PALMA DE MAJORCA: La forza del destino – Giuseppe Verdi, 1 marzo 2024
La forza del destino
opera in quattro atti di Giuseppe Verdi
su libretto di Francesco Maria Piave
Direttore d’orchestra Gianluca Marcianò
Regia Pier Francesco Maestrini
ripresa da Michele Cosentino
Personaggi e Interpreti:
- Don Alvaro Francesco Pio Galasso
- Don Carlo di Vargas Damiano Salerno
- Leonora Alessandra Di Giorgio
- Preziosilla Ketevan Kemoklidze
- Padre Guardiano Simón Orfila
- Fra Melitone Toni Marsol
- Trabucco Jordi Fontana
- Curra Vega Escribano
- Alcade Joan Miquel Muñoz
- Marchese di Calatrava Pablo López
Scene e costumi Alfredo Troisi
Orquestra Simfònica de les Illes Balears
Coro del Teatre Principal
Direttore del coro Francesc Bonnín
Teatre Principal, 1 marzo 2024
Intorno a “L’innominabile”, “La maledetta”, o anche solo La potenza del fato, come viene chiamata dai più prudenti tra i superstiziosi, si sprecano gli aneddoti più o meno tragici, forse non tutti veri, dovuti a strane coincidenze che risalgono alla “prima” in Russia, a San Pietroburgo, rimandata al novembre del 1862 per l’indisposizione che colpì la prima donna che avrebbe dovuto assumere la parte di Leonora. In realtà, come si è visto recentemente al Teatro alla Scala con l’incidente del telefonino volato dalla galleria alla platea, la scalogna in teatro sta sempre in agguato.
Per questa ripresa nell’Isola Baleare, che avviene dopo oltre quaranta anni dalla precedente edizione, non sono mancati inconvenienti. Il primo oboe della valente e pregevole Orquestra Simfónica de les Illes Balears, tra le cui fila suonano diversi italiani, si spezza le dita durante le prove; è stato inmediatamente sostituito da un altro bravissimo solista, molto apprezzato nell’incipit del recitativo e aria del tenore al terzo atto; il tenore di San Giovanni Rotondo, Francesco Pio Galasso, colpito da laringite virale, ha comunque eroicamente mantenuto l’impegno cantando, seppure con visibile fatica, tutte le recite. Infine, per non farci mancare nulla, nel palco di fianco al mio durante il duetto Alvaro / Don Carlo del terzo atto, una signora è svenuta, per fortuna sua e nostra senza conseguenze ferali, con il conseguente trambusto per portarla fuori dal teatro, al pronto soccorso. Ed è acora andata bene.
È andata, invece, benissimo la recita: la seconda delle tre programmate. Molto apprezzato dal folto pubblico l’allestimento: molti i turisti e parecchi coloro giunti da oltremare, come il sottoscritto, per assistere all’opera. Si tratta di una produzione nata a Rovigo nel 2005, firmata per scene e costumi dall’eccellente Alfredo Troisi, fedelissima a tempi e luoghi, non priva di un’originalità “noire” dalle tinte gotiche, che soprattutto permette facili e veloci cambi di scena, senza dover sospendere l’azione teatrale. La regia, ideata a suo tempo dal pur bravissimo Pier Francesco Maestrini – è disponibile il DVD della ripresa live edito dalla Dynamic – qui è stata ripresa dal regista e coreografo Michele Cosentino; si rivela perfetta per seguire la intricata e complessa trama, didascalica certo e dunque comprensibile al pubblico non necessariamente formato da incalliti melomani. Apprezzabili guizzi di originalità nel trattare i caratteri, soprattutto nei ruoli di fianco di Trabuco, il bravissimo e promettente tenore Jordi Fontana, prestato dalle file del coro del Teatre Principal molto ben preparato da Francesc Bonnin, solerte anche scenicamente, la guizzante e pepata Preziosilla del mezzosoprano georgiano, ma spagnolo di fatto, Ketevan Kemoklidze, il sonoro, simpaticissimo, assai ben cantato e stupendamente recitato Melitone dal baritono catalano Toni Marsol. Citiamo pure i puntuali Alcalde del basso Joan Miquel Muñoz, nel prologo il Marchese di Calatrava, poi Chirurgo nel terzo atto del basso Pedro López de infine la Curra intonata da Vega Escribano.
L’opera, proposta col “Taglio Metropolitan” a suo tempo predisposto dal direttore Dimitri Mitropoulos e cioè con la sinfonia che, a sipario calato, segue il prologo anticipando la locanda di Hornachuelos, e durante la quale si produce il cambio scena, ha trovato nel direttore di Lerici Gianluca Marcianò, per la prima volta a Majorca, ma dalla ormai lunga e proficua carriera soprattutto a livello internazionale e particolarmente conoscitore di questo spartito che ha avuto occasione di dirigere ripetute volte, una direzione ideale, sia per la precisa e meticolosa concertazione, che per il sostegno e l’accompagnamento ai solististi, quasi tutti debuttanti i rispettivi ruoli. Era il caso del tenore Galasso, Don Alvaro, onestamente non giudicabile per il periclitante stato di salute, il quale nonostante l’inciampo durante l’attesa aria del terzo atto, è riuscito eroicamente a portare a termine la recita di un’opera in cui il tenore si erge a protagonista assoluto. Riuscendo, addirittura, a riprendere un’entrata sbagliata del rivale Don Carlo nel duetto del quarto atto: un vuoto di memoria (ecco la necessità del maestro suggeritore in buca di cui oggi molti teatri sono sprovvisti!) che poteva mandare allo sbando pure l’orchestra. Va detto che i tagli apportati durante la scena dell’accampamento di Velletri, al terzo atto, rispondono all’impossibilità di garantirne la riuscita per le varie entrate solistiche degli elementi del pur volenteroso coro, ma vista la durata dell’opera e la riapertura di tutte le altre pagine, molto spesso sacrificate anche nei teatri italiani, ce ne si fa una ragione.
Il baritono di Siracusa Damiano Salerno, Don Carlo di Vargas, possiede una vocalità “antica”, sia letto come uno sperticato complimento. Voce ricca di armonici, di timbro autenticamente baritonale, di colore scuro eppure facile in acuto, canta con estremo gusto e nobile linea una parte che pure si presterebbe a violenza e volgarità, spacciate per autorevolezza e nobiltà. Un’esecuzione esemplare sia della Ballata di Pereda, ricca di pathos e suspence, che poi nella grande scena del tero atto “Urna fatale” e relativa cabaletta. Pregevole nel duetto “della barella”, uno dei momenti più commoventi dell’opera grazie pure alle belle frasi del tenore, e poi nei due duetti, quello spesso tagliato del terzo atto “Sleale! Il segreto fu dunque violato?”, arrogante e veemente nella diffida del quarto atto. Al debutto nella parte del Padre Guardiano il basso di Minorca Simón Orfila, sebbene giochi in casa – si fa per dire poiché, come spesso avviene, tra le Isole vige una campanilistica rivalità – ha meritato il trionfo che lo ha accolto all’uscita alla ribalta finale. Questo valido artista sta via via affrontando, nella maturità di una calibrata e ben amministrata carriera, i ruoli verdiani a cui tutti i bassi aspirano. Si è trattato di un ottimo acquisto di un ruolo che, sia vocalmente che scenicamente, gli calza a meraviglia.
Infine lieta novella, parafrasando il Chirurgo, è risultata la sensibile e commovehte Leonora del soprano Alessandra di Giorgio, abituale non solo nelle scene patrie, dove il direttore Marcianò l’ha diretta e dunque conosciuta, ma pure attiva nei teatri centro e nord europei. La voce non gode di un timbro particolarmente bello, specie in acuto, per altro risolto ampiamente con dovizia di proiezione e corretta intonazione, dove si appanna con un’opacità alquanto vetrosa, però l’interprete supplisce di gran lunga con una partecipazione notevolissima, sia interpretativa che squisitamente musicale. Ottimo fraseggio, accento sempre motivato, centrato, efficace, sapiente dosatura delle dinamiche, apprezzabile legato e bei suoni in piano e pianissimo, esposti con emissione ferma. Diciamo pure che un ruolo come quello della Leonora verdiana de La forza richiederebbe una vocalità più “polposa”, ma le dimensioni del teatro e l’ottima acustica hanno pesato a suo favore. Aplauditissima dal pubblico, confesso che mi ha strappato un sincero, ammirato grido di “brava” dopo l’aria “Madre, pietosa Vergine”: brava che sottoscrivo in sede critica.
Andrea Merli