TEATRO ALLA SCALA: MACBETH – Giuseppe Verdi, 10 dicembre 2021
MACBETH
(versione del 1865)
Melodramma in quattro atti – Libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei
Musica di GIUSEPPE VERDI
(Edizione critica della partitura edita da Chicago University Press e Casa Ricordi, Milano a cura di D. Lawton)
Direttore Riccardo Chailly
Regia Davide Livermore
Personaggi e Interpreti:
- Macbeth Luca Salsi
- Banco Ildar Abdrazakov
- Lady Macbeth Anna Netrebko
- Dama di Lady Macbeth Chiara Isotton
- Macduff Francesco Meli
- Malcolm Iván Ayón Rivas
- Medico Andrea Pellegrini
- Domestico Leonardo Galeazzi
- Sicario Alberto Rota
- 1° apparizione Costantino Finucci
- 2° apparizione Bianca Casertano
- 3° apparizione Rebecca Luoni
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-Wok
Coreografia Daniel Ezralow
Teatro alla Scala, 10 dicembre 2021
“Bacco, tabacco e Venere mandano l’uomo in cenere” con questo proverbio “politicamente scorretto” si potrebbe definire tout court lo spettacolo “distopico” (termine ormai di moda) creato da Davide Livermore per l’attesissima inaugurazione della stagione 2021/22 del Tempio milanese, finalmente al completo (ma in osservanza dei protocolli: green pass, misurazione della temperatura all’ingresso e mascherina all’interno) dopo l’interminabile pandemia.
Sopiti i bollori dei contestatori della sera di Sant’Ambrogio, alla seconda recita il successo è stato trionfale, con punte di entusiasmo verso la protagonista, implacabilmente buata alla “prima”, che una voce dal cielo (ovvero il loggione) ha definito “divina” e ciò in una sala che tale epiteto lo riservava alla Callas. Lei ha gradito, rompendo la “quarta parete” con un brindisi dal bicchiere ricolmo di finto (si spera) whisky, unico riferimento alla Scozia del libretto.
Livermore confeziona un bel film, pieno di citazioni che non staremo ad enumerare, avvalendosi del suo team: Giò Forma, innanzitutto, creatore di un impianto scenico impressionante e monumentale dove l’unico eccesso è sembrato l’uso insistito dell’ascensore in mezzo alla scena, D-Wok per le proiezioni video, che però in sala risultano meno efficaci che al cinema o in TV, ed a seguire per le luci piuttosto piatte di Antonio Castro e per i costumi, orrendi senza mezzi termini quelli della Lady, di Gianluca Falaschi. Si sommi la coreografia, realizzata dai mimi – una frotta di una ventina di giovani che si è data un bel daffare in corso d’opera – a cui si sono sommati sia Banco e il piccolo Fleanzio che la Lady, di Daniel Ezralov.
Un film, montato abilmente (ma neanche tanto, vista la mancanza di sincronia tra audio e video, almeno inizialmente) per la TV ed il cinema, poiché questo sembra il futuro dell’opera, ormai abbonata allo streaming e dunque destinata a ben altro pubblico che non sia il privilegiato che può accedere ai teatri.
Musicalmente pure si è puntato in alto e cioè al cuore dello Star System ingaggiando la “diva” del momento, Anna Netrebko. La cui vocalità rigogliosa ed impattante presenta qualche cedimento di intonazione, cui si sommano affondi di petto in zona grave, ma tant’è, la personalità è travolgente e riesce a conquistare tutti, o quasi. Luca Salsi ci propone un Macbeth tormentato e gli riesce perfettamente. Inquadra il personaggio con vocalità solida e con fraseggio variato al massimo, al punto di sembrare a tratti esagerato nello scendere a compromessi col parlato. Salutato da un interminabile applauso dopo l’aria “Pietà, rispetto, onore” (non più “amore”) ha pure lui sentitamente ringraziato il pubblico.
Il resto? Di gran lusso: iniziando dalla splendida e svettante Dama di Chiara Isotton, elegantissima lei, perfetti i Do acuti nei concertati, il Malcolm del tenore peruviano Ivan Ayòn Rivas, squillante come non mai, il Macduff di Francesco Meli ed il Banco di Ildar Abdrazakov, entrambi festeggiatissimi dopo le singole arie e su cui non serve spendere ulteriori aggettivi tanto son stati bravi.
Gli organici del Teatro alla Scala, orchestra e coro ora questo passato alla guida di Alberto Malazzi, non hanno rivali in campo verdiano e la loro prova è stata altissima. Non da meno quella del Maestro Riccardo Chailly, responsabile di una lettura analitica e precisa, a cui manca solo un tocco di enfasi che, specie nei due concertati finale primo e finale secondo, sarebbe lecito attendersi. Sarà per la sua risaputa ritrosia nell’apparire, al punto che non è uscito da solo a prendere gli applausi, che sono stati comunque generosi anche nei suoi riguardi.
Andrea Merli