TEATRO ALLA SCALA: L’opera seria – Florian Leopold Gassmann, 3 aprile 2025
L’OPERA SERIA
Florian Leopold Gassmann
Commedia per musica
Libretto di Ranieri de’ Calzabigi
Direttore CHRISTOPHE ROUSSET
Regia e costumi LAURENT PELLY
Personaggi e Interpreti:
Fallito Pietro Spagnoli
Delirio Mattia Olivieri
Sospiro Giovanni Sala
Ritornello Josh Lovell
Stonatrilla Julie Fuchs
Smorfiosa Andrea Carroll
Porporina Serena Gamberoni
Passagallo Alessio Arduini
Bragherona Alberto Allegrezza
Befana Lawrence Zazzo
Caverna Filippo Mineccia
Ballerina María Martín Campos*
Coro di ballerini (soprano) María Martín Campos*
Coro di ballerini (mezzosoprano) Dilan Şaka*
Coro di ballerini (tenore) Haiyang Guo*
Coro di ballerini (basso) Xhieldo Hyseni*
*Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala
Scene MASSIMO TRONCANETTI
Luci MARCO GIUSTI
Coreografia LIONEL HOCHE
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici e Les Talens Lyriques
Nuova Produzione Teatro alla Scala
In coproduzione con MusikTheater an der Wien
Teatro alla Scala, 3 aprile 2025

photo@Brescia e Amisano

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L’opera (troppo) seria, così si potrebbe liquidare il titolo di Florian Leopold Gassmann (1729 – 1774) autore boemo di formazione napoletana, attivo alla corte di Vienna dalla seconda metà del secolo XVIIIesimo, maestro di Antonio Salieri, contemporaneo di Mozart. Carneade per molti, non solo tra il pubblico, ma pure ad addetti ai lavori.

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Autore fecondo di tante opere, soprattutto del repertorio comico e che, di fatto, a Vienna aprì la porta al genere buffo napoletano, oggi tutte cadute nel dimenticatoio. Fu vera gloria? Impossibile qualsiasi confronto, sia col genio salisburghese, appena tredicenne nel 1769 quando L’Opera Seria vide le luci della ribalta al Burgtheater, sia per quel poco (molto in proporzione) che si conosce di Salieri. Si tratta di abile artigianato, sebbene di altissimo livello. Come capita spesso quando riemergono dal passato simili reliquie, esse sono destinate a ritornare nel santo tabernacolo che le conserva, lasciando ai posteri la fantasia di tesori perduti. Musiche piacevoli e carezzevoli a sostenere il libretto dell’illustrissimo Ranieri de’ Calzabigi il quale, seppure diede a Gluck il suo Orfeo, non può rivaleggiare, nel settore comico almeno, non dicasi con Goldoni, ma nemmeno con l’eccelso abate Da Ponte.

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Eppure sulla carta, partendo dai nomi dei personaggi, gli elementi per il buffo ci sarebbero tutti: l’impresario Fallito, il compsitore Sospiro, il poeta Delirio, la prima donna Stonatrilla e via di questo passo, per concludere con ben tre ruoli “in travesti”, quelli delle litigiose madri delle tre virtuose, Braghellona, Befana e Caverna, affidati ad un tenore e a due controtenori. Epperò, e nonostante i generosi tagli, i primi due atti trascorrono lemmi lemmi per oltre due ore di durata; lo spirito comico, non dicasi ironico o caustico, scaturisce nel terzo, della durata di 35 minuti a cui con buona volontà si potrebbe ridurre l’intera opera. Cioè quando, finalmente, si mette in scena L’opera seria e finalmente si ride. Soprattutto per la coreografia (la firma Lionel Hoche) esilarante in cui si anticipa la danza dei cigni; quando il soprano in corazza maschile (la spiritosa e bravissima Serena Gamberoni, Porporina nell’opera) affonda la testa nell’armatura simulando la tartaruga Ninja; infine quando la virtuosa viene interrotta sul più bello perchè crolla il teatro; quindi tutti, in un vodeville, si scatenano contro i “perfidi tiranni”, ovvero gli impresari, giacché Fallito (interpretato benissimo da Pietro Spagnoli) si è dato previdentemente alla fuga.

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Musicalmente le cose sono andate bene, grazie ad un cast affiatato e diretto con precisione da Christophe Rousset a capo de Les Talents Lyriques integrati da professori dell’orchestra della Scala; si son fatti valere e sono stati molto apprezzati Mattia Olivieri, Delirio, Giovanni Sala (Sospiro), Julie Fuchs (Stonatrilla), Andrea Carroll (Smorfiosa), John Lovell (Ritornello), Alessio Arduini (Papagallo) e, peccato per il loro marginale intervento, le tre “madri”, rispettivamente Alberto Allegrezza, Lawrence Zazzo e Filippo Mineccia, così pure i “ballerini”, cantanti provenienti dalle file dell’Accademia scaligera: Maria Martín Campos, Dilan Saka, Haiyang Guo e Khieldo Hyseni.

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Lo spettacolo, nella sua algida e severa eleganza, è parso poco efficace e sostanzialmente monotono. Scene in bianco e nero, una serie di porte nei primi due atti, poi quinte esotiche nel terzo, firmate da Massimo Troncanetti, luci fredde di Marco Giusti e costumi e regia di Laurent Pelly, rinunciataria pur se funzionale. Il monocromatismo dei costumi non ha giovato all’identificazione delle tre protagoniste, per altro anche timbricamente e vocalmente simili ed intercambiabili. Soprattutto è mancata l’ironia, il mordente che ha caratterizzato altre produzioni firmate dal celebre regista e costumista francese, specie nei titoli di Offenbach.

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Ciò nonostante, sebbene il già non folto pubblico andasse diradandosi ad ogni atto, coloro che hanno resistito fino alla fine hanno decretato all’intera compagnia un lusinghiero successo.
Andrea Merli