BERGAMO: Roberto Devereux – Gaetano Donizetti, 15 novembre 2024
Festival Donizetti 2024
ROBERTO DEVEREUX
Gaetano Donizetti
Tragedia lirica in tre atti di Salvadore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti
Prima rappresentazione: Napoli, Real Teatro di San Carlo, 28 ottobre 1837
Edizione critica a cura di Julia Lockhart © Casa Ricordi, Milano con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Teatro Donizetti.
Direttore d’orchestra Riccardo Frizza
Regia Stephen Langridge
Personaggi e Interpreti:
- Elisabetta Jessica Pratt
- Il duca di Nottingham Simone Piazzola
- Sara Raffaella Lupinacci
- Roberto Devereux John Osborn
- Lord Cecil David Astorga
- Sir Gualtiero Raleigh Ignas Melnikas *
- Un famigliare di Nottingham and Un Cavaliere Fulvio Valenti
*Allievo della Bottega Donizetti
Interprete Luca Maino
Marionette Animazione Noemi Giannico , Matteo Moglianesi
Scene e costumi Katie Davenport
Light designer Peter Mumford
Regia del burattino Poppy Franziska
Aiuto regista Katerina Petsatodi
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del coro Salvo Sgrò
Nuova produzione della Fondazione Teatro Donizetti in coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo
Teatro Donizetti, 15 novembre 2024
Roberto Devereux, titolo della piena maturità del compositore bergamasco, è opera entrata a pieno diritto in repertorio dacchè è stata “rispolverata” e riportata in scena negli anni Sessanta dello scorso secolo prima da Leyla Gencer e subito dopo da Montserrat Caballé, che di Elisabetta I d’Inghilterra ne ha fatto uno dei suoi ruoli iconici. Opera che Donizetti scrisse pensando alla diva del Teatro di San Carlo di Napoli, Giuseppina Ronzi de Begnis, nel 1837, anno sfortunato in cui morirono il figlio appena nato e l’amata moglie Virginia. Un ruolo che ha attirato le più grandi interpreti, l’elenco si fa lungo, e che ora, per volontà del direttore d’orchestra e direttore musicale del festival, Riccardo Frizza, è stato affidato a Jessica Pratt, affermata canterina australiana naturalizzata italiana, dalla voce lirico leggera, con estensione prodigiosa quanto le sue doti nel canto di agilità, dove sfoggia virtuosismi paragonabili a quelli della connazionale Joan Sutherland.
La scommessa è stata vincente. È vero che un personaggio di questa portata richiede una “digestione” che solo molte recite e molta esperienza possono garantire, ma tutto sommato l’eccellente soprano ne è uscita a pieni voti, ottenendo non solo un clamoroso successo di pubblico, bensì riuscendo in un’interpretazione molto apprezzabile, soprattutto nell’impressionante scena finale, il celeberrimo rondò in cui la Regina si scopre nella devastazione fisica e morale. La Pratt, non a caso, ha fatto frutto dei consigli di un’altra indimenticabile Elisabetta, Mariella Devia, dalle caratteristiche vocali molto simili, che le ha suggerito i “trucchi” (l’affondo in suoni di petto) per poter raggiungere felicemente la zona grave dove entrambe, inevitabilmente, mostrano il tallone d’Achille.
Il cast è stato tutto esemplare. A cominciare dal protagonista, il tenore americano John Osborn, che oggi sembra non avere rivali in questo repertorio. Il suo Roberto, appassionato e vocalmente generoso, è parso ideale sia nell’acuto, lanciato con sicurezza e veemenza, sia nell’uso della mezza voce, nei pianissimi di grande poesia e fascino, nel legato d’alta scuola: un autentico “tenore di grazia” dotato di un’emissione e di armonici da lirico pieno. Sara è stata interpretata dall’eccellente mezzosoprano Raffaella Lupinacci: una vocalità sicura, voce ampia e completa, oltre che una convincente, splendida attrice. Memorabile il duetto con Devereux nel secondo atto, cantato con accenti dolci e soavi. Il baritono Simone Piazzola, Duca di Nottingham, costituisce un altro esempio di canto “all’italiana” di “scuola antica”: nobile e virile, voce omogenea, potente e piena, morbida emssione, ottima estensione e ricchezza di colori, interprete coraggioso, musicalmente preciso.
Completavano degnamente il cartello gli encomiabili Lord Cecil del tenore David Astorga, il Sir Gualtiero Raleigh del basso Ignas Melnikas e Fulvio Valenti nel doppio ruolo di Un familiare di Nottingham e di Un cavaliere.
Ottimi sia l’Orchestra Donizetti Opera che il Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala, quest’ultimo diretto dal Maestro Salvo Sgrò, obbedienti alla bacchetta molto ispirata di Riccardo Frizza, che ha diretto il capolavoro donizettiano nella versione originale del 1837 (senza la sinfonia che l’Autore aggiunse per la versione parigina del 1838) con decisione e buon ritmo, ma sempre con un occhio attento al palcoscenico, sostenendo le voci e ottenendo le giuste atmosfere. L’allestimento lo firma Stephen Landridge, regista e direttore del Festival di Glyndebourne. Scene e costumi di Katie Davenport, luci di Peter Mumford.
L’abuso di luci fluorescenti, abbaglianti direttamente verso il pubblico, è stata la nota fastidiosa di una produzione sostanzialmente innocua, con un simbolismo piuttosto prevedibile (un letto tutto rosso, a volte pure “volante”, il trono rosso sangue, il tutto in un ambiente tutto nero, buio, claustrofobico) amenizzato dall’uso di un enorme pupazzo scheletrico con indossa lo stesso abito della regina e mosso da due marionettisti che doppiava i movimenti di Elisabetta e dalla trovata, difficilmente interpretabile, di voler rappresentare Sara in avanzato stato di gravidanza.
Ormai è consuetudine che la regina si tolga la parrucca nella scena finale: ce lo aspettavamo tutti. Insomma, alla fin fine, uno spettacolo che “non disturba” oggi è da apprezzare e il pubblico ha molto apprezzato.
Andrea Merli