FIRENZE: La traviata – Giuseppe Verdi, 22 settembre 2021
La traviata
opera in tre atti di Giuseppe Verdi
su libretto di Francesco Maria Piave
Maestro concertatore e direttore Zubin Mehta
Regia Davide Livermore
Personaggi e Interpreti:
- Violetta Valéry Nadine Sierra
- Alfredo Germont Francesco Meli
- Giorgio Germont Leo Nucci
- Gastone Luca Bernard
- Flora Bervoix Caterina Piva
- Annina Caterina Meldolesi
- Il barone Duphol Francesco Samuele Venuti
- Il marchese d’Obigny William Corrò
- Il Dottor Grenvil Emanuele Cordaro
- Giuseppe Alfio Vacanti
- Un commissionario Giovanni Mazzei
- Un domestico di Flora Egidio Massimo Naccarato
Scene Giò Forma
Costumi Mariana Fracasso
Luci Antonio Castro
Video D-wok
Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 22 settembre 2021
La principale attrazione di questa nuova produzione del capolavoro verdiano è in buona parte costituita dal debutto nella parte della protagonista, Violetta Valery, del soprano Nadine Sierra, bellissima creatura, oltre che splendida artista. Procedente dalla Florida, ma vantando una discendenza europea come il cognome lascia intendere, questa giovane si va affermando tra gli elementi di maggior spicco recentemente emersi. Dopo averla ascoltata, e molto apprezzata, al suo debutto al Teatro alla Scala nel Rigoletto del 2016 e soprattutto dopo il trionfo recente al Gran Teatre del Liceu di Barcellona in Lucia di Lammermoor, si imponeva la trasferta fiorentina.
A tutta prima può dare l’impressione che si tratti di un soprano lirico leggero e che, dunque, le frecce all’arco s’esauriscano con il primo atto, per altro brillante già nel brindisi, appassionante nel successivo duetto con Alfredo, concluso con un recitativo, aria (una strofa sola) e cabaletta a dir poco esaltanti. Al timbro splendido, alla suadenza della voce e all’emissione fluida, si somma una sensibilità disarmante in una debuttante di ruolo (si tratta della seconda recita) la quale si può permettere il lusso di inserire puntature acute già nell’adagio, pur mantenendo una scansione perfetta della parola cantata, e di concludere con uno stupefacente Mi bemolle, preso, rinforzato e poi tenuto a dismisura sull’accordo finale. Nota non scritta? Eh! Ma quando la si può emettere così felicemente, ben venga per la gioia di tutti noi vociomani. La sorpresa, si fa per dire, è arriva dopo: lo slancio nel veemente duetto con Germont, un “Amami Alfredo” a dir poco irresistibile e, per concludere, un terzo atto da brivido, iniziato con “Addio del passato” (integrale), il successivo duetto e finale memorabili. Uno dice “La Traviata! Quante ne ho viste ed udite?” ma questa, oltre ad emozionare ed a tenerci inchiodati alle poltrone, ci ha fatto innamorare definitivamente della Sierra.
Cast, onore al merito ed al Maggio Musicale, eccezionale: Francesco Meli, nel ruolo di Alfredo che ormai frequenta da tanto ed in tanti allestimenti, è l’incarnazione perfetta dell’innamorato passionale, reso con un’introspezione vocale atta a renderne tutte le spigolature di un personaggio spesso liquidato con baldanza machista. In forma vocale smagliante, senza intoppi di sorta anche nell’ardua cabaletta, Meli sfoggia una tavolozza di colori, una vivacità di fraseggio e cura nell’espressione canora, che lo rendono ideale, se non insostituibile in questa parte. Ci ha confidato che resiste gli insistenti richiami di teatri a ruoli più spinti: “Canio, Turiddu, Andrea Chénier, se dessi ascolto alle richieste, canterei solo quelli!” ma c’è tempo e questo verdiano rimane, per ora, il suo repertorio di elezione.
Cosa aggiungere di Leo Nucci che non si sia già detto e scritto? Un fenomeno di longevità e fermezza vocale a cui si somma l’esperienza di una carriera che non sembra avere fine. La parola scolpita, l’acuto sempre fermo e tenuto spavaldamente, una proiezione invidiabile, ma ciò che colpisce è lo scavo interpretativo, cangiante di recita in recita, che il veterano baritono si diverte ad approfondire di volta in volta. Qui gli è stato richiesto un Germont più aggressivo e crudele, cosa che è difficile a rendere ad un uomo di tanta generosità, non solo vocale, eppure ci è apparso in una versione affatto nuova. Con 55 anni di carriera alle spalle ciò ha dell’incredibile.
Funzionali gli altri interpreti, tutti giovani elementi: Caterina Piva, Flora, mezzosoprano che abbiamo precedentemente apprezzato in Siberia di Giordano, Caterina Meldolesi, ottima Annina, Luca Bernard, Gastone, Francesco Samuele Venuti, Douphol, William Corrò, D’Obigny, Emanuele Cordaro, Grenvil e, tratti dalle file del coro, Alfio Vacanti, Giuseppe, Egidio Massimo Naccarato, domestico di Flora e Giovanni Mazzei, il commissionario. Bene il coro, come sempre preparato ottimamente da Lorenzo Fratini.
Menzione speciale, questa volta, alla splendida orchestra, una compagine che adora, lo si percepisce, il M° Zubin Mehta. L’ottantacinquenne direttore indiano, che ha diretto la sua prima Traviata al Comunale nell’ormai lontano 1964, fiorentino d’adozione, ha condotto in porto una serata difficile da scordare: tenuta perfetta, tempi ideali, cura carezzevole nel sostenere il palcoscenico con un impeto giovanile in cui è parso quasi trasfigurato nei momenti di grande enfasi sonora. E davvero si è compiuto un miracolo, tenendo conto che la salute è ancora precaria, poiché ha raggiunto il palco per gli applausi finali, con il pubblico in piedi per acclamarlo con applausi interminabili.
“Dulcis in fundo” o piuttosto “in cauda venenum”, il nuovo allestimento, molto spettacolare. Non si tratta di discutere la trasposizione temporale dell’opera, che negli anni ormai ne ha subite di tutte, il ché ormai non è più una novità, quanto l’individuare nella Parigi “sessantottina” il climax della vicenda. Che Violetta si presenti come una volgare titolare di bordello, dove riscuote addirittura la percentuale dalle “colleghe”, nel primo atto per diventare poi la direttrice di uno studio fotografico nel secondo e quindi tornare al bordello trasformato in ospedale nel terzo, lascia perplessi. Così come le scritte “femministe” sui muri, laddove proprio il movimento contesta la prostituzione e tutto ciò che ne consegue. L’irruzione dei poliziotti mentre il coro canta “Si ridesta in ciel l’aurora”, Germont una sorta di Gianni Agnelli che stacca assegni, Alfredo un debosciato Lapo Elkan, Flora lesbica e coppie gay in scena. Sarebbe questa la provocazione? Mah! Due cose insopportabili: l’insistere col tabagismo di quasi tutti gli interpreti, ivi compresa una figurante vecchia ridotta a fare l’inserviente, a sigarette spente; l’horror vacui di inutili siparietti durante i momenti cruciali dell’opera, per esempio tutta la scena finale del primo atto, dove l’attenzione deve essere concentrata sull’interprete. Una operazione che non apporta nulla di nuovo e che è parsa il trionfo del “deja vu”. La firmano Davide Livermore per la regia, Giò Forma per le scene, Mariana Fracasso per i costumi e Antonio Castro per le luci. I video sono opera di D-work, presto in “streaming”.
Andrea Merli