CAGLIARI: Le Villi – Giacomo Puccini, 28 luglio 2021
Le Villi
opera-ballo in due atti
libretto Ferdinando Fontana
musica Giacomo Puccini
omaggio a Graham Vick
- Maestro concertatore e Direttore Giuseppe Grazioli
- regia Renato Bonajuto
Personaggi e Interpreti :
- Guglielmo Wulf Andrea Borghini
- Anna Monica Zanettin
- Roberto Raffaele Abete
- Un narratore Simeone Latini
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
Maestro del coro Giovanni Andreoli
scene Danilo Coppola
costumi Marco Nateri
luci Emiliano Pascucci
coreografia Luigia Frattaroli
nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari
Classical Parco, 28 luglio 2021
“La storia mia è breve”. Ci si riferisce a Le Villi, parafrasando La bohème. Breve, ovviamente, nel “soggettino” di Ferdinando Fontana, sull’onda di una “scapigliatura”, nordica, fiabesca, gotica e visionaria, che ripropone in forma di “opera-ballo” la storia di Giselle o piuttosto della Rusalka, ma che trova un parallelo anche nel wagneriano Tannhauser. Una giovine tradita dal promesso sposo, inevitabilmente irretito da una maliarda sirena, muore e quindi ritorna fantasmagorica “villi” vendicatrice, irretendolo nei vortici della danza e trascinandolo con sè nella tomba. Altrettanto breve il percorso dell’opera prima del giovane Puccini, che passò senza nemmeno una menzione al concorso Sanzogno, vinto sei anni dopo da Mascagni con Cavalleria rusticana. Eseguita al Teatro Dal Verme di Milano il 31 maggio del 1884 (Mascagni in orchestra, al contrabbasso) stuzzicò Ricordi, il quale si affrettò a comprarne i diritti e, dopo una revisione (ma Puccini vi rimise mano almeno fino al 1890) la presentò al Teatro Regio di Torino in due atti il 26 dicembre di quello stesso anno.
Personalmente ho avuto una sola possibilità di ascoltare dal vivo “piccolo” capolavoro: correva il luglio del 1989 al festival di Peralada. Messa in scena, si fa per dire, poiché in scena c’era solo il corpo di ballo, per volontà della “Senora”: i tre protagonisti stavano immobili, piazzati davanti allo spartito, sugli spalti del castello. Guglielmo Juan Pons, Roberto il tenore Bruno Sebastian e la Caballé, ai tempi regina incontrastata del Festival, a cui venne comodo girare le pagine anzichè mandare a memoria la pur breve parte. Un fortunoso video impiccionesco documenta quella, per molti versi, indimenticabile serata in cui Giuseppe Di Stefano si prestò a fare da Narratore.
Mi chiesi allora e mi richiedo perché mai quest’opera è di così rara esecuzione. Posso capire il successivo Edgar, in tutti i sensi più oneroso e molto più “scapigliato”, ma Le Villi, oltre alla “brevità, gran pregio”, ha una fisionomia inconfondibile soprattutto, come bene sottolinea nel saggio introduttivo Riccardo Pecci, nel dare all’orchestra il protagonismo che sarà una costante in tutta la produzione pucciniana: da Manon Lescaut a Tosca, a La fanciulla del West, all’incompiuta Turandot.
Grati dunque al Teatro Lirico di Cagliari per l’occasione offerta, pur nel perdurare della pandemia e seppure all’aperto del Classical Parco con l’inevitabile ricorso ad una, peraltro ottimamente realizzata, amplificazione. Lode innanzitutto alla ottima orchestra obbediente alla direzione ispiratissima e sostenuta da una lettura appasionata e coinvolgente del Maestro Giuseppe Grazioli, bene pure il coro, istruito da Giovanni Andreoli, posto fuori scena e, in quest’opera, chiamato ad un relativo impegno. Ottimo il cast allineato, iniziando dal giovane baritono Andrea Borghini che, previsto per il cast alternativo, ha rimpiazzato il collega Gezim Myshketa. Una bella prova che conferma innegabili qualità vocali, una linea di canto sorvegliata, già apprezzate ne Lo schiavo di Gomez, altro esempio della “scapigliatura”, proprio qui a Cagliari. Guglielmo partecipa alla “preghiera” che conclude in magnifico concertato la prima parte e quindi apre la seconda parte, dopo la Tregenda sinfonica, con un’unica aria in cui invoca, appunto, la vendetta delle Villi. Anna, la figlia tradita e quindi furia vendicatrice, ha trovato nel soprano Monica Zanettin il giusto colore del soprano lirico, dai toni ingenui nell’aria dei fiori, ma pure appassionata nel duetto successivo con l’amato Roberto, dove entrambi intonano “Dubita di Dio, ma no, dell’amor mio non dubitar!”. Le Villi, nella versione in due atti e con l’aggiunta dell’aria finale di Roberto “Torna ai felici dì”, diventa inevitabilmente “opera da tenore” poiché nel tragico finale si definisce, se non psicologicamente laddove i personaggi sono ancora degli stereotipi, una rilevanza vocale e drammaturgica determinante. Il tenore Raffaele Abete ne viene a capo con sicurezza e padronanza vocale, oltre che credibilità interpretativa. Il Narratore, voce recitante registata, è stato l’attore Simeone Latini.
Infine la produzione affidata alla regia di Renato Bonajuto, coadiuvato dai bei costumi di Marco Nateri, da un impianto scenico semplice, ma efficace e mobile per una piattaforma girevole su piano inclinato, con dei fondali riproducenti in bianco e nero una stilizzata Foresta Nera, in cui si svolge la vicenda, merito del giovane scenografo Danilo Coppola, dal suggestivo gioco di luci ideato da Emiliano Pascucci, ma soprattutto dalle splendide ed evocatrici corografie di Luigia Frattaroli, che assurgono ad assoluto protagonismo. Una perfetta compenetrazione di elementi che ricreano, in virtù dello sdoppiamento della coppia Anna e Roberto, una ambientazione onirica, a tratti allucinata e feroce, che culmina nel finale in cui la protagonista esce dalla tomba, che posta al centro della scena si solleva da terra, e dopo il vortice della danza vi trascina il malcapitato Roberto mentre sugli ultimi accordi la tomba si richiude per sempre.
Spettacolo apprezzato dal pubblico con numerose chiamate alla ribalta finale e che sarebbe un peccato far morire qui, dopo solo tre repliche. Le Villi dovrebbero rientrare assolutamente nel così detto “repertorio”.
Andrea Merli