. Frizza ha tenuto sempre con vigore le redini anche nei difficili concertati ed ha dimostrato un sostanziale rigore tanto nelle dinamiche, quanto nella scelta dei tempi. Se qualche suono è parso a volte eccessivo lo si deve imputare all’entusiasmo di un’orchestra che forse andava, a tratti, maggiormente contenuta, ma pensare che lo spettacolo è stato confezionato in un mese, prove e recite comprese, dà la misura di un lavoro coscienzioso e certosino.

Perfettamente in parte ed adeguati i solisti, iniziando proprio dai ruoli di fianco. Il Mitrane di Enrico Iviglia, in effetti, ha a suo carico solo dei recitativi, ma eseguiti con precisione ed il giusto accento; così pure la voce dell’ombra di Nino, sebbene amplificata per motivi scenici, rivela nel basso Francesco Milanese una bella grana e un timbro di qualità. Oroe, il capo dei Magi, trova in Simon Lim un interprete di lusso, per vocalità e partecipazione scenica e così l’Azema – strano personaggio, ambito da tutti, ma a cui Rossini e Rossi non concedono nella pur rigogliosa economia dell’opera nemmeno un’aria da sorbetto – nella voce del soprano Marta Mari, molto apprezzata.

Enea Scala, che nonostante un’indisposizione ha condotto in porto la recita senza perciò fare annunciare lo stato di malattia, è stato un Idreno, il principe indiano, ideale: voce estesa, duttile e squillante in acuto, sciolto nelle tremende agilità previste e rispettate con tanto di variazioni nelle sue due impegnative arie. Alex Esposito, non più zoppicante a causa di un incidente in scena durante le prove e armato di un bastone per far di necessità virtù, ha dato massimo rilievo al ruolo del perfido Assur, con la sua vocalità franca ed un’esposizione ideale del canto, tanto nelle coloriture quanto nel fraseggio ed accento, davvero ammirevoli. Applauditissimo dopo la scena del “delirio” nel secondo atto, che lo raffigura quasi come un Macbeth rossiniano, afflitto da terrificanti visioni.

Infine le due donne, Tersa Iervolino, Arsace e Jessica Pratt, Semiramide. Non si tratta di azzardare paragoni col passato, eppure si è avuto modo di assistere a recite con la Valentini e la Horne, con la Ricciarelli e la Caballé, tanto per fare solo qualche esempio. Devo ammettere, però, che la simbiosi perfetta nel loro canto nei duetti, a cui si è accennato sopra, la precisione musicale, il gusto nelle variazioni, in una parola l’aderenza stilistica al dettato rossiniano, non teme confronti e anzi, rinnova il piacere provato ascoltando quelle massime interpreti nel passato. Della Iervolino ci si bea con la bella pasta vocale, il velluto in zona centrale e grave e quindi la veemenza in zona acuta. Della Pratt, qui coadiuvata da una regia particolarmente stimolante e centrata, si loderà la luminosità del canto, variato con estrema scioltezza e gusto, i bagliori di sopracuti facili, timbrati e lanciati con estrema naturalezza. Entrambe festeggiatissime da un pubblico letteralmente impazzito che ha applaudito pure Cecilia Ligorio, trascinata letteralmente in scena per il perdurare delle chiamate finali, che ha firmato la regia. Uno spettacolo elegante, cromaticamente azzeccato nella scelta dei colori e nel disegno delle luci (scene di Nicolas Bovey, costumi di Marco Piemontese, luci di Fabio Barettin) e che ha puntato molto sul personaggio della protagonista, divisa tra potere, sensualità e inconsapevole incesto. Il tutto con estrema chiarezza anche per la intelligente figurazione, usata senza prevaricazione grazie pure ai movimenti coreografici della ballerina Daisy Ransom Phillips.

Infine, una bella notizia: su You Tube potete trovare la ripresa integrale dell’opera, che penso poi sarà consegnata a un DVD commerciale.

Andrea Merli

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