TORINO: Hamlet – Ambroise Thomas, 27 maggio 2025
HAMLET
Opera in cinque atti – Versione per tenore
Musica di Ambroise Thomas
Libretto di Michel Carré e Jules Barbier
tratto da William Shakespeare
Prima rappresentazione assoluta:
Parigi, Opéra de Paris , 09/03/1868
direttore d’orchestra Jérémie Rhorer
regia Jacopo Spirei
Personaggi e Interpreti:
- Hamlet John Osborn
- Ophélie Sara Blanch
- Gertrude Clémentine Margaine
- Claudius Riccardo Zanellato
- Laërte Tenore Julien Henric
- Lo spettro del defunto re Basso Alastair Miles
- Marcellus Alexander Marev
- Horatio Tomislav Lavoie
- Polonius Nicolò Donini
- Primo becchino Janusz Nosek (Regio Ensemble)
- Secondo becchino Maciej Kwasnikowski
scene Gary McCann
costumi Giada Masi
coreografia Ron Howell
luci Fiammetta Baldiserri
Lorenzo Lenzi assistente alla regia
Gloria Bolchini assistente alle scene
Francesca Sartorio assistente ai costumi
Ulisse Trabacchin maestro del coro
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Edizione in lingua originale francese
Teatro Regio, 27 maggio 2025
Seguendo una lodevole esplorazione del repertorio francese, dopo l’interessante proposta inaugurale di riunire le tre Manon, di Auber, Massenet e Puccini, il Teatro Regio di Torino porta in scena la versione originale, concepita per la voce di tenore, dell’Amleto di Ambroise Thomas, raggiungendo senza dubbio il momento clou della stagione e un livello qualitativo, sia dal punto di vista visivo che soprattutto musicale, difficilmente eguagliabile.
Opera un tempo popolare, con la parte del protagonista affidata alla corda baritonale per la mancanza, nel 1868 all’Académie Nationale de Musique dove Hamlet vide il debutto, di un tenore considerato all’altezza e dunque ricadendo sul pur celebre baritono Jean-Baptiste Faure, oggi scarsamente presente sulle scene dei principali teatri. D’ora in poi potrebbe ritrovare nuova vita e fama in questo versione rinnovata e, indubbiamente, attraente, poiché il ruolo del tormentato principe shakespeariano ne sorte avvantaggiato sia dal punto di vista musicale che drammatico dal timbro tenorile, senza nulla togliere agli eccellenti baritoni che lo hanno affrontato in un passato relativamente recente.
La musica di Thomas, infine, non ha bisogno di difensori. La “facilité élégante” e la “verve savante” – parole di Berlioz, suo grande estimatore – ne costituiscono la cifra personale; il modo di articolare la frase musicale, seguendo il dettato iniziato da Gounod nel Faust ed in Roméo et Juliette e che poi sarà ulteriormente sviluppato dall’allievo Massenet, ha una precisa identità e sebbene nella “Chanson bachique” del secondo atto si possa trovare un parallelo con il ‘Brindisi’ del Macbeth verdiano, ai tempi da poco andato in scena sulle scene parigine, è chiara l’influenza sui compositori che lo seguirono, specie tra gli “Scapigliati” italiani. Ad esempio è quanto meno curioso trovare nel Puccini de Le Villi la citazione quasi testuale del duetto del primo atto tra Ofelia ed Amleto “Doute des cieux et de la terre, mais ne doute jamais de mon amour!”: “Dubita di Dio, ma non dell’amor mio!” canta Roberto ad Anna.
La produzione torinese si è rivelata di grande impatto, senza essere convenzionale, nella sua eleganza e aderenza alle situazioni richieste dal libretto. Splendida la scenografia di Gary McCann, eleganti i costumi creati da Giada Masi, nonostante qualche incongruenza (gli “anfibi” calzati da Ofelia o la parrucca di Geltrude nel secondo atto, tal quale alla capigliatura di Marge Simpson), suggestiva e sempre centratissima l’illuminazione opera di Fiammetta Baldisserri. I movimenti coreografici (definirli coreografia pare eccessivo) si debbono a Ron Howell, mentre la regia la firma Jacopo Spirei: nell’insieme apprezzabile, pur con il consueto horror vacui, “complesso zefirelliano” di molti registi “moderni” che faticano a concepire un’aria, un duetto senza controscene; qui per fortuna non troppo prevaricanti, seppure la figurazione costituita da quindici mimi attori onnipresenti che leggono libri… presumibilmente di Shakespeare! abbia ricordato ai più anziani (in primis al sottoscritto, ovviamente) la sigla della celeberrima “Biblioteca di Studio Uno” in TV negli anni 60 dello scorso secolo, quando il quartetto Cetra ed una schiera d’incredibili attori, mettevano in scena celebri romanzi intrecciando una colonna sonora di motivi popolari. Dettagli che, fortunatamente, non hanno impedito il procedere in modo coerente dello spettacolo, il lavoro di bulino sugli interpreti, che si sono rivelati ottimi attori e sul coro che ha partecipato attivamente. Insomma, uno spettacolo tra i più riusciti visti ultimamente, che il pubblico ha dimostrato di gradire moltissimo.
Musicalmente si sono raggiunti risultati eccellenti: a cominciare dall’ottima prova dell’orchestra e dal non meno magnifico coro del Teatro Regio diretto da Ulisse Trabacchin. Dal podio il maestro Jérémie Rhoer ha eseguito una lettura esemplare per tensione, creazione di atmosfere, aderente a quella “eleganza” tutta francese che impregna lo spartito, mantenendo l’equilibrio con la scena, raggiungendo il necessario climax sia nelle pagine più brillanti che in quelle misteriose, cupe e tenebrose.
Ottimo il contributo vocale ed interpretativo, a partire dai ruoli secondari. Perfettamente centratiti il Polonio del basso Nicolò Donini, l’Orazio del basso Tomislav Lavoie, il Marcello del tenore Alexander Marev, così come quelli di maggiore rilevanza musicale: il fantasma del re defunto, il tonitruante basso Alastair Miles, lo squillante Laerte, fratello di Ofelia, l’interessante tenore Julien Henric dal timbro gradevole e dall’ottima linea vocale.
Infine il quartetto dei protagonisti: a cominciare dal re Claudio cantato con austera nobiltà dal basso Riccardo Zanellato, che ha dato risalto alla scena della preghiera in cui il fratricida Claudio da segno di rimorso e pentimento; l’imperiosa regina Gertrude, con la travolgente presenza vocale e fisica della superlativa e vulcanica Clémentine Morgaine, mezzosoprano dall’estensioni sopranile, tragicamente efficace specie nel duetto con Amleto del terzo atto; la delicata Ofelia, ma vocalmente decisa, precisa in acuto e nelle agiltà, dimostrando di possedere un’ottimo controllo dell’emissione e delle dinamiche, del soprano catalano Sara Blanch, che ha ottenuto un successo travolgente con grida di “bis” dopo la famosa e lunga scena della follia del quarto atto, tra l’altro obbligata a recitare una regia particolarmente complicata.
Per concludere il non meno che superlativo Amleto del tenore John Osborn, che ha creato un personaggio ideale nelle sue titubanze e dubbi, ivi compreso il celeberrimo monologo che apre il terzo atto: “être ou ne pas être!”, esibendo una ricchissima tavolozza di colori, cantando con intonazione e fraseggio ammirevoli, senza problemi negli acuti estremi, usando pure i suoni “misti” che il canto francese impone e sfoggiando una zona medio-grave dal corpo e colore quasi baritonale. Personalmente ho provato i brividi nel duetto in cui accusa la madre e tenta di ucciderla, impedito dall’apparizione del fantasma del padre. Una pagina di grande impatto che rimarrà impressa nella memoria, come del resto tutta la magnifica recita. Fortunatamente questo Hamlet sarà documentato in video e costituirà un punto di svolta nell’interpretazione e esecuzione di questo capolavoro che ci si augura di poter rivedere presto e non solo sulle scene italiane.
Andrea Merli