TEATRO ALLA SCALA: Guillame Tell – Gioachino Rossini, 6 aprile 2024

TEATRO ALLA SCALA: Guillame Tell – Gioachino Rossini, 6 aprile 2024

GUILLAUME TELL
Gioachino Rossini

Melodramma in quattro atti

Libretto di Étienne de Jouy e Hippolyte-Louis-Florent Bis
Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Casa Ricordi, Milano


Direttore MICHELE MARIOTTI
Regia CHIARA MUTI

Personaggi e Interpreti:

  • Arnold Melchtal Dmitry Korchak
  • Guillaume Tell Michele Pertusi
  • Walter Fürst Nahuel Di Pierro
  • Melchtal Evgeny Stavinsky
  • Gessler Luca Tittoto
  • Rodolphe Brayan Ávila Martinez
  • Leuthold Paul Grant
  • Ruodi Dave Monaco
  • Mathilde Salome Jicia
  • Jemmy Catherine Trottmann
  • Hedwige Géraldine Chauvet
  • Un chasseur Huanhong Li*
    *Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala

Scene ALESSANDRO CAMERA
Costumi URSULA PATZAK
Luci VINCENT LONGUEMARE
Coreografia SILVIA GIORDANO

Teatro alla Scala, 6 aprile 2024


 Dopo le memorabili recite che aprirono la stagione 1988/89, con la direzione di Riccardo Muti e la regia di Luca Ronconi – chi firma fu presente, ma soprattutto rimane il DVD a ricordarcele – il capolavoro e ultimo titolo di Rossini torna finalmente in versione francese: Guillaume Tell. La recita a cui si riferisce la cronaca è stata la penultima e, a giudizio dello stesso direttore d’orchestra, Michele Mariotti, la più riuscita, almeno dal punto di vista musicale.

photo©Brescia e Amisano

In effetti e dopo una vita trascorsa sotto la volta del Piermarini (dal 1972!) non ho memoria di un trionfo così schiacciante, decretato dall’intero pubblico che ha gremito il teatro per una recita fuori abbonamento, nei confronti del direttore d’orchestra, quest’ultima senza possibilità di paragoni né rivali in questo repertorio, così come del resto il coro, che in quest’opera assurge a vero protagonista, magistralmente diretto da Alberto Malazzi.

photo©Brescia e Amisano

Ci si associa e s’ingrossa la fila dei tanti laudatori: una lettura esemplare sotto tutti i punti di vista; per enfasi e delicatezza nel contempo, per l’accompagnamento ideale delle voci, incitandole a offrire il massimo della resa, una infinita ricchezza di colori, scelta di dinamiche sempre giustificate dall’esigenza drammaturgica; una precisa e suggestiva rappresentazione sonora della natura, descritta quasi con onomatopea dal Cigno di Pesaro in una partitura che ha aperto le porte non solo al “grand opéra” francese, ma a tutta l’opera futura, Wagner compreso, in quel finale semplicemente mozzafiato dove la musica si apre all’infinito.

photo©Brescia e Amisano

Peccato per la messa in scena, affidata a Chiara Muti, figlia di Riccardo di cui saremmo curiosi di conoscere un parere disinteressato sul lavoro della prole, visto che nelle parole e nei fatti egli si rivela tanto critico nei confronti della maggior parte degli allestimenti a parer suo irrispettosi delle didascalie e delle drammaturgie originali. Un allestimento questo che appare – nel buio quasi totale,  le “luci” a cura di Vincent Longuemare – monumentale ed evidentemente costosissima “macchina scenica”; ricco, si fa per dire, di citazioni cinematografiche, dall’espressionismo di Fritz Lang in “Metropolis”, al Bergam de “Il settimo sigillo”, all’Abrams di “Guerre stellari” e, per non farci mancare niente, persino de “La Pantera Rosa”: i soldati di Gesler, in armatura medievale in un contesto dove Arnold sfoggia l’immancabile “cappottone” di pelle, d’obbligo in ogni regia “moderna” che si rispetti, come l’ispettore Clouseau nella scena del ballo mascherato che conclude il celebre film (scene di Alessandro Camera, costumi di Ursula Patzak). Ciò che manca completamente, è quanto suggerisce la musica. Non necessariamente la Svizzera d’epoca, ma proprio tutti gli elementi della natura che pure animano lo straordinario spartito. C’è chi sostiene che bisogna evitare a tutti i costi il “quadretto oleografico” quasi fosse un delitto, quando oggi come oggi sarebbe una scelta rivoluzionaria e comunque di gran lunga preferibile ai (finti) Tablets in mano a tutto il coro e alle danze tradotte in orgia (ci provò già Vick, ma con ben altro, seppure dicutibile, risultato) su dei ballabili che prevedono, piaccia o no, la tirolese ed i passi e le combinazioni della danza classica.

photo©Brescia e Amisano

Superbo il cast, guidato da Michele Pertusi, artista dove ve ne siano, dalla linea di canto nobile, attento all’espressività della parola cantata e con una voce ancora potente sul compiere i “primi” 40 anni di carriera; si rivela interprete ideale per questo ruolo monumentale. Il momento magico è stato, prevedibilmente, coronato dall’aria “Sois immobile”, con mirabile accompagnamento di Massimo Polidori al violoncello. È seguito un trionfo personale, che ha accolto pure il tenore russo Dimitry Korchak, il quale ha interpretato un Arnold coraggioso, spettacolare negli acuti emessi con sicurezza e pregevole squillo, ma soprattutto stilisticamente apprezzabile per l’uso di delicate mezze voci, di quello squisito suono “misto”, caratteristico di questo repertorio; dopo l’aria “Asile héréditaire” l’azione si è fermata per i prolungati applausi. Nel ruolo di Mathilde il soprano georgiano Salome Jicia si è distinta per eleganza, musicalità e buon canto; ammirevole nella sua aria d’ingresso nel secondo atto, “Sombre forét”. L’intero cast ha rasentato la perfezione: così la Jemmy del soprano francese Catherine Trottmann, la cui aria è stata sacrificata (piccolo taglio in una lettura praticamente completa) ma il cui intervento è decisivo nella maggior parte dei concertati. Molto bene la Hedwige interpretata dal mezzosoprano, anch’esso francese, Géraldine Chauvet, la cui parte acquista maggiore importanza nel terzetto dell’ultimo atto.

photo©Brescia e Amisano

Molto bravo il tenore Dave Monaco, Ruodi, nell’aria superacuta del “pescatore” che apre l’opera; perfetto Gesler il basso Luca Tittoto che sembrava sceso da “Star Wars”; ottimi il Melcthal del basso russo Evgeny Stavinsky, chissà perché crocifisso come Cristo, il basso argentino Nahuel Di Pierro, Walter Furst, il tenore messicano Brayan Ávila Martinez, Rodolphe, ed il tenore di Edimburgo Paul Grant, Leuthold. Tutti sono stati applauditi calorosamente da un pubblico che, nonostante le oltre 4 ore di musica e i tre intervalli da 30 minuti ciascuno, si è attardato ad applaudire e in continue grida di “bravo” dirette ai solisti, ma dopo aver fischiato, senza pietà e giustamente, il risibile “balletto” del terzo atto.

Andrea Merli

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