NOVARA: SUOR ANGELICA e CAVALLERIA RUSTICANA, 13 dicembre 2019

NOVARA: SUOR ANGELICA e CAVALLERIA RUSTICANA, 13 dicembre 2019

SUOR ANGELICA
Opera in un atto di Giovacchino Forzano

musica di Giacomo Puccini

Edizioni Casa Ricordi, Milano

CAVALLERIA RUSTICANA
Melodramma in un atto

libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci dall’omonima novella di Giovanni Verga

musica di Pietro Mascagni

Edizioni Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano

 

direttore Daniele Agiman

regia Gianmaria Aliverta

 

Personaggi e Interpreti:

SUOR ANGELICA

  • Suor Angelica Marta Mari
  • Zia Principessa Anastasia Boldyreva
  • Badessa Lucrezia Venturiello
  • Suora Zelatrice Elena Caccamo
  • Maestra delle novizie Eva Maria Ruggieri
  • Suor Genovieffa Giulia De Blasis
  • Suor Osmina Veronica Niccolini
  • Suor Dolcina Laura Esposito
  • Suora infermiera Veronica Senserini
  • Prima novizia Valentina Saccone
  • Seconda novizia Laura Scapecchi
  • Prima cercatrice Isabel Lombana Mariño
  • Seconda cercatrice Sofya Yuneeva
  • Prima conversa Sabrina Sanza
  • Seconda conversa Galina Ovchinnikova

 

CAVALLERIA RUSTICANA

  • Santuzza Donata D’Annunzio Lombardi
  • Turiddu Aquiles Machado
  • Alfio Sergio Bologna
  • Mamma Lucia Anastasia Boldyreva
  • Lola Marta Mari

scene Francesco Bondì

costumi Sara Marcucci

luci Elisabetta Campanelli

Orchestra Filarmonica Pucciniana

Coro Ars Lyrica

Maestro del Coro Chiara Mariani

Coro Voci bianche della Fondazione Teatro Goldoni e del Teatro Coccia
Maestro del coro voci bianche Laura Brioli

Nuovo allestimento.

Coproduzione Teatro Goldoni Livorno, Teatro Coccia di Novara e Teatro Sociale di Rovigo

 

Teatro Coccia, 13 dicembre 2019


Coproduzione con il Teatro Goldoni di Livorno e con il Teatro Sociale di Rovigo, dove andrà prossimamente in scena, il Dittico formato da Suor Angelica, atto unico centrale del pucciniano Trittico, e Cavalleria rusticana, il capolavoro di Mascagni, giunge nella sua seconda tappa a Novara.

I complessi livornesi, l’Orchestra Filarmonica Pucciniana ed il Coro Ars Lyrica, istruito da Chiara Mariani, cui si somma il Coro Voci bianche della Fondazione Teatro Goldoni guidato da Laura Brioli, ubbidiscono alla bacchetta del Maestro Daniele Agiman, recentemente apprezzato per la sua non meno che eroica direzione degli Zingari di Ruggero Leoncavallo, eseguiti in forma di concerto nella sala grande del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano.

Agiman si conferma elemento insostituibile in queste imprese estreme, dove si affrontano complessi volenterosi, ma chiaramente insufficienti, per numero oltre che per qualità e ci si riferisce al Coro, afflitti tra l’altro dalla fatica della trasferta e dal evidentemente esiguo tempo per le prove. Il risultato finale, specie per la parte squisitamente orchestrale, è parso comunque più che dignitoso e lo spirito “claustrale” dai colori pastello, nella sua delicata tessitura timbrica, salvo poi esplodere nella drammaticità finale, di Suor Angelica ha avuto una sua apprezzabile evidenza, quanto poi il sanguigno e veemente trasporto tragico di Cavalleria.

Apprezzato dal non folto pubblico presente alla “prima” del Coccia, il doppio cast: in Suor Angelica la espressiva e liricamente efficace protagonista, il soprano Marta Mari, ha toccato le corde della commozione con una struggente Angelica, cui hanno fatto opportuno contorno sia la autorevole e dittatoriale Zia Principessa del mezzosoprano Anastasia Boldyreva, che lo stuolo di suore e suorine, tra cui vanno almeno menzionate la Zelatrice Elena Caccamo, la Maestra delle novizie Eva Maria Ruggeri e Suor Genovieffa, Giulia De Blasis. In Cavalleria, temperamentosa Santuzza è stata il soprano Donata D’Annunzio, convincente nei trasporti passionali quanto sul lato squisitamente lirico dove la sua voce si espande con maggiore dolcezza ed uso sapiente di piani e pianissimi, “evento raro” in questo personaggio. Molto in parte l’irruente Turiddu del tenore venezolano Aquiles Machado, vocalmente generoso. Grande professionalità quella del Compar Alfio di Sergio Bologna, un baritono la cui presenza è sempre una sicurezza in ogni produzione; pure adeguate sia la Lola di Marta Mari che la Mamma Lucia di Anstasia Boldyreva che, non solo hanno interpretato questi ruoli minori per una lodevole economia nella distribuzione del cast, ma per una precisa idea registica che ha preteso ridurre i due atti unici in un’unica opera, il primo anticipando il seguito del secondo.

La folle idea registica del nostrano “Pierino della Lirica”, al secolo Gianmaria Aliverta che debutta così in Patria, il Piemonte, in qualità di regista nel teatro che lo ha visto nascere come tenore del coro, consiste nel mescolare le due trame per trarne una storia “nuova”: cioè l’entrata in clausura di Lola, fedifraga moglie di Alfio ed amante di Turiddu, dopo aver dato alla luce un figlio illeggittimo che le viene strappato dalla zia (principessa sì, ma prima ostessa e pure sacrestana) “mamma” Lucia (e dunque Turiddu e Lola sono pure cugini!) che lo affida a Santuzza. Non basta, Santuzza ne esce fuori devastata: non solo è lei ad assassinare Turiddu, ma avvicinandosi alla grata che separa la chiesa dal convento durante la processione mariana, consegna a Lola/Angelica il coltello fatale e la spinge a completare il suicidio, dopo l’avvelenmento, col taglio delle vene dei polsi.

L’idea del figlio vivo e vegeto, anziché morto, in realtà non è nuova: ci ha già pensato, in altro contesto, l’ineffabile Michieletto. L’idea “alivertesca” invece è, indubbiamente, originale. Peccato si scontri con la drammaturgia perfetta tanto di Gioacchino Forzano per Suor Angelica, quanto con l’altrettanto efficace riduzione di Giovanni Tagioni-Tozzetti e Guido Menasci della novella di Verga e, soprattutto, con le musiche – queste sì geniali – di Puccini e Mascagni, che stanno agli antipodi l’una dell’altra, ma che suggeriscono ben altre temperie rispetto a quanto si svolge in scena. Una scena che è anche monumentale e barocca nel riprodurre i gessi del Serpotta (scenografo il bravo Francesco Bondì) mentre i costumi, specie quelli delle suore, sono meno riusciti. Li firma Sara Marcucci, che ci presenta una Badessa, vuoi anche per la statuaria figura dell’interprete Lucrezia Venturello, quasi egizia, novella Nefertiti. Bene l’illuminazione di Elisabetta Campanelli.

In poche parole: un esperimento in parte fallito. Nel percorso registico di un talentuoso ragazzo ci sta pure il passo falso. Si tratta solo di riprendere la dritta via e, soprattutto, di mantenere una propria identità senza mutuarla da altri nell’insistere inseguendo il “teatro di regia“, destinato a rapido declino, come dimostra la Tosca scaligera dove, con dispendio di mezzi, si assiste a un rigurgito di “zefirellismo“, anche nell’orientamento del pubblico. Quello di Novara, va detto, ha riservato un’accoglienza calorosa e anche generosa di applausi.

Andrea Merli

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