Milano, 6 aprile 2016  LA CENA DELLE BEFFE – Umberto Giordano

Milano, 6 aprile 2016 LA CENA DELLE BEFFE – Umberto Giordano

LA CENA DELLE BEFFE

Poema drammatico in quattro atti

musica di UMBERTO GIORDANO

su libretto di Sem Benelli

(Copyright e Edizione Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano)

Prima rappresentazione: Teatro alla Scala, 20 dicembre 1924 (dir. Arturo Toscanini)

Nuova produzione Teatro alla Scala

 

 

Direttore:  Carlo Rizzi

Regia: Mario Martone

Personaggi e interpreti:

  • Giannetto Malespini: Marco Berti
  • Neri Chiaramantesi: Nicola Alaimo
  • Gabriello Chiaramantesi: Leonardo Caimi
  • Il Tornaquinci: Luciano Di Pasquale
  • Il Calandra: Giovanni Romeo*
  • Fazio: Frano Lufi
  • Il Trinca: Francesco Castoro*
  • Il Dottore: Bruno de Simone
  • Lapo, Un cantore: Edoardo Milletti
  • Ginevra: Kristin Lewis
  • Lisabetta: Jessica Nuccio
  • Laldomine: Chiara Tirotta*
  • Fiammetta: Federica Lombardi*
  • Cintia: Chiara Isotton

Maestro del Coro: Bruno Casoni 

Scene:  Margherita Palli 

Costumi:  Ursula Patzak 

Luci:  Pasquale Mari

La produzione de La cena delle beffe al Teatro alla Scala è realizzata con il sostegno della Fondazione Milano per la Scala e della signora Aline Foriel-Destezet.

Orchestra del Teatro alla Scala

*Allievi dell’Accademia Teatro alla Scala

 

la cena delle beffe 12Tutt’altra temperie, l’altra sera alla Scala. Delle tre riproposte, e cioè La campana sommersa, La donna serpente, La cena delle beffe è indubbiamente, a mio modesto avviso, la più interessante e valida, sia musicalmente che teatralmente. Umberto Giordano, oltre ad orchestrare con sapienza, possiede la vena melodica che approda sempre nel canto che spesso difetta agli altri due, forse più a Respighi che a Casella, i quali nel loro fiabesco simbolismo nordico l’uno ed orientale l’altro, insistono troppo nel declamato, colpa pure del libretto “impossibile” in entrambi i casi. In ciò, nella scelta cioè del dramma da musicare, sta pure la grandezza del compositore.

la cena delle beffe 11Nel 1924, in largo anticipo sugli altri due, Giordano affrontò un testo teatrale “forte” di Sem Benelli, quello che rappresentò il suo primo successo teatrale nel 1909, rimasto caposaldo di tutte le compagnie di prosa per decenni, a Parigi quella di Sarah Bernhardt e oltre oceano, a Broadway, quella di John Barrymore. L’adattamento alla scena operistica si traduce, precorrendo i tempi, nell’analogo di un film sonoro. Quella di Giordano è una colonna sonora ante litteram di grande impatto – oggi si direbbe da premio Oscar – che si sviluppa idealmente sulla prosa pseudo dannunziana – “Ciabatta smessa del dannunzianesimo” nella perfida opinione di Giovanni Papini – a tratti ridondante, ma teatralmente efficace di Sem Benelli.

“Musicaccia”, come sostiene una Grande Signora dell’opera? Non direi, tutt’altro. Molto sarcasmo ed ironia, anche in musica, e belle oasi liriche: il duetto Lisabetta – Neri, una di quelle. Due interludi uno più bello dell’altro, resi preziosi proprio dalla sottigliezza della strumentazione, un finale da brivido “alla Hitchcock”. Certo, mancano un “amor ti vieta” e una “mamma morta”, ma slanci lirici di tal fatta non possono essere contemplati nell’economia di un’opera dove la fa da padrone il testo truculento.

la cena delle beffe 9Di grandissimo rilievo la proposta scaligera: iniziando dalle non meno che monumentali prestazioni del tenore Marco Berti, nel ruolo dell’autore della atroce beffa Giannetto Malespini e il baritono Nicola Alaimo, il beffato Neri Chiaramantesi. Entrambi al di sopra di ogni elogio sia per l’impegno vocale, mostruoso quello richiesto al tenore e non a caso il primo Giannetto fu il barcellonese Hipolito Lazaro, e soprattutto per la perfetta resa scenica. I precedenti bolognesi, pur bravissimi, Alberto Cupido e Joan Pons, hanno passato il testimone a due interpreti di razza: il primo da tener ben presente per determinati ruoli dove si richieda, come si diceva un tempo, un “espada” con voce calda, italiana, timbro e squillo. Il secondo ormai lanciato nei palcoscenici del mondo, da richiamare in Scala pure ed al più presto. Sugli scudi l’intero cast, compresa la non adeguata Ginevra del soprano Kristin Lewis, cui manca la sensualità vocale che fu e rimane ineguagliata della Dessì e che possiede un timbro asprigno che in acuto si fa vetroso. Comunque va apprezzata perché si è impegna al massimo, ma sicuramente farà meglio in Porgy and Bess, pane per i suoi denti.

la cena delle beffe 6Ruoli di fianco o piuttosto chiamateli “cameo”: in quest’opera tutti determinanti. Iniziando da quel bel personaggio che è Lisabetta, l’unica che si intenerisce e che, finalmente, ama il “pazzo” Neri. Jessica Nuccio, giovane soprano palermitano, ne rende tutta l’appassionata dolcezza con voce di suadente e maliosa. La regia le riserva un colpo di scena finale, che lei risolve con naturale spontaneità ma che, a parer mio, è estraneo all’umanità del fanciulla innamorata: armata di kalashnikov procede all’esecuzione di tutti i presenti, laddove dovrebbe, casomai, prendere per mano il Neri, impazzito per davvero dopo aver ucciso il fratello scambiandolo per Giannetto e condurlo “verso il nulla” come recita il testo. Per il ruolo di Gabriello Chiaramentesi, breve ma teatralmente importante, è stato prescelto il tenore Leonardo Caimi, pure lui in carriera ed impegnato soprattutto all’estero in ruoli da protagonista. Perfetto il contrasto fisico tra i due fratelli: l’uno forzuto e brutale, l’altro elegante e distinto pure nel portamento. Luciano Di Pasquale, il Tornquinci da cui si organizza la cena, si è immedesimato assai bene nel ruolo di un mafioso gestore di una trattoria; ottimo pure il cinico Dottore di Bruno De Simone. Sempre apprezzata la calda vocalità del soprano Chiara Isotton, solerte Cintia domestica in casa di Ginevra, e bene il tenore Edoardo Milletti, nel doppio ruolo di Lapo e del cantore che dall’interno intona la canzone del maggio.

la cena delle beffe 4Ottima la direzione di Carlo Rizzi, seguito assai bene dall’orchestra qui ai suoi massimi livelli. Bello e ben realizzato lo spettacolo di Mario Martone, che farà furore, c’è da scommetterlo ed auspicarlo, quando e qualora la produzione passasse a “stranio suol” oltralpe. Si è ricreato l’ambiente mafioso della newyorkese Little Italy di Brooklyn durante i “ruggenti” anni Venti, giovandosi della straordinaria scena corporea creata da Margherita Palli, la quale sfrutta la tecnologia del nuovo palcoscenico utilizzando piani mobili grazie ai quali si passa dal pian terreno del ristorante, al primo piano abitazione di Ginevra, alla cantina luogo di tortura del Neri. I costumi li firma Ursula Patzak, le luci, ben curate, sono di Pasquale Mari. Il tutto funziona molto “cinematograficamente” con un meccanismo perfetto e, laddove il pubblico non comprenda il testo del Benelli, ma segua i sovratitoli tradotti, andrà a meraviglia. Uno spettacolo ottimo per l’esportazione, insomma. La regia tira dritto per una strada facilmente percorribile, molto frequentata a dire il vero, ma non perciò esente da scivoloni di dubbio gusto: per esempio l’inutile controscena in cui Cintia si “consola” manualmente durante il duetto tra Ginevra e Giannetto, il solito horror vacui che ossessiona i registi d’oggidì.

la cena delle beffe 3Più grave, a mio personale giudizio, il finale “a sorpresa” con la carneficina di tutti i “cattivi” (a far fuori Ginevra e Giannetto ci pensa il Neri prima di impazzire per davvero) da parte delle donne capeggiate da Lisabetta, sorta di angelo della morte. Non ha sorpreso più di tanto – ne abbiamo già viste di simili prodezze, per esempio a Bilbao in una Elektra firmata da Peter Konwintschny – questa “drammaturgia” che sottrae tensione ad una conclusione di per sé già raccapricciante e da brivido, correndo il rischio di essere più che tragica, grottesca. A me ha fatto venire in mente il film “A qualcuno piace caldo”, fate voi.

Ciò detto, il pubblico non foltissimo purtroppo, ha molto gradito e premiato tutti con calorosi applausi con punte trionfali per i due protagonisti maschili.

Postilla: a costo di essere “politicamente scorretto” negli anni Venti le cosche mafiose della Little Italy erano assolutamente razziste. Mai e poi mai un boss mafioso si sarebbe fatto vedere in pubblico con un’amante di colore. Figuriamoci poi nella Firenze dei Medici.

Andrea Merli

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