TORINO: LES PECHEURS DE PERLES, 3 ottobre 2019
I pescatori di perle (Les Pêcheurs de perles)
Opéra lyrique in tre atti Libretto di Eugène Cormon e Michel Carré
Edizione in lingua originale francese
Musica di Georges Bizet
Edizione critica a cura di Brad Cohen
Direttore d’orchestra Ryan McAdams
Regia, scene, costumi, coreografia e luci Julien Lubek e Cécile Roussat
Personaggi Interpreti:
- Leïla, sacerdotessa Hasmik Torosyan
- Nadir, un pescatore Kévin Amiel
- Zurga, capo dei pescatori Fabio Maria Capitanucci
- Nourabad, gran sacerdote Ugo Guagliardo
Direttore dell’allestimento Pier Giovanni Bormida
Maestro del coro Andrea Secchi
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Teatro Regio, 3 ottobre 2019
Inaugurazione di stagione al Teatro Regio e presentazione ufficiale del nuovo sovrintendente Sebastian Schwarz, ex direttore artistico del viennese An der Wien, la cui presenza promette una ventata di attualità nella placida programmazione torinese. Questi Pescatori di Perle, di fatto, sono retaggio della precedente gestione e in fatto di perle ne raccolgono ben poche, alcune decisamente nere.
Iniziamo dall’allestimento che a definire tradizionale gli si fa un complimento. Oleografico e kitsch ci starebbero pure come aggettivi di uno spettacolo che ricorda una pacchiana cartolina illustrata, ingombrante nella scena fissa, con coreografie più o meno orientaleggianti (si fa quel che si può senza un vero e proprio corpo di ballo) ottenendo un effetto da cartoon disneyano, forse pure inseguito, che comunque passa lasciando sostanzialmente indifferente il pubblico. Lascia piuttosto perplessi il fatto che l’allestimento sia “nuovo”. Senza andar lungi, gli allestimenti visti a Trieste ed a Salerno ed un altro al Teatro Pérez Galdos di Gran Canaria – l’opera, tutto sommato, gira – erano più efficaci e rendevano meglio una trama dalla drammaturgia inesistente in cui si può anche provare a “decontestualizzare”, senza perciò passare necessariamente per talebani del teatro di regia. Ricordo l’allestimento proveniente da Vienna e visto al Teatro di Tel Aviv, ambientato su un set cinematografico di un film in stile Bollywood dove, appunto, si giravano Les Pecheurs. Insomma, si potrebbe volare di fantasia, cosa che non ha sfiorato chi ha firmato in toto la produzione: Julien Lubek e Cécile Roussat, autori congiuntamente di regia, scene, costumi, coreografie e luci.
I Pescatori, nonostante il plurale del titolo, si riducono essenzialmente ad uno, che poi pescatore a dirla tutta non è: Nadir. Opera “di tenore” per eccellenza, non si programma in assenza di un degno rappresentante della categoria, in grado di esibire una voce duttile, facile e fluida nelle note di passaggio, dotato di un bel legato, con un’emissione morbida, possibilmente possessore di un bel colore e, magari, in grado di salire al Do acuto (non scritto, è vero) che per tradizione ci si attende nell’aria più famosa dell’opera, che in italiano recita “Mi par d’udire ancor”. Senza dover necessariamente rinvangare il passato remoto, sebbene le recite triestine del 1978 della versione in italiano con Alfredo Kraus siano ben vivide nella memoria, più recentemente si sono ascoltati nell’ordine Celso Albelo, Juan Diego Florez e Paolo Fanale, tutti e tre all’altezza, promossi a pieni voti per doti indiscutibili, seppure caratterizzati ovviamente da diversa individualità. Tutto ciò per sottolineare che un Nadir dalla voce meno generica, timbricamente sgradevole, dotato di uno stile di canto meno approssimativo di quello del “pescatore” Kévin Amiel, giovane e belloccio tenore di Tolosa, si poteva, e doveva, trovare.
Lo Zurga del baritono belga Pierre Doyen ha avuto, principalmente, il merito di aver sostituito a tambur battente il titolare del ruolo, Fabio Maria Capitanucci, colpito da improvvisa tracheite e, soprattutto, di avere in gola la parte e, fatto non trascurabile, di possedere l’idiomaticità, come del resto quella del collega francese, della lingua francese. L’interprete si è fatto valere in virtù di una voce ricca di armonici, dal timbro piuttosto chiaro va pure detto, non particolarmente morbida, ma certo efficace e dunque lo si promuove con una larga sufficienza.
Il soprano armeno Hasmik Torosyan si è dimostrata una Leila deliziosa, per l’indiscutibile avvenenza e anche per la dolcezza e soavità del canto. La vocalità del personaggio, a dire il vero, richiederebbe un peso specifico maggiore, un timbro di lirico pieno. Ciò nonostante con estrema intelligenza la Torosyan non forza la voce, anzi trova i momenti migliori nel canto a fior di labbro, con emissioni a mezza voce e filati, risultando di gran lunga la migliore del cast, completato onorevolmente dal basso Ugo Guagliardo, anche se la parte di Nourabad è marginale sia nell’economia del dramma che in quella squisitamente musicale, intervenendo principalmente nelle scene d’assieme e nei finali d’atto.
Ottima la prova del coro, istruito da Andrea Secchi e buona la resa orchestrale. Alla guida la bacchetta sicura di Ryan McAdams che a condotto in porto l’impresa senza intoppi, ma anche senza voli particolari.
Andrea Merli