TEATRO ALLA SCALA: ROMEO ET JULIETTE – Charles Gounod, 21 gennaio 2020
Roméo et Juliette
Opera in cinque atti
Libretto di Jules Barbier e Michel Carré
Musica di CHARLES GOUNOD
(Copyright ed edizione Choudens, Paris;
rappr. per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano)
Produzione The Metropolitan Opera, New York
Direttore LORENZO VIOTTI
Regia BARTLETT SHER
ripresa da DAN RIGAZZI
Personaggi e interpreti
- Juliette (DIANA DAMRAU) VANNINA SANTONI
- Roméo VITTORIO GRIGOLO
- Frère Laurent NICOLAS TESTE
- Mercutio MATTIA OLIVIERI
- Stéphano MARINA VIOTTI
- Le Comte Capulet FREDERIC CATON
- Tybalt RUZIL GATIN
- Gertrude SARA MINGARDO
- Le Comte Paris EDWIN FARDINI
- Le Duc JEAN-VINCENT BLOT
- Benvolio PAOLO NEVI*
- Gregorio PAUL GRANT*
Scene MICHAEL YEARGAN
Costumi CATHERINE ZUBER
Luci JENNIFER TIPTON
riprese da ANDREA GIRETTI
Maestro d’armi B.H. BARRY
Movimenti coreografici GIANLUCA SCHIAVONI
CORO E ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro BRUNO CASONI
*Allievi Accademia Teatro alla Scala
Teatro alla Scala, 21 gennaio 2020
Ritorna alla Scala dopo 9 anni la produzione di Roméo et Juliette del Metropolitan per la regia di Bartlett Sher, ripresa ora da Dan Rigazzi, con le scene (praticamente una scena fissa: la piazza rinascimentale presuntamente di Verona) di Michael Yeargan, i costumi (chissà poi perché settecenteschi) di Catherine Zuber, l’illuminazione di Jennifer Tipton, ripresa anche questa da Andrea Giretti e la preparazione di solisti e comparse ai duelli, la cosa più notevole da un punto di vista scenico, impartita dal Maestro d’armi Ilb Barby. Si tratta di uno spettacolo convenzionale e “Piacione” senza particolari guizzi né drammatici né melodrammatici, in cui tutto scorre e tutto piace al pubblico, specie quello del turno B di abbonamento che ha riempito la sala del Piermarini.
Come sempre ottimi coro ed orchestra, in questo caso affidata al giovane e assai prestante direttore svizzero Lorenzo Viotti che si conferma bacchetta di prestigio internazionale e che procede in una lettura incalzante, brillante e che riesce a valorizzare anche i momenti più convenzionali dell’opera.
Le malattie stagionali hanno provocato una mezza strage nel cast, laddove alla prevista Damrau ci siamo ritrovati con il trentatreenne soprano corso-russo Vannina Santoni, giunta a salvare capra e cavoli, come si suol dire, nei panni di Giulietta. Ruolo che, a leggere il curriculum, ha bene in gola e che in Francia, dove è considerata ormai una stella di prima grandezza, ha eseguito spesso. Sarà stata l’emozione del debutto scaligero, l’ansia della prestazione e l’essere stata proiettata in scena a tambur battente, ma di fatto ha sostanzialmente deluso le pur rosee aspettative: voce timbricamente modesta e scarsa di armonici, acuti avventurosi ed una tendenza calare. Ne è risultata meglio come interprete per la grazia della figura e per la scioltezza scenica ed è stata comunque gratificata dall’applauso del pubblico alla ribalta finale, dopo che l’aria “del veleno” aveva ricevuto quella che in gergo teatrale si definisce una “sculacciata” per la scarsità dei battimani.
Tutt’altra temperie quella che riserva “l’eroe” Vittorio Grigolo, in forma vocale smagliante, più misurato come interprete (tutto è relativo!) rispetto a nove anni fa e decisamente maturato sotto ogni profilo. Il suo Romeo credo che oggi come oggi tema pochi confronti. Subissato da applausi dopo il “Ah Léve-toi, soleil!” ha dato vita ad un amante appassionato, gagliardo sì, ma soprattutto innamorato, dando sfogo ad un repertorio di bellurie vocali che il ben timbro gli concede con pianissimi, note sussurrate con dolcezza che hanno letteralmente sedotto non solo la Giulietta del caso, coinvolta nella recitazione che più “naturalistica” non si può (e che ci si augura concordata prima, specie ora in tempi di MeToo) ma soprattutto il pubblico. Lo spettacolo della ribalta finale, infine, meriterebbe una recensione nella recensione: appare come un ballerino, mettendosi in “seconda” ed alzando le braccia al cielo in stile “Wandissima“. Gli mancano solo le rose impregnate di Arpege da gettare al pubblico, ma forse, prima o poi, arriveranno pure quelle.
Altra, preziosa, sostituzione e per una sola recita lo Stéphano di Annalisa Stroppa: un cammeo prezioso che dopo l’aria è stato gratificato da uno degli applausi più convinti a scena aperta e che poi ha avuto conferma a fine opera, lasciando quasi incredula dalla gioia la giovane artista bresciana. Ma tutto il contorno è stato di grande pregio: il bravissimo tenore russo, Ruzil Gatin, Tybalt di inusitato spicco e vigore, il pur bravissimo baritono Mattia Olivieri, Mercutio e con loro la sempre apprezzata Sara Mingardo, Geltrude, l’ottimo Frère Laurent di Nicolas Testè, e la lunga lista di ruoli di fianco coinvolta nell’esito felice e gioioso dello spettacolo.
Andrea Merli