BILBAO: Roméo et Juliette – Charles Gounod, 31 ottobre 2023

BILBAO: Roméo et Juliette – Charles Gounod, 31 ottobre 2023

Roméo et Juliette

 

opera in cinque atti di Charles Gounod

scritta nel 1865 su libretto in francese di Jules Barbier e Michel Carré

tratto da Romeo e Giulietta di William Shakespeare


Direttore d’orchestra Lorenzo Passerini

Regia Giorgia Guerra

 

Personaggi e Interpreti:

  • Giulietta Nadine Sierra *
  • Romeo Javier Camarena
  • Mercuzio Andrzej Filończyk
  • Frère Laurent Marco Mimica
  • Stefano Anna Alàs Jové *
  • Capuleti Fernando Latorre
  • Tebaldo Alessandro del Cerro *
  • Gertrude Irene Zas*
  • Parigi Isacco Galan
  • Gregorio José Manuel Diaz
  • Benvolio Gerardo López
  • Duca di Verone Juan Laboreria *

* Debutta nell’ABAO

Scene Federica Parolini
Costumi Lorena Marino
Luci Fiammeta Baldiserri
Proiezioni video Studio Immaginario

Produzione ABAO Opera di Bilbao, Opera di Oviedo

Orchestra Euskadiko Orkestra

Coro dell’Opera di Bilbao
Direttore di coro Boris Dujin

 

Palacio Euskalduna, 31 ottobre 2023


Felicissima inaugurazione della 72esima stagione ABAO (Asociación Bilbaina Amigos de la Ópera) con Roméo et Juliette di Gounod in una nuova produzione, in coproduzione col Teatro Campoamor di Oviedo, che probabilmente arriverà presto anche in Italia, come ci ha anticipato il direttore artistico Cesidio Niño visibilmente soddisfatto del successo trionfale che ha accolto l’opera, qui riferito alla quarta ed ultima recita a teatro stracolmo di pubblico esultante, non solo per i frequenti e prolungati applausi durante l’esecuzione, bensì soprattutto insistente in ripetute chiamate per tutto il cast a fine opera.

Iniziamo proprio dalla messa in scena che si è avvalsa della centratissima scenografia di Federica Parolini, consistente in una “scatola” armonica grigia sui tre lati della scena, indispensabile in un palcoscenico aperto, enorme e dispersivo come quello dell’Euskalduna Jauregia, moderno e pure monumentale edifico polifunzionale, costituendo una efficace protezione acustica per il canto di solisti e coro. Struttura severa ed atemporale, alla cui base due gradoni si sono dimostrati perfetti per posizionare in più di una scena figuranti e coro, su cui sono state proiettate delle suggestive immagini in movimento: due nubi, azzurra una e rossa l’altra (i colori dei Capuleti e dei Montecchi) tentano di unirsi inseguendosi, poi esplodono in un bianco funereo. Altre proiezioni, alcune ortogonali di strutture architettoniche rinascimentali, archi acuti come di interno di basiliche: ottimo lavoro di Imaginarium Studio. Completa e arricchisce il tutto una torre centrale di pianta quadrata che, a seconda dell’orientamento, suggerisce l’interno della stanza di Giulietta, l’esterno nella scena del balcone con evanescenti trasparenze, la cappella di Fra Lorenzo e, nella scena finale, la pietra tombale che cala in sintonia con la musica sui corpi dei due infelici amanti. Semplice, elegante nel suo voluto minimalismo e praticamente senza attrezzo, raffinata e, soprattutto, efficace nell’adattarsi ai molteplici cambi di scena: l’opera si esegue con un solo intervallo tra il primo ed il secondo quadro del terzo atto. Si aggiunga la suggestiva e centratissima illuminazione di Fiammetta Baldiserri, sempre una garanzia, i raffinati costumi d’epoca firmati da Lorena Marin e si concluda con l’ottima regia di Giorgia Guerra, la quale mette a frutto la lunga esperienza, maturata quasi in sordina, per creare uno spettacolo dinamico, riuscendo a far ballare un coro che non brilla certo per gioventù, dando credibilità alla scena del doppio duello tra Mercutio e Tybalt e quindi tra questi e Roméo, ma soprattutto lavorando di bulino sulla recitazione del singolo, contando questo sì con un cast molto partecipe.

Nel complesso omogenea la vasta schiera di ruoli di fianco. Puntuali il Gregorio ed il Benvolio, rispettivamente José Manuel Diaz e Gerardo López, bene il Duca di Verona di Juan Laborería, meglio ancora il Conte Paride di Isaac Galán e inserita last minute, in sostituzione dell’indiposta Itxaro Mentxaka, la Gertrude di Irene Zas che poco più di un mese fa avevamo apprezzato nell’edizione dell’opera presentata al Festival de La Coruña. Pure il Capuleti, ben cantato ed ancor meglio interpretato dal basso Fernando Latorre, era presente a La Coruña e qui ha replicato l’ottima prestazione di allora. Una bella sorpresa Alejandro Del Cerro, voce dallo schietto timbro tenorile, generosamente emessa e musicalmente centratissima, nella parte di Tybalt. Un vero lusso disporre del basso croato Marko Mimica per la parte di Fra Lorenzo e vivace Anna Alàs i Jove nell’episodica parte di Stefano con la sua deliziosa ballatella. Non conoscevo il baritono polacco Andrzej Filonczyk, qui Mercutio, e mi ha causato un’ottima impressione ed il desiderio di poterlo presto ascoltare in un altro ruolo brillante e, magari, più impegnativo.

Indubbiamente l’attrazione principale in quest’opera, praticamente un lungo duetto d’amore intercalato da altre pagine bellissime e struggenti, è la coppia dei protagonisti. Attesissimo il debutto del tenore 47enne messicano Javier Camarena, giunto ormai all’apice della sua traiettoria artistica. Una presa di ruolo felicissima, sottolineata dall’interminabile applauso dopo la splendida esecuzione dell’aria che apre il secondo atto “Leve-toi soleil”, cavallo di battaglia di una vasta schiera di tenori, da Till a Vanzo, da Kraus ad Alagna. Qui siamo a quei massimi livelli esecutivi, per la proprietà stilistica, per la cura dell’accento e la fantasia nel fraseggio, per l’uso sfumato e musicalmente precisissimo di tutte le dinamiche, dal pianissimo al fortissimo. Il colore non è di quelli che si fanno notare subito, per solarità e bellezza, ma l’Artista sfrutta una tecnica solidissima ai fini di un’espressività ricca di intenzioni, di sentimento, in una parola: d’amore. Anche la recitazione ci rende un Roméo quasi adolescente, un po’ timido seppure determinato, titubante eppure coraggioso, audace e deciso per esempio, nella scena del duello resa con grande senso drammatico. Il merito principale di Camarena, a mio modestissimo avviso, sta nell’intelligenza di cantare “con la sua voce” e cioè di non farsi tentare dall’ingrossare un suono, dallo “spingere” in acuto, consapevole che la frase musicale non si risolve con l’urlo “un tanto al chilo”, come alcuni purtroppo intendono, ma con dei suoni sempre controllati, con un’emissione sostenuta ed omogenea. Insomma, un’eccezione o quasi e non solo tra i tenori. Bravo è dir poco, semplicemente trascinante e commovente.

Di Nadine Sierra che si può aggiungere? Bella, brava, eccellente attrice: ha tutte le qualità richieste ad una fuori classe e lei lo è dalla prima entrata in scena riuscendo, pur nella folla del coro e cantanti, a catalizzare l’attenzione. Il percorso drammatico della sua Giulietta, prima fresca, scherzosa, birichina e sfuggevole, via via intensa, innamorata, caparbia e coraggiosa fino a sfidare la morte e, finalmente, pronta al sacrificio estremo, è parso esemplare: difficilmente, oggi come oggi, posso immaginare una Giulietta più immedesimata nella propria parte. Giunta alla fatidica “aria del veleno”, che già all’origine veniva cassata per le difficoltà che indubbiamente comporta, per giunta alla fine del quarto atto, la Sierra si trasforma, si fa per dire, in un soprano drammatico d’agilità. Il colore della voce, si scurisce, pur senza tradire un’emissione sempre sul labbro, in avanti e ben sostenuta, e assume un’autorevolezza che farebbe pensare a ruoli ben più impegnativi sul versante lirico. Questa dote si era potuta apprezzare, per esempio, nella relativamente recente Traviata fiorentina con un terzo atto da brivido, ma anche in questo caso si tratta di un uso corretto della parola cantata e del fiato senza affondi in zona di petto e senza cercare di gonfiare il suono: risultato? Alla terza recita, quella del venerdì 27 ottobre, fu costretta a furor di applausi e grida a concederne il bis. E con ciò si dice tutto sulla bravura e generosità dell’Artista. La sera a cui si riferisce la cronaca ci mancò poco e lei restò come ipnotizzata, ferma ed immobile, dalla interminabile ovazione. Che aggettivo aggiungere? Incantevole!

Bene il coro, come sempre ubbidiente alla maestria di Boris Dujin, benissimo la Euskadiko Orkestra e bella conferma quella del Maestro Lorenzo Passerini, pure lui accolto da applausi trionfali, che non sentivo dirigere dai tempi di una fortunosa e tempestiva sostituzione in Tosca al Teatro Regio di Torino. Qui si è prodigato in una lettura scattante ed enfatica nei momenti di tensione drammatica, ma ideale per tempi e sonorità perfettamente dosate nell’accompagnamento e sostegno del canto, creando atmosfere di sognante emozione e raffinata sensibilità musicale. Un lavoro invero lodevole. Mi è stato ricordato che nel recensirlo, ed era una delle sue primissime esperienze direttoriali nell’opera, avevo scritto “Speriamo di rivederlo presto sul podio” o qualcosa di analogo. Ci ho messo un po’ di tempo, è vero, ed ora Passerini se lo disputano i palcoscenici di Londra, Vienna ed altri importanti capitali musicali. Speriamo dunque che i prossimi incontri siano più ravvicinati.

Andrea Merli

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