BARCELLONA: Un ballo in maschera – Giuseppe Verdi, 9 e 10 febbraio 2024

BARCELLONA: Un ballo in maschera – Giuseppe Verdi, 9 e 10 febbraio 2024

Un ballo in maschera

Giuseppe Verdi

melodramma in tre atti

su libretto di Antonio Somma


Direttore Riccardo Frizza

Regia Jacopo Spirei (su progetto di Graham Vick)

Personaggi e Interpreti:

  • Riccardo Freddie De Tommaso (9, 11, 14, 17 e 20 Febbraio),  Arturo Chacón-Cruz (7, 10, 12, 15 e 18 Febbraio
  • Renato Artur Ruciński (9, 11, 14, 17 e 20 Febbraio), Ernesto Petti (7, 10, 12, 15 e18 Febbraio)
  • Amelia Anna Pirozzi (9, 11, 14, 17 e 20 Febbraio), Saioa Hernández (7, 10, 12, 15  e 18 Febbraio)
  • Ulrica Daniela Barcellona (9, 11, 14, 17 e 20 Febbraio), Okka von der Damerau (7, 10, 12, 15 e 18 Febrbraio)
  • Oscar Sara Blanch
  • Silvano David Oller
  • Samuel Valeriano Lanchas
  • Tom Luis López Navarro
  • Giudice/ un servo Jose Luis Casanova (7, 10, 12, 15, 18 Febbraio), Nauzet Valerón (9, 11, 14, 17, 20 Febbraio)
  • Un servitore di Amelia Carlos Cremades (9, 11, 14, 17, 20 Febbraio), Xavier Martínez (7, 10, 12, 15, 18 Febbraio)

Coreografia Virginia Spallarossa
Scene e costumi Richard Hudson
Luci Giuseppe di Iorio

Coro del  Gran Teatre del Liceu (Pablo Assante, direttore)
Orchestra of the Gran Teatre del Liceu

Produzione del Teatro Regio di Parma

 

Gran Teatro del Liceu, 9/10 febbraio 2024


Nove recite di Un ballo in maschera, cui si sommano due prove generali aperte al pubblico, impegnato nei principali ruoli un doppio cast, hanno registrato il “tutto esaurito”. Grande, trionfale successo ha accolto la serata del 9 febbraio e la successiva del 10, merito soprattutto di una prova musicale superlativa.

Lode innanzi tutto agli ottimi coro ed orchestra, il primo istruito come sempre perfettamente da Paolo Assante, guidati con grande sicurezza e maestria da Riccardo Frizza, il quale imprime un ritmo ideale, curando le agogiche rispettoso della linea del canto, calcando giustamente il pedale nei momenti squisitamente sinfonici: il preludio al secondo atto e durante l’elezione tra i congiurati in casa di Renato, ottenendo ondate sonore di grande drammaticità ed osa liriche di intensità crescente. Egli segue una precisa e condivisibile visione della peculiare scrittura che alterna momenti brillanti, resi con frivolezza offenbachiana, a tensioni in divenire che preludono al Verdi più maturo. Festeggiatissimo, e non poteva essere altrimenti, sia alla salita al podio dopo l’intervallo (l’opera si propone con una sola pausa tra il secondo e terzo atto) e poi alla ribalta finale.

Il doppio cast ci lascia con l’imbarazzo della scelta, ammesso e non concesso che si debba scegliere e, soprattutto, con la voglia di tornare ad un’altra recita delle sette recite ancora in cartello.

Un breve accenno all’onesto comprimariato: il servo di Amelia di Carlos Cremada a cui si alterna Saverio Martinez, il Primo Giudice, sempre in alternanza, di José Luis Casanova e di Nauzet Valeron, il Silvano di David Oller. Bene assai i timbrati bassi, Valeriano Lanchas, Samuele e Luis Lopez Navarro, Tom e puntuale, graziosa e assai disinvolta Sara Blanch nella parte di Oscar, che per defezione del soprano Jodie Devos, copre in tutte le recite.

E veniamo agli artisti che si alternano: la sera della prima, il 9 febbraio, a vestire la candida veste (?!?) di Ulrica è toccato alla triestina Daniela Barcellona, che ha fatto sfoggio di una perfetta linea di canto ed è risultata assai efficace anche scenicamente nel ruolo della maga “dell’immondo sangue dei negri”, frase che si è mantenuta, sebbene i sopratitoli in catalano, spagnolo de inglese optassero per una definizione neutra: “sangue di stirpe abbietta” senza specificare a chi si riferisse. Le ha reso il paio con altrettanta proprietà e validità vocale il mezzosoprano tedesco Okka von der Damerau.

Due pure i baritoni alternatisi nella parte di Renato: il polacco Artur Rucinski, che vanta una forte professionalità e sicurezza nel personaggio, con linea musicale nobile e contenuta, ottenendo un’ovazione dopo l’aria “Eri tu”, conclusa con una bella cadenza; non è stato certo da meno il napoletano Ernesto Petti, una delle voci emergenti nel panorama nazionale e non solo, dal timbro di bel colore, vellutato e morbido, facile all’acuto ed interprete di notevole spicco.

Per le due Amelie veramente si è scelto tra le opzioni migliori oggi su piazza: Anna Pirozzi, che sta attraversando un periodo vocalmente splendido, si conferma interprete verdiana dove ve ne siano. Voce ricca di armonici, ampia, emessa con un sostegno ammirevole della respirazione che le permette di sfumare, rinforzare il suono giocando con un’ammirevole tavolozza di colori. L’acuto è saldissimo, proiettato di forza e senza esitazioni, l’interprete trascinante per passionalità ed intensità. Saioa Hernández conferma delle doti vocali altrettanto straordinarie e mette a frutto le lezioni ricevute dalla Caballé, di cui fu allieva prediletta, con una sicurezza invidiabile nel dosaggio dei fiati, nell’acuto fulminante, e con un’interpretazione trascinante che le ha giustamente garantito, come del resto alla collega napoleta, un successo travolgente e grida di “brava” alla conclusione delle due arie “Ma dall’arido stelo” e “Morrò, ma prima in grazia”. Entrambe memorabili vocalmente e scenicamente, sicuramente le più centrate tra gli interpreti.

Un ballo, risaputamente, è opera “da tenore”: il polifacetico personaggio di Riccardo ha avuto, pure, due interpreti per diversi motivi eccezionali. L’italo britannico Freddie De Tommaso, che debuttava scenicamente il ruolo, ha dalla sua una delle voci più belle, più “mediterranee” e solari, oggi su piazza. Vista la giovane età, è lecito attendere da lui un futuro radioso e la cosa consola non poco chi non ha mai dato credito al fatto che “non ci sono più le voci di una volta”. Il suo Riccardo, appassionato, scanzonato, drammaticamente potente, affascina anche per l’interpretazione in cui si getta a capofitto, senza risparmiare voce e volume e fisicità. Questo temperamento da cavallo purosangue indubbiamente richiede un certo affinamento, che verrà con l’esperienza e la frequentazione del ruolo, e soprattutto un dosaggio più contenuto dell’incredibile e ricchissimo materiale vocale. Già così, comunque, è parso magnifico e le urla -letteralmente – di “bravo” sono state condivise ed ampiamente meritate. Tutt’altra storia per il messicano Arturo Chacon-Cruz, che non può vantare un materiale di tale maschia bellezza, pur avendo una voce che passa agevolmente anche nei momenti di scrittura più bassa.  Soprattutto egli possiede un settore acuto di estrema chiarezza, limpido e cristallino, emesso con naturale facilità senza che si senta nessun salto nel cosidetto “passaggio di registro”. Dalla sua, evidentemente, la ormai lunga e proficua carriera e l’esperienza. Festeggiatissimo pure lui, con un successo personale gratificante.

Poco da aggiungere sull’allestimento: è quello visto (e recensito) al Teatro Regio di Parma, inzialmente progettato da Graham Vick, il quale però morì di covid nella sua Inghilterra (la nazione fatalmente citata nell’opera) e che quindi fu concluso da Jacopo Spirei. È passato senza intoppi: il pubblico del Liceu ha digerito di ben peggio; è apparso addolcito, “decaffeinato”, rispetto al ricordo delle insistite provocazioni “gay” viste al Regio. Meglio così, ma rimane sostanzialmente uno spettacolo inconcludente e pure noioso, che crea non poche difficoltà al coro, piazzato su un ballatoio a un’altezza che ne impedisce la visione dal terzo piano in su del teatro, mettendolo in difficoltà per gli attacchi e, per via del grande muro circolare fisso (la scena è di Richar Hudson) riducendo al limite dell’udibilità il suono della banda interna.

Andrea Merli

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