VERONA: Salome – Richard Strauss, 22 maggio 2018
Direttore d’orchestra Michael Balke
Regia Marina Bianchi
Personaggi e interpreti:
- ERODE Kor-Jan Dusseljee
- ERODIADE Anna Maria Chiuri
- SALOME Madina Karbeli
- JOCHANAAN Fredrik Zetterström
- NARRABOTH Enrico Casari
- UN PAGGIO DI ERODIADE Belén Elvira
- CINQUE GIUDEI Nicola Pamio, Pietro Picone, Giovanni Maria Palmia, Paolo Antognetti, Oliver Pürckhauer
- DUE NAZARENI Romano Dal Zovo, Stefano Consolini
- DUE SOLDATI Costantino Finucci. Gianfranco Montresor
- UN UOMO DELLA CAPPADOCIA Alessandro Abis
- UNO SCHIAVO Cristiano Olivieri
Scene Michele Olcese
Costumi Giada Masi
Movimenti mimici Riccardo Meneghini
Lighting designer Paolo Mazzon
Direttore Allestimenti sceniciMichele Olcese
Orchestra e Tecnici dell’Arena di Verona
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
Ultima opera in cartello al Teatro Filarmonico, in attesa della Carmen inaugurale della prossima stagione in Arena, esattamente con un mese di anticipo è andata in scena Salome di Richard Strauss; per un’unica recita con protagonista il soprano georgiano Madina Karbeli nel ruolo della conturbante principessa.
La Karbeli, già nota per aver partecipato in piccoli ruoli proprio in Arena, non ha perso l’occasione per mettere in evidenza le sue notevoli qualità vocali ed interpretative, inserendosi perfettamente nello spettacolo e dando grande credibilità scenica al difficile personaggio. La sua vocalità è di soprano lirico, ma ciò che le ha giovato è stata soprattutto la peculiare caratteristica timbrica, che pur svettando in acuto a piena voce e con ricchezza di armonici, capace di sovrastare il pesante ordito orchestrale, e di piegarsi anche in preziosi pianissimi, conserva un tocco di leggerezza a tratti anche infantile, idoneo alla psicologia di un personaggio che avrebbe dato filo da torcere a Sigmund Freud, per la perversione frigida e necrofila, per la più o meno cosciente capacità di turbare chi la circonda. E dunque il soprano ha affilato le armi della seduzione, senza riuscire a scalfire la marmorea rigidità del Battista, impersonato dal massiccio e potente baritono scandinavo Frederik Zetterstrom, dalla voce imponente, e quindi nei confronti del libidinoso e incestuoso patrigno Erode, assai ben cantato e recitato dal tenore olandese Kor-Jan Dusseljee. Nel finale, travolgente e trascinante, l’è riuscito infine di provocare un brivido di raccapriccio nel realistico abbraccio e bacio alla testa del decollato Giovanni. Particolarmente abile pure nella fatidica “danza dei sette veli”, risolta con la partecipazione di un’immagine sdoppiata di sé stessa e con altre due danzatrici dall’atteggiamento saffico che la scioglievano dalle bende, si è poi sottomessa all’amplesso col patrigno che, preso dalla foia libertina, le ha pure strappato la veste lasciandola a seno (perfetto, va sottolineato) nudo.
La regia dello spettacolo, un nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona, reca la firma di Marina Bianchi; si sviluppa l’azione con buon ritmo mantenendo il tutto fuori dal tempo, e cioè nel mito. Una realizzazione classica, che ha avuto qualche sussulto di trasgressione nel presentare, oltre alle scene saffiche tra le due figuranti, un amore omosessuale tra il paggio, il mezzosoprano spagnolo Belén Elvira (combinata in modo da essere simile alla cantante pop austriaca Conchita Wurst) e il giovane Narraboth, assai ben cantato dal tenore di Verona Enrico Casari. La scena fissa di Michele Olcese, un colonnato classico, dietro cui si immaginava il palazzo di Erode, e la cisterna per Jochanaan sulla sinistra, i costumi di Giada Masi, elegantissimo quello dell’Erodiade interpretata mirabilmente dalla sempre bravissima Anna Maria Chiuri, pure contribuivano alla riuscita dello spettacolo, così come le luci di Paolo Mazzon e le proiezioni video realizzate da Matilde Sambo.
La responsabilità di dirigere è ricaduta sul giovane direttore tedesco Michael Balke, il quale l’opera conosce a menadito e che ha condotto a buon fine seguito dall’orchestra in grande forma. Apprezzabile l’abilità nel mantenere le briglie del palcoscenico, specie quando è particolarmente affollato: la scena in cui intervengono i cinque ebrei, nell’ordine: Nicola Pamio, Pietro Picone, Giovanni Maria Palmia, Paolo Antognetti e Oliver Purckhauer; i due nazareni, il tenore Stefano Consolini e l’emergente basso Romano Del Zovo. Ricordiamo infine i due soldati, all’inizio dell’opera: Costantino Finucci e Gianfranco Montresor, l’uomo della Cappadocia, il giovane basso Alessandro Abis e lo schiavo impersonato dal tenore Cristiano Olivieri a cui la regia ha dato particolare spicco, trasformandolo in una sorta di cane al guinzaglio della terribile e vendicatrice regina.
Il pubblico, non molto numeroso ma assai partecipe, ha decretato alla fine un caloroso successo attardandosi negli applausi, specialmente diretti alla brava protagonista.
Andrea Merli