BILBAO: Die entfürung aus dem serail – W.A.Mozart, 29 gennaio 2024
DIE ENTFÜHRUNG AUS DEM SERAIL
Wolfgang Amadeus Mozart
Singspiel in tre atti
su libretto di Gottlieb Stephanie il giovane
a sua volta tratto da analoga opera del 1781 di Christoph Friederich Bretzner
Direttore musicale Lucia Marino
Regia Mariano Bauduin
Personaggi e Interpreti:
- Belmonte Moisés Marín
- Konstanze Jessica Pratt
- Blonde Leonor Bonilla
- Pedrillo Mikeldi Atxalandabaso
- Osmin Wojtek Gierlach
- Selim Bassa Wolfgang Vater
Scenografia Nicola Rubertelli
Costumi Odette Nicoletti
Luci Luigi della Monica
Direttore del coro Boris Dujin
Coro dell’Opera di Bilbao
Orchestra Euskadiko Orkestra
Produzione
ABAO Opera di Bilbao
Esukalduna Jauregia, 29 gennaio 2024
Torna dopo 30 anni sulle scene di Bilbao Il ratto dal serraglio, Singspiel in tre atti messo in musica da Mozart nel 1782 e che, ai tempi, lo rese popolare al pubblico viennese, il quale preferiva di gran lunga questa formula teatrale di numeri chiusi intercalati dal parlato, alle pur magnifiche opere in italiano, quelle che oggi si rappresentano più frequentemente sui palcoscenici di tutto il mondo, specie la cosidetta Trilogia Da Ponte.
“Gevaltig viel Noten lieber Mozart”, troppe note caro Mozart, commentò l’imperatore Giuseppe II. La risposta del Genio non si fece attendere: “Gerade so viel, Eure Majestät, als nöthig ist”, esattamente tutte, Vostra Maestà, quelle necessarie. Oggi all’ascolto di questo indiscutibile capolavoro nessuno azzarderebbe un giudizio del genere. Non di meno, nel riproporre in lingua originale (chi scrive ricorda ancora, negli anni Settanta dello scorso secolo, la versione in italiano al Teatro Verdi di Trieste) Die Entfürung ci si scontra – pare sia uno scoglio che si ripropone con tutte le opere che presentano il “parlato”, dalla Carmen in versione Opéra Comique alla recente Médée scaligera – con la difficile soluzione della parte recitata, indigesta per chi non capisca il tedesco e pure per i solisti in scena, quando non dominino la lingua di Goethe. È dunque consolidata abitudine procedere a generosi tagli, anche per ridurre la durata dello spettacolo che già così, cioè coi recitati decimati, a Bilbao ha sfiorato le tre ore. Troppa musica? Quella, divinamente bella, vola via in un attimo!
O meglio, sarebbe volata se a dirigerla non fossse stata una bacchetta particolarmente pesante e a tratti fracassona. L’impugnava la direttrice Lucia Marin, debuttante in ABAO, la quale vanta un largo curriculum sinfonico, ma che ha dimostrato scarsa sensibilità in questo peculiare genere che deve levitare come la schiuma ed aleggiare qual nuvola leggera. La Euskaldiko Orkestra, posizionata quasi a livello platea, è parsa ottima, con bella evidenza delle parti principali nei molti momenti chiamati ad esibizione solistica – per esempio la sublime introduzione di “Marten aller Arten” – e così pure, sebbene con organico ridotto, il coro dell’Ópera de Bilbao diretto come sempre impeccabilmente da Boris Dujin, nella loro marginale partecipazione, ivi comprese le prestazioni dei quattro solisti all’ingresso di Selim e Konstanze.
Grande attesa per il debutto di Jessica Pratt nella parte della bella prigioniera, amante fedele e fedelmente corrisposta da Belmonte ed ambita dal Pascià. Un anticipo di quella che sarà la sua prossima partecipazione al Teattro alla Scala nella ripresa dello storico e indimenticato spettacolo firmato da Giorgio Strehler. Semplicemente stupefacente la scioltezza e liquidità delle sue agilità, sciorinate con una naturalezza e facilità sorprendenti; la scrittura che tocca il Re sovracuto certamente non rappresenta un ostacolo per il soprano australiano dall’estensione stratosferica. Ma ciò che ha sedotto è stata la partecipazione emotiva, la sincerità che traspare da un canto controllatissimo, eppure senza artificio, che ella in virtù di una tecnica sopraffina amministra con dinamiche sfumatissime, attenuando e rinforzando il suono su tutta la gamma, riuscendo ad essere sonora e credibile in zona centrale e grave senza dover scendere e scadere in note di petto o al parlato, conservando una linea musicale impeccabile. Scenicamente le riesce pure di gestire una presenza imponente – in ciò ricorda non solo vocalmente la “Stupenda”, sua connazionale – che lungi da essere un intralcio, la rende particolarmente affascinante e presente, grazie va detto agli splendidi costumi firmati da Odette Nicoletti e Marianna Carbone. Il primo fragoroso applauso lo ha ottenuto dopo la squsita aria di presentazione n.·6 dello spartito “Ach ich liebte, War so glücklich” (Ah, io amavo ed ero felice) che la interessata ha confessato di essere suo cavallo di battaglia sin dai tempi delle prime audizioni, raggiungendo poi il clou con l’aria delle “torture” e finalmente l’apice alla ribalta finale.
Pregevole il resto del cast, inziando dal vigoroso Belmonte del tenore Moisés Marín, un giovane talento che si sta facendo strada emergendo nel pur ricco panorama ispanico. Al suo debutto nella parte del nobile sivigliano, ha sofferto una laringite – male di stagione – che lo ha obbligato a rinunciare alla recita della “prima”. All’ultima, a cui si riferisce la cronaca, è parso perfettamente ristabilito ed ha cantato con grande generosità ed ammirevole proprietà, sebbene per una voce di così bella grana lirica e dal colore “bari-tenorile” sia più aspicabile un repertorio rossiniano, quello del Nozzari per intenderci, e in un prossimo futuro ruoli decisamente più drammatici. Ottima Blonde il soprano Leonor Bonilla, che mi vanto di seguire dai suoi primi passi, e che ha dimostrato una vitalità scenica, un’aderenza musicale ammirevoli, sostenendo tutte le note – spesso glissate dai sopranini soubrette che spesso affrontano la parte – ivi compreso uno squillante e perfettamente emesso Mi naturale. Pure il Pedrillo del tenore Mikeldi Atxalanbadaso (e poi ci si lamenta dell’impronunciabilità dei cognomi mongoli) è stato esemplare, e per vivacità in scena e per la voce ampia, sonora e perfettamente emessa. Al basso Wojtek Gierlach, Osmino, manca la zona grave udibile e definita per poter assumere il ruolo del cavernoso e comico personaggio (nel 1995 a Bilbao fu Hans Sotin e dico niente) anche se scenicamente è risultato essere spiritoso.
Finalmente lo spettacolo, tradizionale e di impianto scenico fisso, elegante e funzionale nella scena Nicola Rubertelli e ben illuminato da Luigi della Monica, ma decisamente rinunciatario da un punto di vista registico quasi che Mariano Bauduin, che pure fu allievo di Roberto de Simone, non avesse trovato un’idea da sviluppare e sì che il Ratto, specie se eseguito in Spagna, si presterebbe a molte allusioni e situazioni comiche: mi ricordo la scena tra Pedrillo ed Osmin, quando il primo ubriaca il secondo, per la regia di Strehler… uno spettacolo, il prossimo in Scala, imperdibile per chi non lo conoscesse e, soprattutto, non voglia far sfuggire la meravigliosa Konstanze della Pratt!
Andrea Merli