MADRID: Marina – Emilio Arrieta, 9 e 10 ottobre 2024
MARINA
Emilio Arrieta
direzione musicale JOSÉ MIGUEL PÉREZ-SIERRA
regia scenica BARBARA LLUCH
Personaggi e Interpreti:
- Marina SABINA PUÉRTOLAS / MARINA MONZÓ
- Jorge ISMAEL JORDI / CELSO ALBELO
- Roque JUAN JESÚS RODRÍGUEZ / PIETRO SPAGNOLI
- Pascual RUBÉN AMORETTI / JAVIER CASTAÑEDA
Scenografia DANIELE BIANCO
Costumi CLARA PELUFFO VALENTINI
Luci ALBERTO FAURA
Movimento scenico MERCÈ GRANÉ
Progettazione di videoproiezioni PEDRO CHAMIZO
Orchestra della Comunità di Madrid
Proprietario del Teatro La Zarzuela
Coro del Teatro La Zarzuela
Direttore del coro Antonio Fauro
Teatro de La Zarzuela, 9 / 10 ottobre 2024
Si inaugura la stagione e con essa debutta ufficialmente la nuova gestione del Teatro de la Zarzuela, la direttrice artistica e sovrintendente Isamay Benavente, il direttore musicale stabile, José Miguel Pérez-Sierra. La nuova produzione è un’opera, non già zarzuela, Marina di Emilio Arrieta. Sin dalla sua creazione nel 1855 come zarzuela in due atti ha avuto un percorso paradigmatico per quanto riguarda il genere che, verso la metà dell’ottocento, acquisì il carattere nazionale con utilizzo di trame e motivi spagnoli; come opera in tre atti, fu la prima opera spagnola eseguita al Teatro Real nel 1871, grazie al tenore Enrico Tamberlick, il quale convinse l’Autore a convertirla in quello che rimarrà il titolo che gli ha fornito fama imperitura. Arrieta ebbe un’infanzia avventurosa, orfano di entrambi i genitori, approdò, letteralmente, in Italia viaggiando da clandestino in una nave e raggiungendo fortunosamente Milano. Qui, accolto dal Conte Litta, entrò in conservatorio – quello che fu negato a Verdi – allievo di Vaccaj, con compagni Ponchielli e Cagnoni; a 23 anni, su libretto di Temistocle Solera ottenne il primo successo con l’opera Ildegonda. Rientrato a Madrid, inizialmente sotto la protezione della Regina Isabella, la quale lo scelse suo personale maestro di canto, si prodigò per creare l’opera nazionale; infine si dedicò con grande successo alla zarzuela. Nel corso della vita, morrà nel 1894, assunse diverse cariche, direttore del conservatorio e finanche impresario teatrale, ma è grazie a Marina che possiamo considerarlo il “Padre” dell’opera spagnola.
Difficile a credersi, in Spagna su di lui vige ancora il forte pregiudizio per lo “stile italianizzante”, ovvio vista la formazione, come se su un’opera del 1855, seppure ampliata e modificata anni dopo, non gravasse l’ombra di Rossini, di Donizetti, di Bellini e persino di Verdi. Si rimprovera anche a Marina l’ingenuità del libretto, scritto dal catalano Francisco Camprodón e completato nella versione operistica da Miguel Ramos Carrión. Un testo ispirato, con belle immagini romantiche, tratto da un’ opéra-comique del 1831, La Veillée di Paul Duport e Amable Villain de Saint-Hilaire, né più e nemmeno come L’elisir d’amore da Le Philtre di Eugéne Scribe. Con Elisir, del resto, Marina ha diverse analogie; innanzitutto quattro solisti: soprano, tenore, baritono e basso; l’ambiente da campestre diventa marinaro: siamo a Lloret, sulla attuale Costa Brava. La trama, è vero, è pretestuosa: la protagonista per accertarsi dell’amore corrisposto di Jorge, il tenore, suggerisce allo spasimante Pascual, basso, di chiedere proprio a lui la mano di sposa. All’inghippo partecipa Roque, contromastro di bordo, cui spetta la parte umoristica e sarcastica del misogino. Una provvidenziale lettera, recuperata “in extremis”, chiarifica il tutto e il rondò conclusivo appaga animi ed amori.
La musica si rivela deliziosa, ricca di trascinanti melodie, armonicamente raffinata ed orchestrata con sapienza. È pur vero che molti passaggi ricordano Donizetti, per esempio l’asolo di tromba nel peludio al terzo atto pare quello che precede l’aria di Ernesto nel Don Pasquale, ma lo spartito possiede innegabile originalità. Tra i numeri chiusi, la “seguidilla” ed il “tango” affidati al baritono sono di gustoso sapore ispanico e così le danze nel secondo atto, “sardana” nello spartito, a tutti gli effetti una gioviale tarantella che ricorda quella della Forza verdiana. Spesso la musica prende il volo in pagine struggenti; per esempio l’attaco del tenore “En las alas del deseo”, di sapore belliniano, mentre la sortita del medesimo, un recitativo di forte impatto che si spinge al Re sovracuto, sembra anticipare l’ “Esultate!” dell’Otello verdiano.
Nonostante il titolo è “opera da tenore”. Non fu un caso che Tamberlick, il primo Alvaro della Forza a San Pietroburgo, l’imponesse il 16 marzo 1871 in una serata a suo “beneficio”. Nella parte di Jorge si sono avvicendati i più grandi tenori spagnoli, da Fleta a Lazaro, ai più recenti Aragall e Kraus, il quale ne fece un cavallo di battaglia e nel giugno del 1994 al Teatro de la Zarzuela prese parte ad una memorabile edizione, recensita sulle pagine de “l’opera”. Ora scendono in campo due tenori diversi, ma entrambi bravissimi sia vocalmente che interpretativamente: la sera del 9, alla “prima” davanti al pubblico delle grandi occasioni tra cui spiccava Placido Domingo, è stata la volta del tenore di Jerez Ismael Jordi, il quale ne ricava una sorta di sognante Nemorino che però affronta la tessitura di Arturo ne I Puritani; ha cantato con ricchezza di colori, emissione controllata e mille ed una intenzioni in un fraseggio da vero innamorato, veemente e pure dolente, triste e pure trscinato da passione e dal sentimento. Si sommino l’eleganza del portamento e l’innegabile presenza scenica. Bravissimo e festeggiatissimo. Completamente diverso, ma altrettanto godibile e forsanche più credibile nella parte del marinaio, Celso Albelo, tenore di Tenerife dalla voce più lirica, ricca di armonici, lanciata in un canto estroverso ed appassionato, che si piega anche alle mezze voci, al canto sul fiato, dolce e nostalgico; si è lanciato in autentiche prodezze vocali: ha voluto chiudere la stretta conclusiva del secondo atto con uno strabiliante Mi sovracuto. Nota da far tremare un soprano coloratura, in un tenore è pressocchè un miracolo!
Il personaggio di Roque, l’amico scanzonato e disincantato di Jorge, ha avuto nel baritono andaluso Juan José Rodriguez una forte impronta verdiana: voce generosa, canto stentoreo e ricchezza di armonici, che conquistano il pubblico. Ci ha piacevolmente sorpreso, la sera appresso, il “nostro” Pietro Spagnoli (di solito per queste parti non vengono scritturati cantanti … non ispanici!) che ne ha fatto un simpatico, un po’ filoso, personaggio, quasi un Don Alfonso del Così fan tutte, cantando con proprietà, sostenuto da una dizione perfetta, con grande attenzione all’espressione della parola cantata. Complimenti!
Pascual, che la regia trasforma nell’azzimato proprietario del cantiere navale, pur dovendo egli cantare “Yo tosco y rudo trabajador”, sedotto dalla capricciosa Marina, corrisponde vagamente a Belcore; qui affidato alla corda di basso. Benissimo la sera della “prima” Rubén Amoretti che si avvale di una voce di corpo notevole, duttile in acuto; ne scaturisce un personaggio anche teatralmente plausibile. Acerbo in confronto il pur volenteroso Javier Castañeda la sera appresso. Puntuali e ben assortiti nelle loro brevi parti, gli elementi tratti dal coro, questo lodevolmente preparato dal Maestro Antonio Fauró, impegnato soprattutto nel settore maschile: il Capitan Alberto, detentore della fatidica lettera, di Ángel Rodríguez e poi di Rodrigo Álvarez, Teresa, l’amica fidata di Marina, Graciela Moncloa, il “postino” che attraversa la scena in bicicletta di Juan Sousa ed una Voce intonata da Román Fernández-Cañadas.
Marina ha da cantare e parecchio: un’aria di sortita tripartita, duetti vari (tra cui uno “riaperto” col baritono), concertati; nel corso d’opera non solo non si risparmia, bensì giunti alla fine, novella Norina, ma con una cadenza che pare quella di Lucia, deve affrontare un rondò a ritmo di valzer. Si sono alternate, con successo unanime di pubblico, il soprano Sabina Puértolas, dal timbro un po’ petulante, ma bravissima nelle agilità e padrona del settore sovracuto, e Marina Monzó, soprano lirico ben disinvolto in picchiettati, trilli e tutte le “diavolerie” che la parte comporta e che fanno pensare a cosa ne avrebbe potuto ricavare, per esempio e in Italia, una certa Luciana Serra. Complimenti ad entrambe per la scena, dove si sono adattate perfettamente alla regia che le vuole sbarazzine ed anche un po’ avventate. La firma Bárbara Lluch: uno spettacolo molto dinamico, divertente, amenizzato da una figurazione che non ha quasi mai distratto l’azione, tolta la lite da “Saloon” del Far West alla fine del secondo atto, che ha sorpreso più di uno. Una produzione destinata a piacere anche per il bellissimo impianto scenico creato da Daniel Bianco, i centrati costumi firmati di Clara Peluffo Valentini e la suggestiva illuminazione di Albert Faura.
Il lavoro del direttore d’orchestra è stato poi doppiamente encomiabile. Innanzitutto finalmente si è potuta ascoltare Marina nella sua integralità, nella revisione critica apprestata nel 2005 da Maria Encina Cortizo. Inoltre Pérez-Sierra ha saputo concertare e sostenere idealmente le due compagnie con caratteri (e modi di cantare) sostanzialmente diversi, imprimendo un ritmo incalzante in uno spartito dove il rischio di “sedersi” in accompagnamenti di routine è dietro l’angolo. Ha trovato momenti di grande slancio, altri d’intensa poesia, di brillante vivacità e scatenato divertimento. Lo ha seguito, precisa ed ubbidiente, l’orchestra della Comunidad de Madrid, titolare del Teatro de la Zarzuela, che sotto la sua guida sarà sempre in costante crescita.
Un’ultima considerazione: questa magnifica produzione “deve” varcare l’ambito nazionale, oltrepassare i Pirenei e le Alpi, per riportare in Italia un’opera destinata a trovare il favore del pubblico, dopo una lontanissima esecuzione in lingua italiana, a Napoli verso la fine dell’ottocento, con il titolo “L’orfanella di Lloret”. Marina finalmente cantata in lingua castigliana! Tutti ne saremmo felici.
Andrea Merli