BARCELLONA: Trittico – Giacomo Puccini, 29 novembre 2022
TRITTICO
Gicomo Puccini
Direttore d’Orschestra Susanna Mälkki
Regia Lotte de Beer
IL TABARRO
Opera in un atto
su libretto di Giuseppe Adami
Prima assoluta 14/12/1918 al Metropolitan Opera House di New York
Prima a Barcelona 21/12/1948, al Gran Teatre del Liceu
- Michele Ambrogio Maestri
- Luigi Brandon Jovanovich
- Il Tinca Pablo García-López
- Il Talpa Valeriano Lanchas
- Giorgetta Lise Davidsen
- Frugola Mireia Pintó
- Venditore di canzonette Marc Sala
- Un amanta Ruth Iniesta
- Un amante Iván Ayón-Rivas
SUOR ANGELICA
Opera in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano
Prima assoluta 14/12/1918 al Metropolitan Opera House di New York
Prima a Barcelona 21/12/1948, al Gran Teatre del Liceu
- Suor Angelica Ermonela Jaho
- Zia Principessa Daniela Barcellona
- la Badessa María Luisa Corbacho
- la Zelatrice Mireia Pintó
- la Maestra delle novizie Marta Infante
- Suor Genovieffa Mercedes Gancedo
- Suor Osmina Carolina Fajardo
- Suor Dolcina Berna Perles
- La suuora Infermiera Laura Vila
- la Novizia Mar Morán
- Le Coverse e le Cercatrici Alexandra Zabala, Raquel Lucena, Elizabeth Maldonado, Elisabeth Gillming
GIANNI SCHICCHI
Opera in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano
Prima assoluta 14/12/1918 al Metropolitan Opera House di New York
Prima a Barcelona 21/12/1948, al Gran Teatre del Liceu
- Gianni Schicchi Ambrogio Maestri
- Lauretta Ruth Iniesta
- Zita Daniela Barcellona
- Rinuccio Iván Ayón-Rivas
- Gherardo Marc Sala
- Nella Berna Perles
- Betto di Signa Pau Armengol
- Simone Stefano Palatchi
- Marco David Oller
- La Ciesca Mireia Pintó
- Maestro Spinelloccio Luis López Navarro
- Messer Amantio di Nicolao – Un Notaro Tomeu Bibiloni
- Gherardino Joy Sánchez, Clara Feliu, Conrad Font, Vega Torres
- Pinellino Miquel Rosales, Plamen Papazikov
- Guccio Gabriel Diap, Dimitar Darlev
Gran Teatre del Liceu, 29 novembre 2022
Dopo 35 anni, l’ultima volta nel 1987, torna sulle scene del Liceu Il trittico pucciniano al completo e rappresentato nell’ordine stabilito: Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi. Non diamolo per scontato poiché, vuoi con la scusa dell’eccessivo impegno artistico ed economico per riunire praticamente tre cast per una sola serata, vuoi per strampalati abbinamenti e/o per motivi “drammaturgici” estranei, ovviamente, al dettato pucciniano Il trittico viene frequentemente smembrato oppure proposto in ordine sparso.
Partiamo dunque dall’allestimento, produzione procedente dalla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera, regia di Lotte der Beer ripresa da Anna Ponces, scenografia di Bernhard Hammer, costumi di Jorine Van Beek, luci di Alex Brok e – poteva mancare? – drammaturgia di Malte Krasting. Praticamente una scena unica costituita da un enorme contenitore metallico, con forma a mezzo tra imbuto e tubo catodico televisivo, dotato di praticabili dissimulati nelle pareti laterali e di un fondale che, a fine atto, si scopre essere girevole a 360 gradi. Il vantaggio, indiscutibile, è che la struttura funge benissimo da cassa armonica e favorisce la proiezione delle voci. Un po’ meno funzionale, nel suo essere ristretta e claustrofobica, per i movimenti scenici che risultano spesso “inscatolati”. Dei tre titoli ne trae maggior beneficio Il tabarro, ambientato in una sorta di “porto delle nebbie” per la presenza costante di fumo, laddove Parigi, il fiume, i ponti e le prime automobili con i loro clacson previsti in partitura ce li si deve immaginare. L’uso di una botola ed il passaggio sul fondo dei ruoli minori, bastano a creare il giusto clima e la tensione drammatica grazie anche ad una sapiente illuminazione. La drammaturgia – non la regia si badi – comincia a perdere i colpi in Suor Angelica, presentata come una donna schizofrenica, con tratti autistici, in preda a depressione, il ché la spinge a tentare da subito il suicidio; non a caso Suor Genovieffa, unica tra le suore ad esserle affezionata, non la perde mai di vista e le cede per un attimo lo scialle che Angelica culla come fosse un bebè; è pure vittima di attacchi di violenza che sfoga addirittura contro la zia Principessa. Nel finale una grande croce composta da luci led, pure rotatoria, pare contenere non già l’agognato figlio, bensì lei stessa, in camicia di forza, imbrigliata dall’implacabile zia; in convento – o forse manicomio – l’hanno rinchiusa per la pazzia: la “macchia” nello stemma familiare. Un’idea innovativa fin che si vuole, ma che con la musica ed il climax creati da Puccini nulla ha da spartire. Con lo Schicchi, infine, drammaturga e regista si danno la mano nell’imbastire la farsa “formato esportazione” che dell’ironia caustica e sferzante del libretto di Forzano, della irriverenza toscana mista a squarci di irraggiungibile lirismo del Puccini, coglie malamente l’aspetto grottesco, dimostrando, sostanzialmente, di non averne capito lo spirito. Ciò detto va riconosciuto che lo spettacolo, diviso in due parti con un unico intervallo tra Suor Angelica e Gianni Schicchi, è costruito con precisione ed ottiene l’approvazione del pubblico, nonostante la confusione negli applausi finali dove gli artisti si presentano alla rinfusa, alcuni obbligati a rimettersi coram populo i costumi indossati negli atti precedenti.
Grande successo è arriso anche al versante musicale, con punte di condivisibile entusiasmo per i protagonisti. Nell’ordine, il baritono pavese Ambrogio Maestri detentore del fatidico tabarro; ha dotato Michele di un’inconsueta umanità grazie alla morbidezza e profondità dello strumento, rendendolo un uomo ferito nei sentimenti e senza ombra di truculenza, nonostante la furia del tremendo finale. Risultando poi straordinario Schicchi, assolutamente padrone del personaggio di cui offre l’incarnazione ideale tanto per la pertinenza della parola cantata, centellinata in ogni possibile inflessione, quanto per l’interpretazione trascinante, debordante simpatia e calore: una prova quella del bravo Ambrogio maiuscola nell’essere così duttile in due ruoli agli antipodi da un punto di vista teatrale e musicale. Il 35enne soprano norvegese Lise Davidsen, al suo debutto in un ruolo pucciniano, ma apprezzata recentemente interprete wagneriana e straussiana proprio in un concerto al Liceu, oltre a confermare doti vocali eccezionali, per bellezza di timbro, tecnica e musicalità, ha superato brillantemente questo primo incontro creando una Giorgetta passionale, sofferente, innamorata e combattuta da mille sentimenti. L’espansione vocale nell’intonare “È ben altro il mio sogno”, coronato da un Do acuto luminosissimo seppure posto in una frase scomoda, è stata uno dei momenti rilevanti e commoventi della serata. È lecito attendersi da lei ulteriori e determinanti sviluppi nel repertorio italiano. Il tenore nordamericano Brando Jovanovich, annunciato indisposto, è sembrato comunque in perfetta forma vocale e fisica (non è la prima volta che capita ad un artista che si fa annunciare ammalato!) ed adeguato sia vocalmente che fisicamente al rude scaricatore di porto. Il suo “Hai ben ragione” ha assunto il valore di un grido di rabbia e di ribellione da “eroe maledetto”, sorta di Stanley Kovalski immortalato da Marlon Brando nel film “Un tram chiamato desiderio”. Il resto del cast è pure piaciuto, in particolare l’ottimo basso colombiano Valeriano Lanchas, Il Talpa dalla voce profonda e perfettamente caratterizzato, come del resto Il Tinca del 34enne tenore di Cordoba Pablo Garcia-López, coppia “imperfetta” nel ballo con Giorgetta. Mireia Pintó, ha dato vita ad una credibile Frugola, risultando poi assai bene sia come suora Zelatrice in Suor Angelica e quindi Cesca nello Schicchi. Ben ritrovati nella Firenze duecentesca, il tenore Marc Sala, venditore di canzoni e quindi Gherardo la coppia di innamorati costituita dal soprano di Zaragoza Ruth Iniesta e dal tenore peruviano – ormai adottato in Italia – Iván Ayón-Rivas, entrambi splendidi nelle parti di una pepata ed insinuante Lauretta e dell’innamorato e focoso Rinuccio.
Il soprano albanese Ermonella Jaho, Angelica, ha ricevuto un’accoglienza trionfale. Si avvantaggia del fatto di essere stata la titolare del ruolo pure a Monaco di Baviera e dimostra una compenetrazione totale con l’idea registica, resa con spasmodica verità scenica, con un lavoro attoriale encomiabile per gestualità e mimica. Personalmente non mi convince il timbro secco e l’asprezza in acuto, funzionali al personaggio per come è inteso in questo caso, mi più adeguati ad una vocalità tagliente in un repertorio espressionista. Manca la dolcezza che a tratti la musica impone al personaggio, ma le va riconosciuta una tenuta avvincente ed una resa che giustificano in buona misura l’enorme successo ottenuto. Condiviso con la glaciale, nella sua nobiltà e distacco emozionale, Zia Principessa della amata artista triestina Daniela Barcellona, che mi vanto di seguire dai suoi esordi. Una voce piena, dosata con fiati inesauribili (messi a prova dagli estenuanti tempi tenuti dalla direzione d’orchestra) ed imponente nella recitazione che la vede firmare lei, di nascosto e all’insaputa della nipote che giace svenuta ed incosciente, il famigerato documento. Lo stuolo di “suorine” è stato ben difeso da una serie di giovani e promettenti voci locali. Nello Schicchi abbiamo ritrovato la Barcellona incomparabile Zita, non solo per la voce, ma per la vitalità scenica che la rende intrigante erede della Quikly verdiana. Anche qui un cast ben affiatato, dove ai già citati si sono affiancati il Simone del basso catalano Stefano Palatchi, una lezione di arte scenica e sempre grande artista, ed i ben assortiti Nella del soprano Berna Perles, Betto di Signa, il baritono Pau Armengol, Marco David Oller e con loro nei relativi cammei, il Mastro Spinelloccio di Luis López Navarro, il Ser Amantio di Nicolao di Tomeu Babiloni, il Pinellino, il calzolaio di Plamen Papazikov e Guccio il tintore Dimitar Darlev. Gherardino, qui presentato in coppia con un amichetto e sorta di Giamburrasca ante litteram, era una voce tratta dal coro di voci bianche del Cor Infantil de l’Orfeó Català, che ha pure fornito gli “angeli” per il finale di Suor Angelica.
Rimane da menzionare la prestazione dell’orchestra che ha suonato ottimamente sotto la direzione della finlandese Susanna Mälkki, direttrice d’orchestra e violoncellista, specialista di musica contemporanea ed apprezzata in ambito sinfonico; credo fosse al debutto nel Trittico pucciniano e, forse, addirittura nell’opera di repertorio. Indubbiamente sfoggia un ampio gesto, ottimo per l’orchestra, ma risulta meno abile nel sostenere i solisti che sono parsi a tratti in difficoltà, vuoi per alcuni tempi estenuanti (come ho già detto sopra) e soprattutto per le dinamiche eccessive che, più di una volta, hanno coperto le voci, e che voci! Seduto in prima fila, praticamente dietro a lei, ho faticato ad intendere le voci e, dunque, è da supporre che lo stesso capitasse a lei sul podio. Dirigere Puccini, dove il canto di conversazione, la parola cantata, deve giungere con chiarezza, non è come dirigere un concerto sinfonico. Le voci, sebbene strumenti umani, nell’opera devono emergere, sempre. Sicuramente la frequentazione del repertorio lirico metterà in luce qualità per ora in fieri. Diciamola tutta, per Il trittico ci sarebbe voluta una bacchetta di provata esperienza e, magari, italiana. Ma a questo punto il discorso si farebbe lungo …
Andrea Merli