BERGAMO: Lucrezia Borgia – Gaetano Donizetti, 20 novembre 2019

BERGAMO: Lucrezia Borgia – Gaetano Donizetti, 20 novembre 2019

LUCREZIA BORGIA

Melodramma di Felice Romani

Musica di Gaetano Donizetti

Prima esecuzione: Milano, Teatro alla Scala, 26 dicembre 1833

Al festival Donizetti Opera 2019 viene eseguita la versione del Théâtre Italien di Parigi del 31 ottobre 1840

Edizione critica a cura di Roger Parker e Rosie Ward © Casa Ricordi, Milano con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Teatro Donizetti

 

 

Direttore Riccardo Frizza 22 e 24 novembre
               Carla Delfrate 30 novembre


Regia Andrea Bernard

 

Personaggi e Interpreti:

  • Don Alfonso Marko Mimica
  • Donna Lucrezia Borgia Carmela Remigio
  • Gennaro Xabier Anduaga
  • Maffio Orsini Varduhi Abrahamyan
  • Jeppo Liverotto Manuel Pierattelli
  • Don Apostolo Gazella Alex Martini
  • Ascanio Petrucci Roberto Maietta
  • Oloferno Vitellozzo Daniele Lettieri
  • Gubetta Rocco Cavalluzzi
  • Rustighello Edoardo Milletti
  • Astolfo Federico Benetti

Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Movimenti coreografici Marta Negrini
Lighting design Marco Alba
Assistente alla regia Tecla Gucci

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati
Banda di palcoscenico del Conservatorio Gaetano Donizetti di Bergamo

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo
in coproduzione con la Fondazione Teatri di Reggio Emilia, la Fondazione Teatri di Piacenza, la Fondazione Ravenna Manifestazioni e la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

 

Teatro Sociale, 20 novembre 2019 (Bergamo – Festival Donizetti 2019)


Per questa edizione di Lucrezia Borgia, opera che vide la “prima” alla Scala il 26 dicembre del 1833, si ricorre in buona parte all’edizione critica curata da Roger Parker e Rose Ward, inserendo alcune varianti che si riferiscono alla “versione Firenze 1836”, nel duetto Lucrezia con il Duca del primo atto; più consistenti quelle tratte dalla “versione Parigi” del 1840: la cabaletta “Si voli il primo a cogliere” di Lucrezia nel prologo e la scena del secondo atto con l’aria di Gennaro “Anch’io provai le tenere”.

Per praticità, senza entrare nel merito del pur interessante e documentato saggio di Parker pubblicato nel programma di sala – dove tra l’altro si apprende che l’opera par motivi di censura ebbe diversi titoli Eustorgia di Romano e poi Dalinda a Napoli nel 1838, Nizza de Grenade, in francese a Versailles nel 1842 ed ancora Elisa da Fosco ed una significativa La rinnegata – consideriamo questa la “Versione Bergamo 2019” e rimaniamo in attesa di altri sviluppi legati al mondo della filologia e riscoperta dove, parafrasando il Don Magnifico della Cenerentola rossiniana, “più se ne cava più ne resta a cavar”.

Filologia musicale che ritroviamo nella curata direzione di Riccardo Frizza che, già all’anteprima “under 30”, a tutti gli effetti la prova “generale”, imprime una bella esposizione procedendo ad una lettura cauta, ma vigorosa e sicura specie nel sempre delicato equilibrio tra buca e palcoscenico. Seguito con solerte efficienza dall’orchestra “Giovanile Luigi Cherubini” dal suono pulito e preciso e dall’ottimo coro del Teatro Municipale di Piacenza ubbidiente al Maestro Corrado Casati.

Nel cast praticamente tutti debuttanti, tranne il basso Marko Mimica che potei ascoltare in quel di Bilbao nel corso della stagione ABAO 2016 nella parte di Don Alfonso. Devo dire che mi piacque più allora e che pure il ricordo del suo ottimo Zaccaria in Nabucco a Novara, due stagioni fa, non ha avuto riconferma in un canto generoso di armonici, ma scandito con sonorità eccessive, un fraseggio a tratti brutale in assenza di un accettabile legato. Ha riscontrato un notevole successo, ma questo Don Alfonso tutto era fuorché un nobile duca. La sorpresa gradevolissima, piuttosto, l’ha riservata il giovane tenore spagnolo Xabier Anduaga, già apprezzato Conte Almaviva de Il barbiere di Siviglia in quel di Parma, che conferma qualità timbriche notevolissime, voce pregevole e risulta convincente per esposizione, fraseggio ed accento, nella linea di canto. E’ lecito sperare da lui, con la maturità dell’interprete che già qui dimostra di possedere un’ottima stoffa, grandi cose. Glielo auguriamo e ce lo auguriamo, perché la fame di tenori è sempre grande! Bene nella barcarola “Di pescatore ignobile” e nel successivo evolversi del duetto con Lucrezia; benissimo nella difficile, ma assai bella, aria che apre il secondo atto “Anch‘io provai le tenere“, struggente nel cullante “Madre se ognor lontano” che, inequivocabile segno della genialità del Donizetti, dovrebbe chiudere l’opera.

Carmela Remigio affronta per la prima volta l’arduo compito della protagonista. Lucrezia Borgia richiede sì un canto alato e nobile, ma anche veemenza nelle note centrali e basse, specie nel duetto con il consorte Alfonso del primo atto. Si aggiungano, in questo caso, le agilità della cabaletta “parigina”, inserita col taglio della seconda strofa del cantabile “Come è bello! Quale incanto”, dopo il pertichino del Duca e Rustighello, per giunta ripetuta con le variazioni. La Remigio ne è venuta a capo con professionalità e tenuta ammirevoli, confermando doti di abile fraseggiatrice e giocando con accenti convincenti la parte drammatica. Maffio Orsini ha messo in bella mostra le capacità vocali e sceniche del mezzosoprano Varduhi Abrahamyan, perfetta nel ruolo “in travesti” e a suo agio tanto nel racconto del prologo “Nella fatal di Rimini”, quanto nel duetto con Gennaro del secondo atto e quindi nel celebre brindisi “Il segreto per esser felici”. Ottimo nel complesso il numeroso contorno maschile che ha visto impegnati Manuel Pierattelli, Liverotto, Alex Martini, Gazella, Roberto Maietta, Petrucci, Daniele Lettieri, Vitellozzo; maggior spicco hanno nel contesto il Gubetta, affidato a Rocco Cavalluzzi e il Rustighello, molto presente e ben intonato da Edoardo Milletti. A chiudere l’elenco l’Astolfo di Federico Benetti, l’Usciere di Claudio Corradi, il Coppiere di Alessandro Yague e nei panni di un’improponibile ballerina “cubista” la principessa Negroni della pur brava Francesca Verga.

Risaputamente il libretto del Romani è tratto dalla coeva opera teatrale di Victor Hugo – pubblicata sul programma di sala nella versione italiana di Giacinto Battaglia del 1837 – basata più sul mito della incestuosa avvelenatrice che sulla realtà storica che ne smentisce i delitti. Addirittura si fa diventare Don Alfonso il “quarto marito” quando, in verità, fu l’amatissimo terzo ed ultimo. Nel libretto di Felice Romani non si parla mai del Papa, ne si allude ad un rapporto incestuoso da cui dovrebbe essere nato Gennaro, per superare l’ostacolo della censura che, ciò nonostante, infierì e notevolmente. Insistere ora con una lettura registica “naturalista” in quest‘opera, con una recitazione esagitata, sottolineata da gesti e movenze più consone ad un serial televisivo, laddove volano schiaffi, violenze ed approcci sessuali simulati, baci omosessuali, culle con bimbi rapiti, un Papa ed un Cristo in libera circolazione, la partita di golf con mazze e palline, pisciata contro il muro e chi più ne ha più ne metta, denota più che la smania dell’inutil provocazione (siamo nel terzo millennio, una mano sul culo ed uno slinguazzamento in scena non scandalizzano più nessuno) una grande confusione in chi sta cercando, senza trovarla almeno per ora a mio modesto avviso, una chiave personale di lettura e, nel mentre, ripete dei cliché fin troppo abusati che rientrano nella “routine” del cosiddetto teatro di regia. Andrea Bernard, il regista, Elena Beccaro la costumista; la scena unica la firma Alberto Beltrame, i movimenti coreografici sono di Marta Negrini, le luci di Marco Alba. 

Andrea Merli 

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