SOFIA: PARSIFAL – Richard Wagner 8 luglio 2017
Parsifal è l’ultimo dramma musicale di Richard Wagner, andato in scena il 26 luglio 1882 al Festival di Bayreuth diretto da Hermann Levi, ma rappresentato per la prima volta nei teatri europei solo a partire dal 1º gennaio 1914 con la “prima” a Bologna con Giuseppe Borgatti. (Wikipedia)
Checché ne pensi l’adorata Raina Kabaivanska, che più volte e non proprio scherzosamente mi ha pubblicamente redarguito per alcune mie recensioni riguardo alle opere di Wagner eseguite all’Opera Nazionale di Sofia, di cui da tempo ormai immemorabile riporto sulla stampa italiana, nello specifico la rivista “l’Opera” e in Barcaccia, adducendo che: “Le voci bulgare non sono nate per cantare Wagner!”, il buon giorno si vide dal mattino della Tetralogia, portata a termine anno dopo anno con coraggiosa ed anche un po’ caparbia costanza e pure in tournée fuori dalla Bulgaria: nel 2018 sarà a Mosca. Poi fu un succedersi di titoli del Tedesco, in un crescendo di maturazione sia vocale che musicale. Ora con la nuovissima produzione di Parsifal, per la prima volta eseguito in terra bulgara, si concede ai complessi dell’Opera Nazionale di Sofia ed ai solisti, tutti bulgari va sottolineato, il diploma di wagneriani DOC.
A crederci con fede incrollabile è stato un “puro folle”, parafrasando il titolo in questione, che risponde al nome di Plamen Kartaloff, direttore del Teatro e regista, in questa come in altre occasioni, infallibile per le intuizioni drammaturgiche, caratterizzate da una lettura limpida, anche didattica per un pubblico digiuno di Wagner e con attenzione per i piccoli ascoltatori, a cui le opere vengono proposte in versione tradotta e ridotta, formato pocket opera, come nel circuito di Opera Lombardia. E se la Tetralogia è stata riletta come un cartoon Manga, ispirandosi alla visonaria grafica giapponese, per le altre opere la chiave è stata diversa.
Per esempio in questo Parsifal, scene di Numen Ivana Jonke e costumi di Stanka Vauda, significativa, in una visione minimalista tutt’altro che oleografica, la divisione dei due mondi: quello dei Cavalieri del Gral in bianco e nero, con predominio del grigio, plumbeo e spento, quasi privo della luce per colpa della debolezza di Amfortas, dove il vetusto Titurel appare quasi fosse l’ombra di Banco; rosso e nero nel castello e giardino fatato di Klingsor, che si sviluppa su un particabile ed una pedana, e si sprofonda in botole immerse in un immenso drappeggio sollevato dal vento, con forme sinuose e carnali, evidente simbolo dell’utero materno rimpianto da Parsifal. Altro drappeggio quello sceso dal soffitto, sospeso sulla grande piattaforma girevole del palcoscenico, si aggroviglia e scioglie simulando, a seconda, un bosco impenetrabile o le colonne del sacro tempio; delle piattaforme si infossano diventando il rivo con l’acqua con cui si battezzano Parsifal e Kundry; infine il finale vede il rinsavito eroe proiettato verso un futuro, con Kundry redenta che diventerà sua sposa e, suppostamente, madre di Lohengrin.
Il tutto di sobria eleganza, di felice pertinenza e, grazie anche ad un gioco di luci fantastico con uso mirato dei led, opera Andrej Hajdinjak, assolutamente coinvolgente: l’opera, con le sue oltre quattro ore di durata, è volata via ed è stata applaudita con entusiasmo dal folto pubblico che il sabato 8 luglio affollava la sala per la seconda recita.
Pubblico che ha apprezzato moltissimo anche la parte musicale: innanzi tutto va lodata l’orchestra che con gli anni ha acquistato un’indubbia specificità e tenuta, ideale per la pulizia del suono e per creare le atmosfere spesso evanescenti che Wagner dispensa a piene mani, ma anche per mettere in risalto i momenti di maggior enfasi. Ottima pure la prestazione del coro, istruito come sempre da Violeta Dimitrova a cui si unito, per l‘occasione, il non meno lodevole coro di voci bianche della Radio Nazionale Bulgara, diretto da Venetsia Karamanova. Il merito del successo va attribuito in gran parte al giovane direttore d’orchestra Constantin Trinks, nato a Karlsruhe nel 1975, che si sta facendo largo tra i giovani direttori tedeschi dopo essere stato al fianco di Kazushi Ono e Christian Thielemann a Bayreuth. La sua una lettura per molti versi memorabile e di grande impatto.
Il cast ha avuto, come del resto nelle precedenti opere di Wagner, l’istruzione di un eccezionale Musical trainer: Richard Trimborn, ma ciò che non finirà mai di stupire è il fatto che i componenti del doppio cast siano tutti bulgari: il che conferma che, comunque ed anche con Wagner, la Bulgaria continua ad essere una miniera di voci. Iniziando dal evergreen tenore Kostadin Andreev, per il quale il tempo pare essersi fermato per via dell’aspetto quasi fanciullesco, ideale quindi per il ruolo di Parsifal, dotato di una vocalità che non mostra segni di cedimento. Negli anni, e cito a casccio ed a memoria, gli ho scoltato l’Andrea Chenier, il Cavaradossi, l’Hoffmann de Les Contes, e ultimamente i ruoli wagneriani che costituiscono ormai una sua ulteriore specialità. La voce ricca di armonici corre con un bel timbro che ha acquistato corpo in zona centrale senza perdere la facilità all’acuto. Benissimo pure Radostina Nikolaeva, Kundry: soprano lirico con tendenza al drammatico, dalla voce armoniosa e soave e al tempo, tagliente e sferzante. Una Kundry sfrenata, nei momenti di selvaggia irruenza, ma anche seducente e languida agli ordini del mago Kligsor. Questi ha trovato una bellissima realizzazione nel baritono Biser Georgiev, dal colore di voce brunito e assai presente sia nel fraseggio scandito con vigore che nella recitazione molto convincente.
Il ruolo di Gurnemanz, risaputamente, è forse quello vocalmente più esposto, perché se è vero che non partecipa nel secondo atto, ha di ché cantare e molto nel primo ed ultimo: la resistenza fisico-vocale deve esserne la caratteristica. A tale compito ha risposto con efficacia scenica e, soprattutto, musicale il bravissimo basso Angel Hristov, autorevole e anche paterno nella scansione della parola cantata.
Ottimo è parso pure il baritono Atanas Mladenov, un Amfortas di giovanile, ma sofferto aspetto, assai ben cantato con voce di bella grana. Più defilata la parte di Titurel, assai ben Impersonato dal potente basso Petar Buchkov, vecchia conoscenza e non solo nelle opere di Wagner. Infine ottime tutte le parti così dette di fianco: i cavalieri del Gral, Hrisinir Damyanov e Stefan Vladimirov, gli scudieri Rada Toteva, Ina Petrova (poi anche una delle Fanciulle fiore) Krasimir Dinev e Kalin Dushkov. Le Fanciulle fiore, sexy e molto impegnate nei movimenti coreografici, sommavano alla citata Petrova, Lyubov Metiodeva, Mariela Alexandrova, Mirela Yabandzhieva, Angelina Mancheva ed Alexandrina Stoyanova-Andreeva.
Alla fatica, che non si esagera nel definire ciclopica, hanno contribuito decisamente l’infaticabile direttrice di palcoscenico Vera Beleva e l’indispensabile assistente musicale Yulia Krasteva, due capisaldi dell’Opera di Sofia.
Andrea Merli