BOLOGNA: Don Carlo, 6 giugno 2018
Direttore Michele Mariotti
Regia e luci Henning Brockhaus
Personaggi e Interpreti:
- Filippo II Dmitry Beloselskiy
- Don Carlo Roberto Aronica
- Rodrigo Luca Salsi
- Il Grande Inquisitore Luiz-Ottavio Faria
- Un Frate Luca Tittoto
- Elisabetta di Valois Maria José Siri
- La Principessa Eboli Veronica Simeoni
- Tebaldo Nina Solodovnikova
- Il Conte di Lerma Massimiliano Brusco
- Un Araldo Reale Rosolino Claudio Cardile
- Una voce dal cielo Erika Tanaka
- Deputati fiamminghi Federico Benetti, Alex Martini, Luca Gallo, Paolo Marchini, Abraham García González, Carlo Malinverno
Scene Nicola Rubertelli
Costumi Giancarlo Colis
Coreografie Valentina Escobar
Maestro del Coro Andrea FaiduttiOrchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Torna sulla scena del Teatro Comunale di Bologna Don Carlo, nella nota versione in italiano ed in quattro atti, dopo quasi sessanta anni di assenza. Motivo principale di interesse il debutto nel capolavoro verdiano di Michele Mariotti, direttore principale a Bologna.
Assistendo alla prima, coronata per il versante musicale di un franco e caloroso successo, si è comunque avuta l’impressione che i tempi di prova siano stati stretti, se non insufficienti, e che si sia arrivati un po’ in anticipo al nastro di partenza. Non tanto nelle intenzioni del direttore, che ha centrato a pieno lo spirito e, soprattutto, la “tinta” dell’opera, la quale ha una sua imponenza claustrale e anche claustrofobica, che scorre quasi tutta in un’incombente aura notturna e anche laddove si esce all’aperto incombe la tragedia, quanto nella risposta dell’orchestra, specie all’inizio con sfasature negli attacchi e stonature evidenti degli ottoni. Poi in corso d’opera il tiro si è aggiustato. Ne hanno tratto vantaggio soprattutto i momenti di espansione lirica, per esempio il magnifico duetto tra Elisabetta e Carlo al primo atto, tutta la scena del carcere e a partire della grande scena di Elisabetta tutto il finale; è mancata in parte la magniloquenza nelle scene di insieme, in particolare in quella davanti la Cattedrale di Nostra Signora de Atocha. Comunque il lavoro del direttore, accolto da battimani e… battipiedi è stato apprezzatissimo.
Impietosi buh invece per i realizzatori della parte visiva. Si tratta, sulla carta, di un nuovo allestimento per la regia di Henning Brockaus, responsabile pure delle luci. In realtà si è riciclato un allestimento creato per un precedente Otello da Nicola Rubertelli; pure i costumi, che sembravano presi a casaccio in magazzino, stilisticamente spazianti almeno due secoli, opera di Giancarlo Colis, le coreografie (?!?) di Valentina Escobar sono parsi a dir poco risibili. Insomma, per rendere l’idea, mi sono trovato impiccionescamente intento a leggere i sovratitoli pur di non guardare ciò che avveniva in scena. Non entro nel dettaglio, ci hanno pensato già altri sia sui “social” che nei siti specializzati, a dirne male: un obbrobrio.
In questo marasma che ha fatto rimpiangere la forma concertante, si sono mossi loro malgrado i solisti, affidandosi alle loro personali capacità più che ad un’inesistente idea registica. La più disinvolta, è stato rimarcato anche da latri, è parsa Veronica Simeoni, conciata come Jean Harlow in un film dai telefoni bianchi, Eboli. L’interprete convince anche sul fronte musicale, evitando inutili affondi e cantando sempre con la sua bella voce. Bene, benissimo il suo compagno nella vita, inutilmente sedotto in scena Roberto Aronica, Don Carlo: voce franca, sonora e ben presente, capace di smorzare e cantare anche piano e pianissimo. Molto convincente Luca Salsi, seppure costretto in un doppiopetto blu-cina che faceva tanto “cumenda”, per la linea di canto, oltre che per la bella voce dal colore baritonalmnete grato. Di rilievo nei duetti, con Carlo e poi con Filippo, si è ritagliato un momento di gloria nella scena del carcere dove è riuscito a commuovere. Bene ma non benissimo tanto il basso Dmitry Beloselskly, dal colore chiaro, Filippo II di scarsa imperiosità e il basso Luiz-Ottavio Faria, Grande Inquisitore senescente anche nella voce non proprio fermissima. Ottima la Elisabetta di Maria José Siri, la peggio combinata per costume e parrucca, dal canto fremente e ben dosato, attenta nel fraseggio e nel distribuire l’imponente voce in piani e pianissimi, salvo salire con protervia all’acuto, molto applaudita dopo la difficile aria finale.
Completavano il cast l’eccellente Frate / Carlo V di Luca Tittoto, un basso di tutto rispetto che forse avrebbe giovato impegnare in un ruolo più importante, il puntuale e penetrante paggio Tebaldo di Nina Solodovnikova, gli apprezzabili Conte di Lerna ed un Araldo, rispettivamente Massimiliano Brusco e Rosolino Claudio Cardile e la bella voce dal cielo del soprano Erika Tanaka. Il coro, a tratti un po’ sotto tono anch’esso, è stato come sempre istruito da Andrea Faidutti.
Andrea Merli