TEATRO ALLA SCALA: Adriana Lecouvreur – Francesco Cilea, 9 marzo 2022
Adriana Lecouvreur
Opera lirica in quattro atti
Libretto di Arturo Colautti
Musica di FRANCESCO CILEA
(Copyright ed edizione: Casa Musicale Sonzogno di Pietro Ostali, Milano)
Coproduzione Royal Opera House, Covent Garden; Gran Teatre del Liceu;
Wiener Staatsoper; Opéra National de Paris; San Francisco Opera
Direttore Giampaolo Bisanti
Regia David McVicar
ripresa da Justin Way
Personaggi e interpreti:
- Adriana Lecouvreur Maria Agresta
- Maurizio, Conte di Sassonia Yusif Eyvazov
- Michonnet Ambrogio Maestri
- La principessa di Bouillon Judit Kutasi
- Il principe di Bouillon Alessandro Spina
- L’abate di Chazeuil Carlo Bosi
- Poisson Francesco Pittari
- Quinault Costantino Finucci
- M.lle Jouvenot Caterina Sala
- M.lle Dangeville Svetlina Stoyanova
- Un maggiordomo Paolo Nevi
Scene Charles Edwards
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Luci Adam Silverman riprese da Marco Filibeck
Coreografia Andrew George ripresa da Adam Pudney
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Teatro alla Scala, 9 marzo 2022
Correva il gennaio del 2012, durante l’intervallo de La Bohème a Modena incrocio la Kabaivanska: “Sai cosa ha avuto il coraggio di dire mia cognata? Questa ragazza canta con la tua tecnica, ma ha la voce molto più bella della tua!” ed io di rimando: “Che maleducata!”. “Diciamo pure una cafona” ribatte l’ineffabile Raina “ma ha perfettamente ragione”.
La “ragazza” in questione era, ed è ancora dopo dieci anni, Maria Agresta, al debutto scaligero con Adriana Lecouvreur, ruolo che fu cavallo di battaglia della sua Maestra, la quale potei apprezzare più volte nell’emblematico ruolo della “diva che fa la diva”. Il rischio dell’allievo è sempre quello di imitare pedissequamente il maestro, spesso più nei difetti (e chi non li ha?) che nelle qualità. Il primo grande merito della Agresta, vocalista di spicco, dotata di una voce preziosa, è stato proprio quello di allontanarsi volutamente dal ritratto che ci hanno consegnato con interpretazioni indimenticabili, ma ormai inevitabilmente appartenenti al passato, grandi artiste. In primis Magda Olivero, illuminata addirittura dall’Autore stesso.
Un’interpretazione, dunque, senza eccessi “veristi”, in un’opera che Verista non è, eseguita nella più fedele osservanza dei segni di espressione (e dunque un “Io son l’umile ancella” quasi sussurrato, con il “morrà!” finale in pianissimo e non gridato con portamento ascendente, come spesso si sente) eludendo ogni scorciatoia col parlato, che va eseguito solo dove lo spartito lo esige. Senza rinunciare, si badi, ad una lettura personale ed inviduabilissima che esalta la freschezza giovanile del personaggio, la passionalità travolgente, i cangevoli stati d’animo: dall’ironia, al disprezzo, dalla gelosia alla passione amorosa. Il tutto con un controllo vocale assoluto, dispensando eterei pianissimo, seducenti mezze voci, messe in voce eseguite con un’emissione perfetta, slancio nell’acuto. Ne scaturisce un personaggio affatto nuovo, proprio pensando a pur apprezzabili esecuzioni del passato, in una luce che dà ulteriore risalto alla splendida, raffinata partitura.
Si sommino in questa terza recita, le difficoltà di chi come la Agresta ha l’onere di doversi sobbarcare tutte le recite, addirittura senza pausa tra un giorno e l’altro, dovuto alla defezione di Anna Netrebko, la quale ha deciso di sottrarsi alla pressione mediatica per i noti eventi e venti di guerra. Non solo, ma il Covid ha colpito il partner previsto, Freddie De Tommaso, risultato positivo al tampone e dunque per ogni sera, dall’antigenerale in avanti, la “povera” Adriana si è vista in scena colleghi diversi, alcuni con i quali non aveva nemmeno provato. La sera del 9 marzo si è trovata con Yusif Eyvazov, Maurizio di Sassonia, con cui aveva già cantato le precedenti due recite e per la prima volta col baritono Ambrogio Maestri e con il mezzosoprano Judit Kutasi. Il tenore azerbagiano ha tutto per essere un “perfetto seduttore”, come da copione: fisico e portamento, grande talento scenico ed in più canta assai bene: colori, intenzioni nel fraseggio, indubbia facilità in acuto e la tirata del “russo Mancikoff” lo prova, dolcezza nel porgere sia “L’anima ho stanca” che nella scena finale. Gli difetta un bel timbro vocale, ma non si può avere tutto. Del mezzosoprano rumeno Kutasi si conoscono gli indubbi meriti, avendo già avuto modo di apprezzarla in diversi ruoli, la parte della perfida Principessa di Bouillon non le crea certo problemi, anzi ne esalta le qualità musicali, il bel colore quasi contraltile, ma facile all’acuto ed un temperamento notevole. La sua è stata una prova apprezzabile e molto festaggiata dal pubblico, il quale ha riservato un’accoglienza colorosissima anche al monumentale Michonnet di Maestri, un personaggio che tracima simpatia ed umanità nella gigantesca figura del baritono di Pavia, il quale sfoggia sempre una vocalità piena, ricca di armonici e sempre a fuoco.
Nei ruoli di fianco molto apprezzati sia il basso Alessandro Spina, Principe di Bouillon ( e si rimpiange il taglio dell’arietta “del veleno” nel terzo atto, la quale darebbe una spiegazione a quanto segue) che l’Abate di Carlo Bosi, entrambi un lusso in scena. Molto bene anche il quartetto dei “Soci” della Comédie, Caterina Sala Jouvenot, Svetlina Stoyanova, Dangeville, Francesco Pittari, Quinault e Costantino Finucci, Poisson, musicalmente centratissimi.
Giampaolo Bisanti a capo della splendida orchestra e del non meno apprezzabile coro scaligero, sempre sotto la guida di Alberto Malazzi, ha condotto una lettura senza fessure e rallentamenti, donando opportuna enfasi nei momenti di gran tensione musicale, ma ricavando anche preziosi oasi liriche sulle ampie frasi del canto, sostenuto con grande respiro e professionalità. Lo spettacolo non è nuovo, personalmente lo vidi con ben tre cast diversi al Teatre Liceu di Barcellona, ma di questi tempi rappresenta pur sempre una boccata di ossigeno. Il pubblico ha molto apprezzato la bella scena di Charles Edwards, gli splendidi costumi di Brigitte Reiffenstuel, le luci di Adam Silverman riprese da Marco Filibeck, la coreografia di Andrew George, ricreata da Adam Putney. David McVicar ricrea abilmente il gico del teatro nel teatro, che funziona perfettamente. Solo un po’ – ingiustificatamente – lunghi gli intervalli e qualche intralcio in scena, dovuto sicuramente ai continui cambi di cast, ma dei quali gran parte del pubblico non se n’è accorto.
Andrea Merli