BARCELLONA: Carmen – Georges Bizet, 8 e 10 gennaio 2024

BARCELLONA: Carmen – Georges Bizet, 8 e 10 gennaio 2024

Carmen

opéra-comique di Georges Bizet

composta da quattro atti (o quadri, come vengono chiamati dal compositore)

su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, tratta dalla novella omonima di Prosper Mérimée


Direttore Josep Pons

Regia Callisto Bieito

Personaggi e Interpreti:

  • ZUNIGA Filippo Bou
  • MORALÈS Tonino Marsol
  • DON JOSÉ Michael Spyres  Freddie De Tommaso
  • ESCAMILLO Simone Orfila
  • DANCAÏRE Jan Antem
  • REMENDDO Carlos Cosías
  • LILLAS PASTIA Abdel Aziz El Mountassir
  • FRASQUITA Gelsomino Habersham
  • MERCÉDÈS Laura Villa
  • CARMEN Clementine Margaine
  • MICAËLA Adriana Gonzalez

Scene Alfonso Flores
Questa versione Lucia Astigarraga
Progettazione di costumi Mercè Paloma
Luci Alberto Rodríguez Vega (AAI)

Assistente alla regia Emilio Lopez Peña
Assistente del direttore musicale Rodrigo de Vera
Assistenti musicali
Véronique Werklé, Astrid Steinschaden, David-Huy Nguyen-Phong e Jaume Tribó

Voci bianche – VEUS Amics de la Unió (Josep Vila i Jover, direttore d’orchestra)
Coro del Gran Teatre del Liceu (Pablo Assante, direttore)
Orchestra Sinfonica del Gran Teatre del Liceu

Produzione
Gran Teatre del Liceu, Teatro de la Fenice de Venècia, Teatro Massimo de Palermo e Teatro Regio di Torino 

Gran Teatre del Liceu, 8 gennaio 2024


Carmen torna al Liceu per ben 11 recite e registra, da subito, il tutto esaurito per entrambi i cast che si alternano a scadenza quotidiana. Si tratta del noto allestimento firmato per la regia da Calixto Bieito, scena unica di Antonio Flores, costumi di Mercé Paloma, luci di Alberto Rodriguez, spettacolo che debuttò al Festival di Peralada, in Catalogna, nell’estate del 1996 e che in quasi 25 anni si è visto in mezzo mondo, in Italia a Venezia, Torino e Palermo, e che si può considerare un “classico” del Regie-Theater, alla stregua della Bohème “di Zeffirelli”, giusto per fare l’esempio tra i più eclatanti per quanto riguarda gli spettacoli tradizionali. Tra le innumerevoli regie di Bieito sicuramente è una delle più riuscite e sempre attuale: tale purtroppo è il femminicidio, la violenza di genere di cui questa lettura condivisibilissima rimane un chiaro manifesto di condanna. Vi si rappresenta la Spagna dell’immediato post franchismo, con i militari intrisi di machismo becero e violento, bullismo e tutti i peggiori difetti del genere maschile. L’aggiornamento funziona sempre a meraviglia in uno spettacolo minimale dove la scena è unica, costituita da un fondale scuro e semicircolare, l’attrezzo ridotto all’osso: una cabina telefonica, una sedia pieghevole, un pennone su cui viene issata la bandiera spagnola (motivo principale delle contestazioni che inizialmente accolsero lo spettacolo in Spagna: considerato oltraggioso dai conservatori nazionalisti e pure dai catalani indipendentisti) e una serie di macchine, quando una vettura in scena era ancora una novità. Per dirla tutta, questa Carmen ha perso buona parte del carattere provocatore e corrosivo: ormai certe soluzioni sfiorano la routine. Anche perché nel corso del tempo le riprese hanno “decaffeinato” il tutto, ammorbidendo e smussando: la fellatio che Mercedes fa a Morales, nel secondo atto, viene appena accennata e collocata dietro… l’auto Mercedes , appunto; la scena poetica che apre il terzo atto, con la musica del preludio al chiaro di luna, laddove un “espontaneo” si denuda per accennare a dei passi di corrida sotto la sagoma del “Toro Osborne” (una famosa etichetta di brandy, pubblicità tuttora presente lungo le strade della Spagna) con un eccesso di nebbia viene solo intuita e dunque ogni motivo di “scandalo” per il pubblico più conservatore viene così astutamente dribblato. Successo dunque pieno per la parte visiva, laddove alcune idee si rivelano comunque tutt’ora vincenti, in particolare nella soluzione del quarto atto dove ci viene risparmiato intelligentemente tutto l’armamentario della sfilata dei toreri, dando massimo risalto all’incontro tra Escamillo e Carmen e poi raggiungendo l’apice nel duetto finale, risolto magistralmente facendo recitare i soli due protagonisti.

Musicalmente il successo si è trasformato in trionfo. A teatro stracolmo, il direttore artistico Victor García de Gomar si è presentato in proscenio ed ha annunciato che il previsto Don José, il tenore Michael Spyres, colpito da indisposizione, sarebbe stato sostituito dal tenore italo britannico Freddie De Tommaso, presente a Barcellona per le prove del prossimo Un ballo in maschera e che l’11 di gennaio sarà impegnato, sempre al Liceu, in un concerto col soprano norvegese Lise Davidsen. Se il tenore anticipava così il suo debutto al Liceu, per il sottoscritto si è trattato della prima occasione di ascoltarlo dal vivo e devo ammettere “colpito qui mi avete”, sciogliendo come neve al sole alcuni dubbi che avevano sollevato alcuni ascolti su YouTube (a conferma che le voci, laddove si può, vanno intese dal vivo). Non ancora trentenne – classe 1994 – il buon Freddie possiede una voce di timbro stupendo, solare e caldo, in una parola latino. La tecnica è già molto smaliziata e gli permette di addolcire il suono, di fare pianissimi e nella celeberrima “aria del fiore” di giocare su una mezza voce di grande fascino. Senza problemi nell’estensione, emissione controllata e solo un tanto “testosteronica” nella generosità che gli viene dalla giovane età che porta a carburare troppo. Detto ciò, in questo contesto violento e machista, gli giova pure la fisicità imponente, di ragazzone passionale e anche tenero, salvo poi nel finale trasformarsi in una belva selvaggia. Un quarto atto di incredibile tensione scenica che ha inchiodato gli spettatori alla poltrona.

Ha contribuito la altrettanto impressionante Carmen di Clémentine Margaine, mezzosoprano di Narbona ormai considerata Carmen di riferimento. Dotata di una voce ampia, completa su tutta la gamma, facile all’acuto e naturalmente impostata nella zona grave senza dover ricorrere ai suoni di petto, come interprete fa di Carmen una donna potente, più che una zingara passionale – non a caso Bieito utilizza i costumi a balze tipici delle danzatrici di flamenco come abbigliamento per abbindolare i gendarmi e finanzieri – una donna libera e decisa a conservare la propria individualità. Anche lei si inserisce a meraviglia in questa non semplice da realizzare visone registica.

Il soprano guatemalteco Adriana Gonzáles, premio Operalia 2019, possiede tutte le carte per essere una festeggiatissima Micaela. Voce chiara, lirica, di facile estensione ed una grande abilità nel modulare il suono in deliziose messe in voce, pianissimi. La gioventù la porta a crescere leggermente in acuto, ma si è pur sempre del parere che è meglio crescere un po’ che calare molto. Come interprete, poi, semplicemente deliziosa. Simon Orfila è ormai l’Escamillo per eccellenza. Gioca a suo favore il gagliardo aspetto – in “traje de luces” vestito da torero fa la sua imponente figura – e, soprattutto, la tessitura che gli viene comoda essendo sostanzialmente un basso facile all’acuto. La sua sortita col celebre “Votre toast” ha segnato uno degli applausi più fragorosi a scena aperta, di cui la serata è stata molto prodiga. Ben assegnati i ruoli di fianco: nell’ordine lo Zuniga di Felipe Bou, il Morales di Toni Marsol, il Dancaire di Jan Antem, il Remendado di Carlos Cosias, la Frasquita di Jasmine Habersham, la Mercedes di Laura Vila.

Benissimo il coro, anche scenicamente al punto di non distinguerlo dalla numerosa presenza di attori per la figurazione, diretto con eccellenti risultati da Pablo Assante a cui si è unito il coro infantile “Veus Amics de la Unió” istruito da Josep Vila i Jover. Ottima l’orchestra diretta dal direttore stabile Josep Pons che ha proceduto in una lettura senza cedimenti nel ritmo riuscendo anche ad avere un buon rapporto col palcoscenico. Si è scelta la versione Ópera-Comique, eliminando praticamente tutti i parlati. Ne sorte una edizione un po’ monca, sebbene funzionale alla regia, ma se ne fa di necessità virtù, laddove personalmente io sarei ancora per la versione Guiraud, dimostrando così di essere certamente vecchio ed attirandomi addosso le inventive dei puristi. Ma tant’è, “sobre gustos no hay nada escrito” e non incomincerò certo a scriverne io.

Gran Teatre del Liceu 10 di gennaio 2024


Si ritorna al Liceu più che per Carmen, la pur apprezzabilissima Clémentine Margaine, per Don José, finalmente cantato da Michael Spyres, reduce dal raffreddore che l’ha obbligato a cedere la precedente recita di lunedì 8 gennaio – di cui si è riferito – al collega De Tommaso.

Il 44enne tenore del Missouri ha dimostrato di essere perfettamente a suo agio ed in completa e ripresa forma vocale fisica, nella parte dell’infelice personaggio. Già dal duetto con Micaela, ricordiamo la sempre brava ed intensa Adriana Gonzáles, ha messo in pratica la tecnica raffinata che gli permette un’ampia tavolozza di colori e di dominare tutte le dinamiche dal forte al pianissimo. L’aria del fiore, accolta con entusiasmo dal numeroso pubblico, è stata coronata da una messa in voce celestiale, laddove gli è riuscito di passare dal piano al forte e di nuovo a smorzare la nota senza ricorrere a suoni falsettanti e con un appoggio esemplare del fiato. Perfettamente aderente alle esigenze musicali e stilistiche che la parte richiede, il suo francese è pure notevolissimo (a detta per altro da un amico francese, e si sa quanto i francesi siano severi nel giudicare come si pronuncia la loro lingua) e dunque ottimo nei primi due atti, ivi compreso il finale secondo dove si incomincia a intravvedere il lato drammatico e violento del personaggio. Che nel terzo atto, già nel duetto con Escamillo, ancora il bravissimo e prestante Simon Orfila, ma poi in tutto il finale, esplode con forza e veemenza, sempre senza tradire una linea vocale esemplare nonostante i toni quasi “veristi” che il ruolo esige. Laddove ha vinto, anzi stravinto, è stato però nel quarto atto, dove ha messo in evidenza, aderendo perfettamente al disegno registico, la debolezza psicologica che si somma alla violenza fisica di Don José. L’ovazione alla ribalta finale, dove tutti di nuovo sono stati festeggiati con interminabili applausi, è stata più che meritata d’obbligo.

Andrea Merli

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