BARCELLONA: Lady Macbeth del distretto di Mcensk – Dimitrij Sostakovic, 25 settembre 2024

BARCELLONA: Lady Macbeth del distretto di Mcensk – Dimitrij Sostakovic, 25 settembre 2024

LADY MACBETH DEL DISTRETTO DI MCENSK

Dimitrij Sostakovic


Direttore Josep Pons

Regia Àlex Ollé

Personaggi e Interpreti:

  • Boris Ismailov Alexei Botnarciuc
  • Ilya Selivanov Zinovi Ismailov
  • Katerina Ismailova Sara Jakubiak
  • Serguei Pavel Černoch
  • Aksinia Núria Vilà
  • Workman José Manuel Montero
  • Administrador Javier Agudo
  • Doorman / Sergeant Luis López Navarro
  • First Workman Albert Casals
  • Second Workman Facundo Muñoz
  • Third Workman Marc Sala
  • Priest Goran Jurić
  • Sergeant Scott Wilde
  • Policeman Jeroboám Tejera
  • Sonietka Mireia Pintó
  • Old Convict Paata Burchuladze
  • Ghost of Boris Alejandro López
  • The miller assistant Dimitar Darlev / Plamen Papazikov
  • Sentry Igor Tsenkman  / Pau Bordas
  • Convict woman Alexandra Zabala / Raquel Lucena
Scene Alfons Flores

Costumi Lluc CastellsLuci Urs Schönebaum

Produzione  Gran Teatre del Liceu
Symphony Orchestra del Gran Teatre del Liceu
Coro del Gran Teatre del Liceu (direttore Pablo Assante)

Gran Teatre del Liceu, 25 settembre 2024


L’opera emblematica di tutta la pur nutrita produzione teatrale di Dimitrij Sostakovic torna in scena al Liceu in una nuova produzione. La “prima” al Liceu della versione 1932 di Lady Macbeth del distretto di Mcensk (andata in scena a Leningrado nel ‘34, approdata al Bolshoi nel ‘35, ma caduta poi in disgrazia nel 1936, quando Stalin la definì “oscena” e la musica “rumore”) si eseguì nel mese di maggio del 2002. È documentata in DVD nell’interpretazione di Nadine Secunde diretta da Alexander Anissimov per la regia di Stein Winge. In realtà nella versione “addolcita” dallo stesso Autore verso la fine degli anni ‘50, quando il clima politico in Russia si andava “ammorbidendo”, riproposta col titolo Katerina Ismailova a Mosca nel gennaio 1963, era stata già presentata al Liceu in una produzione procedente da Praga e cantata in lingua ceca nel mese di dicembre del 1965. In questa seconda versione Sostakovic ne attenuò l’impatto delle scene erotiche, che scandalizzarono il Dittatore mettendo a repentaglio la vita stessa del compositore, ma sostanzialmente si tratta della stessa opera.

L’orchestra del Liceu (85 in buca più banda interna) si presenta in grande spolvero e offre una prestazione memorabile. Merito del direttore stabile Josep Pons, perfettamente a suo agio in questo ordito sinfonico lussureggiante, ardito a tratti esplosivo. Dove non mancano sottigliezze di estrema poesia e lirismo, alternate ad apparente semplicità espositiva di motivi burleschi e popolari. Molto apprezzabile il lavoro della “spalla” in pregevole a solo di violino, del violoncello in ampie e sinuose frasi e via via di tutti gli strumenti chiamati a momenti di assoluto protagonismo, per esempio il fagotto. Un lavoro di bulino gratificato dalla calorosa accoglienza del pubblico.

Pubblico che non ha lesinato, alla ribalta finale e dopo le due parti in cui è stata presentata l’opera originalmente divisa in quattro atti, applausi al coro in vero superiore ad ogni possibile lode sia per la prestazione squisitamente vocale e soprattutto per la partecipazione scenica, tutt’altro che agevole e scontata. Applauso incondizionato al bravissimo Maestro preparatore Pablo Assante.

Festeggiatissimi i solisti, alcuni sortiti dalle file del coro, ad esempio la Prigioniera del soprano Raquel Lucena e la Guardia del basso Pau Bordas. L’elenco dei ruoli di fianco è assai lungo, ma va almeno menzionata, nella breve ma intensa parte del Vecchio Prigioniero, la partecipazione di Paata Burchuladze, che ha siglato da par suo il “cameo-rol”. Nella parte della sfortunata Sonietka si è apprezzato il mezzosoprano Mireia Pintó e pure nella grottesca scena dei poliziotti, all’inizio del terzo atto sia il buffo Scott Wilde che il basso di Tenerife Jeroboám Tejera.

Pablo Assante

Ben caretterizzati sia il grottesco, ma nello stesso libidinoso e violento, Boris Ismailov impersonato da Alexei Botnarciuc, che l’esangue e debole psicologicamente, ma non vocalmente, figlio Zinovi sfortunato marito di Katerina, il tenore Ilya Selivanov.

Se da una parte il tenore che interpreta il ruolo di Sergeij deve avere, oltre che la voce, le “phisique du role”, doti generosamente presenti nel tenore Pavel Cernoch che ha siglato un credibilmente sfacciato e bullo personaggio, il soprano cui è affidata la terribile – sia scenicamente che vocalmente – parte di Katerina deve possedere qualità attoriali non indifferenti, poiché il ritratto che ne fa Sostakovic è polifacetico sia psicologicamente che musicalmente. L’unico personaggio dotato, pur nel suo fatale destino, di una autentica dignità umana, sottolineata da una musica pura, lirica, profondamente emotiva. Il soprano Sara Jakubiak, voce imponente e penetrante, ma anche piegata alle sfumature ed alla introversione, al suo debutto in questo ruolo ha dimostrato di averne recepito tutta la profondità.

Resta lo spettacolo, una produzione faraonica nell’apparente semplicità e minimalismo: regia di Alex Ollé, scena di Alfons Flores, costumi (il termine va preso con le pinze) di Lluc Castells, luci di Urs Schönebaum. Ora è chiaro, come capita inevitabilmente con titoli che scatenano le fantasie di registi e drammaturghi, che la Russia rurale della profonda provincia zarista descritta da Leskov nella novella del 1865, oggi come oggi è improbabile rivederla in scena: per fortuna ci rimane il film di Mikhail Shapiro con Galina Vishneevskaya del 1966. Un’altra cosa è che, avendo assistito da piccolo ad un alluvione del fiume Llobregat, che costeggia l’aeroporto di Barcellona, in cui risultò allagata la casa di una zia, lo scenografo ricrei una sorta di grande piscina di tre centimetri di profondità, larga quanto l’intero spazio scenico, con relativi e costosi meccanismi di riciclo e condizionamento delle acque che, si granatisce, poi verranno utilizzate per irrigare il parco del cittadino Montjuic, in cui si vedono obbligati a sguazzare solisti e coro per la durata di tutta l’opera. Si obbietterà che, alla fine, Katerina si lancia nelle gelide acque del fiume trascinando con sé la rivale. Ebbene no. Scendono dall’alto una serie di letti (presenza insistita per tutta l’opera quella del letto) che paiono tratti dal catalogo di Mondo Convenienza; quivi la protagonista sgozza la malcapitata Sonietka e quindi procede all’harakiri tagliandosi la giugulare. Il tutto condito da scene erotiche (o pseudo tali) che vanno dal coito tra Katerina e Sergeij, con chiappa al vento di quest’ultimo, ad una simulazione di “fellatio” alla masturbazione del protagonista da sotto un lenzuolo mentre Katerina, nella scena della deportazione, canta il suo poetico addio alla vita. A che pro? Cosa giustifica questa volgarità gratuita, l’insistita violenza di certe scene laddove dovrebbe prevalere l’istrionismo di una musica che ironizza temi circensi, da “music hall” e marcette militari? Personalmente rinuncio a capire. Comunque, grande successo per tutti.

Andrea Merli

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