Teatro alla Scala, Il nome della rosa – Francesco Filidei, 10 maggio 2025
IL NOME DELLA ROSA
Opera in due atti
di FRANCESCO FILIDEI
Libretto di Francesco Filidei e Stefano Busellato
con la collaborazione di Hannah Dübgen e Carlo Pernigotti
Casa Ricordi Editore
Libero adattamento dall’opera di Umberto Eco Il nome della rosa edita da La Nave di Teseo
Prima assoluta
Direttore INGO METZMACHER
Regia DAMIANO MICHIELETTO
Personaggi e interpreti:
- Adso da Melk Kate Lindsey
- Guglielmo da Baskerville Lucas Meachem
- La Ragazza del Villaggio / Statua della Vergine Katrina Galka
- Jorge da Burgos Gianluca Buratto
- Bernardo Gui Daniela Barcellona
- Abbone da Fossanova Fabrizio Beggi
- Salvatore Roberto Frontali
- Remigio da Varagine Giorgio Berrugi
- Malachia Owen Willetts
- Severino da Sant’Emmerano Paolo Antognetti
- Berengario da Arundel / Adelmo da Otranto Carlo Vistoli
- Venanzio / Giovanni Dalbena Leonardo Cortellazzi
- Girolamo Vescovo di Caffa / Cuciniere Adrien Mathonat
- Ubertino da Casale Cecilia Bernini
- Michele da Cesena Flavio D’Ambra
- Cardinal Bertrando Ramtin Ghazavi
- Jean d’Anneaux Alessandro Senes
Scene PAOLO FANTIN
Costumi CARLA TETI
Luci FABIO BARETTIN
Drammaturgia MATTIA PALMA
Coreografia ERIKA ROMBALDONI
Commissione Teatro alla Scala e Opéra National de Paris
Nuova produzione Teatro alla Scala
in coproduzione con Opéra National de Paris e Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
Teatro alla Scala, 10 maggio 2025

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala
Grande progetto del Teatro alla Scala, Il nome della rosa, la prima mondiale di un’opera grandiosa, un “grand-opera” del terzo millennio, commissionata con l’Opéra national de Paris e in coproduzione con il Teatro Carlo Felice di Genova. Opera accolta con un lusinghiero successo di pubblico, almeno di quelli che non hanno abbandonato la sala dopo la prima parte, oltre un’ora e mezza, e di critica, quasi si trattasse di un’opera di repertorio; festeggiatissimi il compositore, Francesco Filidei ed il regista, Damiano Michieletto che si sono presentati all’ultima recita, cui si riferisce questa cronaca, prima che calasse il sipario sulle prime cinque rappresentazioni.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala
Inutile dire che la trama è ben nota, sia per il libro pubblicato nel 1980, esordio dello scrittore Umberto Eco nel campo dei romanzi storici, sia soprattutto per il film del 1986, seguito nel 2019 da una miniserie televisiva. Il libretto, scritto congiuntamente dal compositore e da Stefano Busellato con la collaborazione di Hannah Dübgen e Carlo Pernigotti, pur semplificando la trama e riducendo i personaggi del libro, rimane fedele all’idea originale.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala
Michieletto, attingendo alla figura che oggi sembra indispensabile del “drammaturgo”, Mattia Palma, grazie alla sua formidabile squadra composta da Paolo Fantin (scene), Carla Teti (costumi), Fabio Barettin (luci) ed Erika Rombaldoni (coreografie), costruisce uno spettacolo monumentale, racchiudendolo letteralmente in un unico enorme spazio, con il coro, che dà voce alla memoria di Adzo ormai anziano, quasi sempre in alto come se fosse seduto proprio negli scanni del coro del convento. Una regia scorrevole e lineare, che presenta molte analogie con il film anche nella caratterizzazione dei personaggi.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala
Tra le (poche) idee originali, quella di un enorme bassorilievo gotico da cui emergono come vermi figure maschili che ispirano Adzo, il giovane monaco apprendista, atti libidici. Anche il personaggio dell’unica donna, la contadina poi accusata di stregoneria e condannata dalla Santa Inquisizione, è diviso tra un soprano, che dà voce anche alla Vergine Maria, e una figura completamente nuda. Tuttavia, bisogna riconoscergli la narrazione fluida e una perfetta distribuzione e movimento dell’imponente massa di persone che spesso popola la scena.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala
Per la musica il discorso è un altro. Filidei non fa suo il motto pucciniano “la brevitá, gran pregio” e la prima parte diventa davvero prolissa proponendo la tipica declamazione dove l’atonalità si sposa con il rumore, seguendo uno schema quasi matematico con simmetrie difficilmente identificabili e rilevanti. Nella seconda parte – 70 minuti! – vincono l’azione e la musica prende quota, arrivando a citazioni di Falstaff “tutto nel mondo è burla!” e anche di Turandot. Tuttavia, continuo a pensare che la musica “seria”, soprattutto l’opera lirica, se vuole tornare ad essere popolare, dovrebbe seguire un’altra strada.

photo © Brescia e Amisano – Teatro alla Scala
Ciò non significa che l’orchestra, sotto la direzione di Ingo Metzmacher, non abbia brillato, anche se avrebbe potuto stonare ed entrare fuori tempo senza che il pubblico se ne accorgesse. Grande lavoro del coro, la cui importanza è quella di un vero protagonista, affiancato da quello delle voci bianche della Scala, rispettivamente guidati da Alberto Malazzi e da Bruno Casoni. Preziosa la figurazione, che ha indubbiamente contribuito alla buona riuscita della serata, e ottimo il cast, tutto con figure di prim’ordine: Adzo, affidato al mezzosoprano Kate Lindsley, assolutamente perfetto nel colore della voce, interpretazione, convincente anche nelle frasi parlate, come magnifico è stato il baritono Lucas Meachem nella parte di Guglielmo da Baskerville, Sean Connery nel film. Ma tutti sono stati superlativi nelle rispettive parti: Gianluca Buratto, il perfido Jorge de Burgos, Fabrizio Beggi, l’Abate, Roberto Frontali, il grottesco Salvatore e Giorgio Berrugi, Remigio da Varagine, i due condannati al rogo. Daniela Barcellona, nella parte dell’inquisitore Bernardo Gui, è stata incredibile nella caratterizzazione ed autorevole nel canto; molto apprezzati, tra gli altri, il controtenore Owen Willets, Malachia e Leonardo Cortellazzi, Venanzio, il primo frate a morire avvelenato nel leggere il fatidico libro, poi Alborea, uno dei legati pontifici.
Andrea Merli