PAVIA: L’HEURE ESPAGNOLE – GIANNI SCHICCHI – , 4 ottobre.

PAVIA: L’HEURE ESPAGNOLE – GIANNI SCHICCHI – , 4 ottobre.

L’HEURE ESPAGNOLE

Musica di Maurice Ravel

Libretto di Franc – Nohain

Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre National de l’Opéra-Comique, 19 maggio 1911

Edizione: Kalmus

 

Maestro Concertatore e Direttore SERGIO ALAPONT

Regia CARMELO RIFICI

 

Personaggi e Interpreti:

  • Concepcion, moglie di Torquemada Antoinette Dennefeld
  • Gonzalve, studente Didier Pieri
  • Ramiro, mulattiere Valdis Jansons
  • Don Inigo Gomez, banchiere Andrea Concetti
  • Torquemada, orologiaio Jean François Novelli

Scene GUIDO BUGANZA

Costumi MARGHERITA BALDONI

Luci VALERIO TIBERI

Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano

Nuovo allestimento dei Teatri di OperaLombardia
Coproduzione Teatri di OperaLombardia


GIANNI SCHICCHI

Opera comica in un atto

Musica di Giacomo Puccini

Libretto di Giovacchino Forzano

Prima rappresentazione: New York , Teatro Metropolitan, 14 dicembre 1918

Edizione: Ricordi

 

Maestro Concertatore e Direttore SERGIO ALAPONT

Regia CARMELO RIFICI

Personaggi e Interpreti:

  • Gianni Schicchi Sergio Vitale
  • Lauretta Serena Gamberoni
  • Zita Agostina Smimmero
  • Rinuccio Pietro Adaini
  • Gherardo Didier Pieri
  • Nella Marta Calcaterra
  • Betto di Signa Andrea Concetti
  • Simone Mario Luperi
  • Marco Valdis Jansons
  • La Ciesca Cecilia Bernini
  • Maestro Spinelloccio/Messer Amantio di Nicolao Nicolò Ceriani
  • Pinellino Zabulon Salvi
  • Guccio Marco Tomasoni

Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano

Nuovo allestimento dei Teatri di OperaLombardia
Coproduzione Teatri di OperaLombardia

Teatro Fraschini, 4 ottobre 2019


Il curioso dittico che unisce la comica operina di Ravel, L’heure espagnole ed il sarcastico ghigno pucciniano del Gianni Schicchi, è stato assemblato dalla Coproduzione dei Teatri OperaLombardia ed ha visto la prima al Teatro Grande di Brescia qualche settimana fa. Si è potuto assistere, incastrando la recita tra altre due a Torino ed  Reggio Calabria, alla ripresa proposta al Teatro Fraschini di Pavia che così ha dato il via alla stagione operistica.

La divertente “opera-bouffe” ha per libretto una vera a propria pochade di Franc Nohain e procede con un prosodia senza che ci siano delle vere e proprie arie, sebbene il lungo monologo di Concepciòn “Oh! la pitoyable aventure!” possa a tutti gli effetti passare per un pezzo chiuso, così come il geniale quintetto finale. I richiami al folklore spagnolo non mancano: dalla jota al bolero, dalla habanera al flamenco, ma il gusto e la souplesse, anche nei momenti più eroticamente spinti, hanno la caratteristica eleganza e stile francesi. Ciò è stato colto assolutamente nella bella e brillante direzione di Sergio Alapont che ha fatto sprigionare come da una scatola magica il gioco dei timbri, gli effetti strumentali e il dominio dell’orchestrazione del geniale compositore. In più ha sostenuto abilmente le ragioni del canto qui, come poi nello scatenato Gianni Schicchi nel secondo tempo, ben assecondato dall‘Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano. Canto sostenuto mirabilmente dal soprano Antoniette Dennefeld, spiritosa e senzuale Concepciòn dalla voce duttile e ben proiettata, l’evanescenbte ed indeciso poeta Gonzalve, che ha trovato in Didier Pieri una vocalità di tutto rispetto ed un’interpretazione da manuale, il goffo e comico banchiere Don Inigo reso con comicità misurata da Andrea Concetti, l’aitante mulattiere Ramiro, il valido basso baritono Valdis Jansons e, finalmente, l’orologiaio Torquemada cui spetta il compito di aprire e chiudere l’opera e che nel tenore Jean François Novelli.

Lo spettacolo, per la regia di Carmelo Rifici con le scene di Guido Buganza, i costumi di Margherita Baldoni e le luci di Valerio Tiberi, propone una sorta di scatola musicale in cui un’enorme clessidra scandisce il tempo ed i personaggi si muovono come altrettante marionette. Gli arredi essenziali salgono e scendono dal soffitto e le due pendole in cui si nascondono gli spasimanti di Concepciòn e che Ramiro sposta senza fatica su e giù dalla camera, si fondono in realtà con le pareti della scatola stessa. Spettacolo molto divertente nella sua surreale irrealtà. Tutto il contrario per Gianni Schicchi dove ci troviamo in una sala cinemtogrfica ed assistiamo ad un film dei tempi del neorealismo italiano. Qui la regia, come nel film “La rosa purpurea del Cairo” di Woody Allen, gioca con filmati preregistrati e dandoci l’illusione che i personaggi passino dall’immagine del film alla scena in carne ed ossa. Nel film vediamo la camera ardente del defunto Buoso Donati che, poi, si materializza in un manichino: qui si può leggere un omaggio a Totò del film “Totò le Mokò“. Questa trasposizione, in virtù di un ottimo lavoro di squadra e di una regia animatissima, funziona a meraviglia e sottolinea con humor autenticamente italiano la trama dai tratti cinici e beffardi. Non a caso si è citato Allen, autore di una regia sopra le righe vista recentemente in Scala: Rifici dimostra che si può seguire quella via senza scadere nel cliché qualunquista dell’italiano visto come mafioso, mangiamaccheroni e suonatore di mandolino. Ottimo lavoro, apprezzato molto dal pubblico presente e che ha risposto, oltre che con fragorosi applausi, con sonore risate.

Del lavoro del direttore che in Puccini si è superato per quanto ha saputo trarre di colori dalla tavolozza orchestrale mantenendo il ritmo senza cedimenti, si è detto. Va poi lodato un cast affiatatissimo dove giganteggia la figura imponente e la salda vocalità di Sergio Vitale, baritono che di Schicchi ha fatto il suo cavallo di battaglia, che il ruolo indossa sia fisicamente e che vocalmente ed interpretativamente con ammirevole naturalezza, padronanza e pure con una punta di sano divertimento. Bravissimo. Non meno centrati tutti gli altri: la bella sorpresa di trovare nel Rinuccio del giovanissimo Pietro Adaini una voclità sicura, quasi eroica, un timbro schietto ed il necessario squillo manifestatosi in un’ottima esecuzione di “Firenze è come un albero fiorito”. La conferma della professionalità di Serena Gamberoni che mantiene la freschezza adolescenziale di Lauretta, insufflandole una determinazione ed una volontà precisa, ricavando grazie alla caratterizzazione scenica un godibilissimo mix tra la Cinquetti di “Non ho l’età” e la Pavone de “La zanzara”; soprattutto riscattando il famigerato “O mio babbino caro” dalla melensaggine ed abuso in ogni concorso televisivo di più o meno giovani talenti. Festeggiatissima, e non poteva essere altrimenti, a scena aperta.

L’elenco continua con la vulcanica Zita di Agostina Smimmero, dalla voce ampia, sonorissima e roboante nella zona grave, dove si impone con ricchezza di armonici, di nuovo Didier Pieri, Gherrado, Andrea Concetti, Betto di Signa e Valdis Jansons, Marco preziosi e ben caratterizzati, il veterano Mario Luperi, perfetto Simone e le due pepatissime ed ammiccanti Nella, Marta Calcaterra e la Ciesca, Cecilia Bernini, semplicemente impagabili. Due bei cammei quelli che si è ritagliato Nicolò Ceriani caratterizzando saporitamente con le opportune differenze Maestro Spinelloccio, il medico bolognese e Messer Amantio di Nicolao, il notaio. Completavano il quadro Pinellino il calzolaio, Zabulon Salvi, Guccio il tintore, Marco Tomasoni ed il piccolo ed anonimo Gherardino, musicalmente puntualissimo nei suoi due interventi.

Gran bella recita, si replica a Como ed a Cremona: Non perdetevela!

Andrea Merli

 

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