TEATRO ALLA SCALA: Médée – Luigi Cherubini, 20 gennaio 2024

TEATRO ALLA SCALA: Médée – Luigi Cherubini, 20 gennaio 2024

MÉDÉE

Luigi Cherubini

su libretto di François-Benoît Hoffmann

ispirato alla tragedia classica omonima di Euripide e/o alla versione seicentesca di Corneille, o anche alla tragedia di Seneca dallo stesso titolo


Direttore Michele Gamba
Regia Damiano Michieletto

Personaggi e Interpreti:

  • Médée Maria Pia Piscitelli 
  • Jason Stanislas de Barbeyrac
  • Créon Nahuel Di Pierro
  • Dircé Martina Russomanno
  • Néris Ambroisine Bré
  • Confidantes de Dircé Greta Doveri, Mara Gaudenzi

Scene PAOLO FANTIN
Costumi CARLA TETI
Luci ALESSANDRO CARLETTI
Drammaturgia MATTIA PALMA

Teatro alla Scala, 20 gennaio 2024


Dopo 62 anni torna il capolavoro di Cherubini, ma nella versione francese. Stiamo vivendo una vera e propria “Médée mania”, poiché si sta imponendo la versione originale dell’Opéra-comique, su libretto di François-Benoit Hoffmann, che andò in scena per la prima volta il 23 marzo 1797 al Théâtre Feydeau di Parigi. Secondo alcuni è ora di confinare nella soffitta dei ricordi la solita e vecchia e certamente spuria traduzione dal tedesco all’italiano di Carlo Zangarini, realizzata a principio del secolo XX dalla versione del 1865 da Franz Lachner, il quale sostituì i dialoghi parlati con recitativi musicati.

Vito Lorusso ©Teatro alla Scala

La filologia, tuttavia, nella pratica teatrale si scontra con l’ostacolo di far recitare i dialoghi di Hoffmann ai cantanti lirici, notoriamente poco inclini a recitare in versi, a cui si aggiunge in questo caso la difficoltà di pronunciare un francese decente. Così alla Scala, come recentemente al Teatro Real di Madrid, si cerca di aggirare l’ostacolo. Musicando di nuovo i recitativi, né più né meno di quanto fece Lachner 160 anni fa – è successo a Madrid – o più semplicemente con una nuova drammaturgia – ad usum Delphini per la impostazione registica – scritta espressamente in francese per la Scala da Mattia Palma e quindi eseguita con voci registrate di due bambini (Timothée Nessi e Sofia Barri) che “doppiano” i figli perennemente in scena di Médée e Jason.

Vito Lorusso ©Teatro alla Scala

Vito Lorusso ©Teatro alla Scala

Nella visione distopica di Damiano Michieletto, ideatore del nuovo allestimento con le scene di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti, le luci di Alessandro Carletti, i due innocenti pargoli sono tenuti prigionieri da Créon in una stanza che si intravede sullo sfondo e rappresentano il centro di tutta l’azione. Al mito di Euripide si sostituisce una storia piccolo borghese, con una spenellata di delitto di genere, oggi tanto attuale, nei confronti di Médée, bullizzata e comunque socialmente esculsa, vittima di un truzzo approfittatore il quale, una volta raggiunto lo scopo (la testa del capro espiatorio a simboleggiare il “vello d’oro” risulta una inutile presenza) l’abbandona. L’infanticidio acquista il tono soft del bianco e nero di una ipotetica videocamera di sorveglianza che riprende Médée, novella Frau Goebbels, mentre fuori scena somministra uno sciroppo avvelenato ai due consenzienti pargoli. Almeno due curiose citazioni: quella del film “La Corazzata Potëmkin”, poichè la protagonista più volte gira per il palcoscenico spingendo una carrozzina e poi “Bellissima” di Visconti, quando Médée dopo essere arrivata coperta di stracci e con una borsa piena di carbone, finalmente indossa un taillieurino simile a quello della Magnani nel sopra citato film. Ho trovato lo spettacolo scialbo, privo di idee originali, compresa l’inspiegabile pioggia di carbone alla fine del terzo atto. Il giorno della prima è stato fischiato, come accade quasi sempre con questi allestimenti assolutamente intercambiabili, che potrebbero essere adattati a qualsiasi opera.

Vito Lorusso ©Teatro alla Scala

Michele Gamba ha guidato l’orchestra, sempre di altissimo livello, così come il coro diretto da Alberto Malazzi, con ritmo variabile, a volte velocissimo, altre allargando i tempi, mettendo a dura prova la resistenza degli interpreti. Nella recita a cui si riferisce la cronaca, Marina Rebeka, affetta da raffreddore, è stata sostituita all’ultimo minuto da Maria Pia Piscitelli nella parte della protagonista; fortunatamente per la Scala era libera e, soprattutto, aveva già partecipato lo scorso ottobre 2023 alle recite del Teatro Real di Madrid.

Vito Lorusso ©Teatro alla Scala

Salita in scena senza prove, ha dimostrato non solo di essere una grande professionista, integrandosi nello spettacolo, bensì e soprattutto interpretando con ottimo fraseggio e accenti drammatici questo terribile ruolo, assolvendolo vocalmente con una voce ferma e sicura, senza incrinature, completa sia in zona grave che negli acuti. Una certa cautela iniziale nel dosare gli armonici, anche in considerazione della difficoltà della parte, è stata risolta a partire della seconda parte, che comprende l’atto secondo e il terzo, con una recitazione coinvolgente, ottenendo, comprensibilmente, un trionfo personale nell’uscita finale per gli applausi.

Vito Lorusso ©Teatro alla Scala

Il resto del cast non ha superato il livello di una discreta prestazione: il soprano Martina Russomanno, Dirce, sfogata negli acuti, passando al Giasone del tenore francese Stanislas De Berbeyrac e al Créon del basso argentino Nahuel Di Pierro, entrambi senza infamia e senza lode. Meglio la Neris del mezzosoprano francese Ambroisine Bré, dalla voce chiara ma ben emessa e pure espressiva nel canto, e molto bene le due ancelle del primo atto: Greta Doveri e Mara Gaudenzi.

Andrea Merli
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