TORINO: La dama di Picche – Piotr Ilich Chaikovskij, 11 aprile 2025
LA DAMA DI PICCHE
Opera in tre atti e sette quadri
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Libretto di Modest Il’ič Čajkovskij
tratto dall’omonimo racconto di Aleksandr Puškin
Prima rappresentazione assoluta:
San Pietroburgo, Teatro Mariinskij , 18/12/1890
Direttore d’orchestra Valentin Uryupin
Regia Sam Brown
ripresa da Sebastian Häupler
Personaggi e interpreti:
- German Mikhail Pirogov
- Liza Zarina Abaeva
- La Contessa Jennifer Larmore
- Il conte Tomskij Elchin Azizov
- Il principe Eleckij Vladimir Stoyanov
- Polina Contralto Deniz Uzun
- Čekalinskij Alexey Dolgov
- Surin Basso Vladimir Sazdovski
- La governante Ksenia Chubunova
- Čaplickij e Il maestro di cerimonie Joseph Dahdah
- Narumov Viktor Shevchenko
- Maša Soprano Irina Bogdanova
scene e costumi Stuart Nunn
coreografia originale Ron Howell
ripresa e adattamento della coreografia Angelo Smimmo
luci Linus Fellbom
video Martin Eidenberger
drammaturgia Konstantin Parnian
regista assistente Anna Maria Bruzzese
assistente alla coreografia Javier Martinez
lights assistant Martin Safstrom
maestro del coro di voci bianche Claudio Fenoglio
maestro del coro Ulisse Trabacchin
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche Teatro Regio Torino
Allestimento Deutsche Oper di Berlino
Edizione in lingua originale russa
Teatro Regio, 11 aprile 2025
Dopo 16 anni torna a Torino La Dama di Picche. Si tratta di un nuovo allestimento in collaborazione con la Deutsche Oper di Berlino; inizialmente doveva prendere il via proprio al Teatro Regio per la regia del compianto Graham Vick. Poi arrivò il Covid, la pandemia e l’isolamento: finalmente lo spettacolo ha visto il debutto nella capitale tedesca, firmato da Sam Brown il quale, a quanto si dice, raccolse la concezione scenica e drammaturgica del collega inglese; è stato ripreso a Torino da Sebastian Haupler. Le scene, bruttarelle seppur funzionali – ma i costumi sono ancora peggio – si devono a Stuart Nunn, le coreografie, simulanti orge scatenate, sono di Ron Howell riprese ed adattate da Angelo Sminno, le luci – tanto accecante neon di troppo – di Linus Fellbom.

Photo©Mattia Gaido
La trasposizione temporale dell’opera, che pure prende spunto dal racconto di Aleksander Puskin e ha una sua precisa connotazione storica, sottolineata idealmente dalla meravigliosa musica in cui, oltre a pagine di intensa liricità e pathos, si cita testualmente il compositore francese André Gretry con il couplet intonato dalla dalla vetusta Contessa tratto dall’opera Richard coeur de Lion del 1784 e prima, al culmine della festa del secondo atto, la scena pastorale “La sincerità della pastorella” in cui Chaikovskij s’inventa un intermezzo settecentesco – scena inspiegabilmente omessa in questa edizione – sarebbe nel contesto dello spettacolo il male minore. Ciò che personalmente ho trovato insopportabile è stato lo stravolgimento drammaturgico – ormai dopo il cigno preso a calci e poi ucciso da Lohengrin non ci si dovrebbe stupire più di niente – per cui la decrepita Contessa, parte affidata qui alla bravissima, bellissima e seducente Jennifer Larmore, ha l’affascinante aspetto di Rita Hayworth, la “rossa atomica” nel film Gilda; niente a che vedere con la ex “Venere moscovita”, ormai mummificata dall’aspetto satanico, ma piuttosto una donna assatanata che, scoperto German nel proprio boudoir cerca addirittura di sedurlo e simula, sulla pistola puntata che dovrebbe farla stramazzare di spavento, un bocchino… giusto per dire al pane pene.

Photo©Mattia Gaido
La qual cosa diventa ancora più ridicola per l’aspetto della povera Liza, combinata come Betty la cozza, nella serie TV colombiana “Betty la fea”, la quale al suo ingresso ha ricordato l’impagabile Ave Ninchi nel film “Totò e le donne”. Pure German in scena pare la caricatura che in TV fa di Zelensky l’esilarante Maurizio Crozza. Si sorvoli poi sull’abusato sdoppiamento con i soliti bambini, per cui German è un bimbo povero emarginato e bullizzato dai figli dei ricchi nella parata militare infantile che apre l’opera (celebre omaggio di Chaikovsky a Bizet per l’equivalente coro della Carmen) mentre una bimba occhialuta, come poi sarà Liza, è l’unica che lo avvicina e, anzi, gli offre il proprio orsetto di peluche, di cui pare inutile sottolineare la valenza sessuale. Ciò detto, e senza entrare in altri dettagli registici che meriterebbero un articolo a parte, lo spettacolo è parso di gradimento alla maggioranza del pubblico che gremiva, buon segno, il Teatro Regio alla recita di venerdì, con una larga presenza di giovani.

Photo©Mattia Gaido
Musicalmente le cose sono andate decisamente meglio, iniziando dall’ottima prova dell’orchestra del Teatro Regio, continuando con la stupenda partecipazione del coro, molto partecipe pure scenicamente, preparato a dovere da Ulisse Trabacchin e così pure le intonatissime voci bianche istruite da Claudio Fenoglio. La direzione del giovane Maestro Valentin Uryupin, a parte gli eccessi nelle dinamiche prossime al frastuono nei pieni d’orchestra, è proceduta senza inciampi e con buon ritmo in una lettura coinvolgente. Ottimo nell’insieme l’intero cast. Da lodare in primis la intensa Liza del soprano Zarina Abaeva che ha dovuto navigare sempre contro una regia che non l’ha certo favorita, creandole non poche difficoltà pure nei movimenti (saltare sul pianoforte, tanto per dirne uno), voce ampia ben modulata e bella linea musicale, con ottima proiezione in acuto. E’ piaciuto molto il Tomskij del baritono Elchin Azizov, brillante nei suoi due a solo, quello della “leggenda” delle tre carte e poi nella canzone dell’ultimo atto. Bene la Polina del contralto Deniz Uzum, privata però della “pastorale”; precisi e sonori, oltre che bravi scenicamente, nelle parti di fianco il Cekalinsky del tenore Alexay Dolgov ed il Surin del basso Vladimir Sazdovski. Preziosa la partecipazione del baritono bulgaro Vladimir Stoyanov nella parte del Principe Eleckij, cantando con morbidezza, accoramento e nobile linea vocale la bellissima aria del secondo atto. Si citino ancora le efficaci prove del mezzosoprano Ksenia Chubunova, la Governante, e del soprano Irina Bogdanova, Masha, la fida cameriera complice di Liza.

Photo©Mattia Gaido
Buon ultimo il German del tenore Mikhail Pirigov, voce dal timbro schietto, ben proiettata, brillante in acuto e sostenuta da un’ottima emissione. Ha centrato in pieno il carattere tormentato del personaggio, che in Puskin finisce pazzo e qui si suicida con un colpo di rivoltella, così complesso da rendere scenicamente, diviso tra la passione amorosa e la tentazione del tavolo da gioco, che alla fine prende il sopravvento. Bravissimo in corso d’opera, ha siglato un finale, con quelle frasi in cui chiede perdono e si accomiata da Liza, la sua dea, il suo angelo, davvero commovente nell’uso di mezze voci e di un pianissimo in diminuendo.
Successo calorosissimo e meritato a tutta la compagnia.
Andrea Merli