I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA – Richard Wagner Teatro alla Scala, 5 aprile 2017
DIE MEISTERSINGER VON NÜRNBERG
I maestri cantori di Norimberga
Opera in tre atti
Libretto e musica di
RICHARD WAGNER
(Editore Schott Music GmbH & Co. KG; rappr. per l’Italia Sugarmusic S.p.A. – Edizioni Suvini Zerboni)
Produzione Opernhaus Zürich
Direttore DANIELE GATTI
Regia HARRY KUPFER ripresa da DEREK GIMPEL
Personaggi e interpreti:
- Hans Sachs, calzolaio: Michael Volle, Michael Kupfer-Radecky (5 apr.)
- Veit Pogner, orefice: Albert Dohmen
- Kunz Vogelgesang, pellicciaio: Iurie Ciobanu
- Konrad Nachtigall, stagnaio: Davide Fersini
- Sixtus Beckmesser, scrivano: Markus Werba
- Fritz Kothner, fornaio: Detlef Roth
- Balthasar Zorn, fonditore: Markus Petsch
- Ulrich Eisslinger, erborista e droghiere: Neal Cooper
- Augustin Moser, sarto: Stefan Heibach
- Hermann Ortel, saponaio: James Platt
- Hans Schwarz, calzaiolo: Dennis Wilgenhof
- Hans Foltz, calderaio: Miklós Sebestyén
- Walther von Stolzing, giovane cavaliere di Franconia: Erin Caves
- David, apprendista di Sachs: Peter Sonn
- Eva, figlia di Pogner: Jacquelyn Wagner
- Magdalene, nutrice di Eva: Anna Lapkovskaja
- Un guardiano notturno: Wilhelm Schwinghammer
Scene HANS SCHAVERNOCH
Costumi YAN TAX
Luci JÜRGEN HOFFMANN
Coreografia DEREK GIMPEL
Video designer THOMAS REIMER
CORO E ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro BRUNO CASONI
Ritornano dopo oltre 25 anni I Maestri Cantori al Teatro alla Scala, peccato però che l’affluenza di pubblico – nonostante alcuni abbiano colto l’occasione di ripetere l’ascolto – sia stata piuttosto scarsa. All’ultima recita, impiccionescamente presa al volo tra una trasferta e l’altra, la platea offriva un aspetto desolante, con diverse file completamente vuote e molti palchi vuoti. E’ pur vero che il teatro in parte si è ripopolato dopo il primo atto (l’inizio dell’opera, vista la monumentale proporzione, era stato anticipato alle 18, orario difficile da rispettare in giornata infrasettimanale) però molti erano quelli che si erano spostati e ridistribuiti per trovare una posizione più comoda e con migliore visuale.
Ciò detto, lo spettacolo con la regia di Harry Kupfer, importato da Zurigo e firmato per le scene da Hans Schavernoch, costumi di Yan Tax, luci di Jurgen Hoffmann, coreografie di Derek Gimpel e video di Thomas Reimer, conferma una tranquillizzante theater-regie “alla svizzera“, e cioè molto più soft di altri prodotti provenienti da oltralpe, presentando le rovine post belliche di una chiesa gotica come unico elemento incombente e corporeo posto su una piattaforma (alquanto rumorosamente) girevole. Rovine buone per ogni ambiente nel corso dei tre atti e delle rispettive quattro scene. Sullo sfondo si percepiscono le immagini video di una Norimberga che risorge dalle ceneri, affollata di gru per la ricostruzione nel secondo atto e quindi offrendo nel terzo un inquietante sky line di brutti grattacieli. I costumi improntati sulla moda degli anni 40 e/o 50 dello scorso secolo per le donne non subiscono però nessuna evoluzione temporale e sono parsi per giunta bruttarelli. In tutto ciò la regia è parsa assolutamente convenzionale e dunque, come oggi si dice con un punto di rassegnazione “non ha dato fastidio”. Personalmente rimpiangerò sempre le tele dipinte da Mestres Cabanes negli anni 40, riprese per rendere omaggio all’ultra novantenne scenografo al Teatro del Liceo qualche anno prima dell’incendio e purtroppo ormai irrimediabilmente perdute.
Molto meglio la parte musicale, con un’orchestra in grandissimo spolvero che ha seguito la entusiasmante direzione di Daniele Gatti, per molti versi paradigmatica di una maniera di intendere questo Wagner che, sfuggendo a leggende e miti, ci riporta nel vivo e nel “vero” della storia tedesca (compresa la nazionalistica tirata finale di Hans Sachs), molto più “domestico” che nella Tetralogia e che nelle restanti opere. Gatti ha colto appieno questa dimensione lirica senza però rinunciare all’enfasi laddove essa è prevista con un tessuto orchestrale rigoglioso ed esplosivo e concertando stupendamente anche le scene più concitate, per esempio il finale secondo, quello della “baruffa” in strada, con un prezioso lavoro di precisione musicale, in ciò seguito pure dal coro istruito al solito dal bravo Maestro Bruno Casoni.
Luci ed ombre, piuttosto, sul versante vocale. Luce forte e poderosa quella che ancora emette, con una autorevolezza ed un peso sonoro ammirevole, il veterano Albert Dohmen, qui nei panni dell’orafo Pogner, padre della contesa Evuccia. Questa, il soprano Jacquelyn Wagner, pur con una figura elegante e slanciata (fin troppo) ha una voce forse troppo leggera per un ruolo che non è impegnatissimo, ma che nelle due scene con Hans Sachs del secondo e, soprattutto, del terzo atto ha da cantare anche in pezzi concertati. Il colore piuttosto soubrettistico lascia perplessi, specie se si legge il curriculum ricco di titoli impegnativi pubblicato sul programma di sala. Non parliamo poi del tenore Erin Caves, che pur essendo titolare di Walther von Stolzing nel secondo cast, è parso assolutamente insufficiente. Anche in questo caso ci si stupisce di leggere il repertorio che egli affronta in altri teatri. Certo la Scala con le sue caratteristiche acustiche e nella sua vastità, non fa sconti a nessuno. Sebbene il Maestro Gatti abbia cercato in ogni modo di sostenerlo e favorirlo, affievolendo ai limiti dell’udibile l’orchestra durante i suoi interventi, non si è potuto non coprire l’acuto più spesso gridato e comunque ingolato e, quel che è peggio, un’intonazione periclitante. Molto meglio il baritono Michael Kupfer-Radecky, non detentore di un timbro particolarmente bello, ma assai apprezzato come interprete: ricco di intenzioni e di un’umanità che ha reso piena giustizia al personaggio del “poeta ciabattino” anche se al finale è parso arrivare, comprensibilmente, un po’ stanco denunciando un vibrato assente nei primi due atti. Ottima la coppia costituita da David, il tenore Peter Son, e Magdalene, il mezzosoprano Anna Lapkovskaja e molto centrato nel buffo ruolo di Sixtus Beckmesser, lo scrivano Cantore, il baritono Markus Werba, accolto giustamente da un bel successo personale alla ribalta finale. Dove tutti sono stati gratificati, a dire il vero, senza troppe sottigliezze e distinzioni di merito. Tra gli altri il folto gruppo di apprendisti cantori, in buona parte allievi dell’Accademia del Teatro alla Scala, in vero preparatissimi, puntuali e molto presenti sia come attori che come vocalità.
Andrea Merli