MADRID: Nabucco – Giuseppe Verdi, 16 luglio 2022
NABUCCO
Giuseppe Verdi
Direttore d’orchestra Sergio Alapont
Regia Andreas Homoki
Personaggi e Interpreti:
- Nabucco Gabriele Viviani
- Ismaele Eduardo Aladrén
- Zaccaria Roberto Tagliavini
- Abigaille Ewa Płonka
- Fenena Aya Wakizono
- Il Gran Sacerdote Felipe Bou
- Abdallo Fabian Lara
- Anna Maribel Ortega
Scene e Costumi Wolfgang Gussmann
Costumi Wolfgang Gussmann
Luci Franck Evin
Drammaturgia Fabio Dietsche
Direttore del coro Andrés Máspero
Coro titolare e Orchestra del Teatro Real
Teatro Real, 16 luglio 2022
Il capolavoro verdiano si eseguì la prima volta al Teatro Real di Madrid il 27 gennaio del 1853 e da allora, tenendo conto degli anni, tanti, in cui il teatro è stato inoperativo, non vi è stato più eseguito. Per l’occasione è stato mutuato lo spettacolo nato all’Opernhaus di Zurigo e firmato dall’ungherese Andreas Homoki, scene e costumi di Wolfgang Gussmann, luci di Frank Evin, coreografia (!?) di Kinsun Chan e, ahinoi, drammaturgia di Fabio Dietsche. Motivo ispiratore, tanto per cambiare, il nostro risorgimento nazionale, con gli austriaci “cattivi” al posto degli assiri e il popolo ebreo oppresso ridotto al “quarto stato” di Pelizza da Volpedo (citato nel programma di sala) seppure si presenti vestito anni ’40 dello scorso secolo, gli ebrei della Shoah? Verrebbe voglia di chiosare l’intera messa in scena con un commento pubblicato dopo la “prima” sui Social: “Se i milanesi l’8 marzo del 1842 avessero visto questo Nabucco, avrebbero preferito rimanere sotto l’impero asburgico”.
La “drammaturgia” parte male: un antefatto, che comporta ben due calate e risalite di sipario durante la sinfonia, ci presenta Nabucco, corona in testa, che rimane vedovo per l’improvvisa morte della moglie. Gli rimangono due vivaci figliolette; visto che ormai le citazioni cinematografiche sono la regola, vengono in mente Madame Tremend e le capricciose Anastasia e Genoveffa di disneyana memoria. Vestite entrambe con lo stesso abito, che in versione adulta indosseranno poi Abigaille, Fenena – prima della conversione – e il seguito di damazze austriache: crinolina e tessuto marmorizzato verde malachite, come il marmo dell’unico elemento scenico, un enorme muro girevole, le due bimbe, come le fantasmagoriche gemelle del film Shining, ritornano a più riprese in scena per sottolineare il conflitto tra sorelle che si contendono la corona e la difficile relazione con la figura paterna. La più grandicella dovrebbe essere “prole di schiavi”, ma la regia non entra nel merito. Le incongruenze e le situazioni inesplicabili non si contano: la cabaletta di Abigaille, danzata dal coro maschile come se si trattasse dell’ingresso della vedova Glawari all’ambasciata parigina del Pontevedro; la presenza di Nabucco e Abigaille durante il coro “Va pensiero”; la preghiera di Fenena “Oh dischiuso è il firmamento” rivolta alla sorella. Tant’è che si omettono le frasi cantate da Zaccaria: “Va! La palma del martirio va, conquista, o giovinetta; troppo lungo fu l’esilio: è tua patria il Ciel! T’affretta!”. D’altra parte, chi vuoi che se ne accorga? Ovviamente la pistola – per altro, ad essere pignoli, è un’automatica, dunque fuori epoca – sostituisce il brando di Nabucco. Inizia una sparatoria alla Fanciulla del West: Nabucco spara al Gran Sacerdote di Belo, il quale cade a terra al posto dell’Idolo pagano e il coro intona “Oh prodigio!”. Pistola che finisce in mano ad Abigaille, la quale a sua volta, prima minaccia tutti durante il concertato “Immenso Jehovah”, infine si spara, ma con l’accortezza di non morire subito per poter cantare il finale.
Per fortuna musicalmente si poteva ascoltare ad occhi chiusi e confesso di averli chiusi spesso. Ottima la prova del vero protagonista, il coro, istruito benissimo dal Maestro Andrés Maspero; come è ormai quasi di regola, si è dovuto bissare a furor di popolo il celebre coro degli ebrei. In grande spolvero l’ottima orchestra affidata per tre recite al Maestro valenciano Sergio Alapont, il quale così debutta in un’opera al Real copo avervi diretto diversi concerti: polso e gesto energico e sicuro, supporto ideale per il palcoscenico, dove a causa del Covid si sono avuti vari cambiamenti, alcuni anche all’ultimo minuto. Una lettura che stata molto apprezzata dal numeroso pubblico che assiepava il teatro, dove non ci sono stati cedimenti nel ritmo narrativo, caratterizzata dallo spirito quarantottesco e battagliero che anima diverse pagine, ma anche delicata negli a solo, esempio il violoncello di “Vieni o levita”, e di grande tensione lirica nei momenti di abbandono, riferiti all’adagio di Abigaille e poi alla grande aria “Dio di Giuda”, dove si è raggiunta un’emozione palpabile e si è reso al massimo il senso della preghiera.
Nel cast ottime le parti di fianco, la ben presente nei concertati Anna del soprano Maribel Ortega, il puntuale tenore Fabian Lara, Abdallo e il basso Felipe Bou, che tante volte abbiamo inteso a Parma e in Italia, nel cameo del Gran Sacerdote di Belo. E’ piaciuto per il generoso timbro e bello squillo il tenore Eduardo Aladrén, Ismaele e in particolare musicalmente perfetta ed assai ben emessa la voce del mezzosoprano giapponese Aya Wakizono, molto partecipe nella preghiera dal sapore ancora rossiniano.
Ripresosi dal Covid, si è inserito per la prima recita il basso di Parma Roberto Tagliavini, splendido – i postumi dell’infezione non si sono notati – nel delineare uno Zaccaria aitante, giovanile e anche irruente, ma con una linea di canto nobile, controllata ed eccellente in tutta l’estensione, anche lui festeggiatissimo alla ribalta finale.
La sorpresa per il sottoscritto è stata di ritrovare nella parte di Abigaille Ewa Plonka, il soprano polacco che ho assai apprezzato il 1° luglio scorso, dunque 15 giorni fa, all’Arena di Verona giunta in extremis a salvare la recita. Ovviamente al chiuso ho potuto ascoltarla con maggiore attenzione: una voce importante, che nasce come soprano – Falcon (addirittura ad inizio carriera sosteneva ruoli da mezzosoprano) che ha trovato nel lirico spinto la sua vera natura, dimensione ed espansione. Acuti folgoranti e sicuri, agilità snoccialate a dovere, fraseggio ed accento ben centrati ed una tecnica di emissione che le permette belle messe in voce e pianissimi. Ottima e da seguire con attenzione.
Il baritono di Lucca Gabriele Viviani ha aggiunto da poco al proprio repertorio il poderoso ruolo verdiano: si dimostra un Nabucco intenso, ricco di intenzioni e sfumature, dotato di una voce piena, morbida, completa. Certe frasi quasi sussurrate si sono espanse nello spazio del teatro al pari degli acuti fiammeggianti sulle cabalette. Un altro bell’acquisto e la soddisfazione di vedere affermarsi sui palcoscenici esteri i nostri bei talenti.
Andrea Merli