MINORCA: Ernani – Giuseppe Verdi, Teatre Principal de Maó  31 maggio e 2 giugno 2019

MINORCA: Ernani – Giuseppe Verdi, Teatre Principal de Maó 31 maggio e 2 giugno 2019

Ernani

opera in quattro atti di Giuseppe Verdi

libretto di Francesco Maria Piave

tratta dal dramma di Victor Hugo

Direttore d’orchestra Matteo Beltrami

Regia Giorgia Guerra

Personaggi e Interpreti

  • Ernani Josep Bros
  • Don Carlo Simone Piazzola
  • Silva Simon Orfila
  • Elvira Anna Pirozzi
  • Giovanna Maria Camps
  • Don Riccardo Albert Casals
  • Jago David Cervera

Cor dels Amics de s’òpera de Maò

Orchestra Simfònuca de les Illes Balears

direttore del Coro Cristina Alvarez

scene Giorgia Guerra

costumi Ferran Ruiz

luci Ferran Ruiz

Teatre Principal, 31 maggio e 2 giugno 2019


Il Teatre Principal di Mahon, capitale dell’Isola di Minorca, la seconda per ampiezza delle quattro Baleari, vanta il primato d’essere, tra quelli esistenti, il più antico teatro d’opera della Spagna, datando addirittura il 1829. Si tratta di un autentico gioiello architettonico, un “teatro all’italiana” con pianta a ferro di cavallo e dotato di cinque ordini di palchi, dal prepiano a quelli che costituiscono l’attuale loggione.

In una prima mia visita all’Isola, nell’ormai remoto 1983, era molto malandato e ridotto a sala cinematografica. Durante il mese di agosto era ovviamente chiuso, ma elargendo una mancia al custode lo potei visionare: giaceva in uno stato di quasi totale abbandono. Nel 2001 venne completamente riformato conservandone le caratteristiche forme ed arricchendolo con spazi funzionali e le attrezzature che, anche per motivi legati alla sicurezza, obbligatoriamente deve possedere un moderno teatro. Arricchendolo con materiali nobili, con gusto moderno, ma non prevaricante.

Uno spazio ideale per permettere alla Fundaciò Menorquina De L’Opera, sostenuta dagli Amics de s’Opera de Maò, giunta alla sua quarantottesima stagione, di rappresentare con tutti gli onori quell’opera annuale che, con l’autotassazione dei soci che sostengono lo sforzo economico maggiore e con il contributo del Governo delle Isole Baleari, del Consiglio Insulare di Minorca ed infine quello del Municipio di Mahon.

L’idea che possa trattarsi di una “spedizione punitiva” non vi sfiori nemmeno la mente; basta dare un’occhiata al cartellone per rimanere sbalorditi davanti ad un elenco che ambirebbero pubblicare i maggiori teatri del mondo. Un Ernani, opera tra quelle di Verdi non la più popolare, che ha registrato per entrambe le recite il tutto esaurito, e sì che il teatro è piccolo, ma certo non minuscolo e frequentato da un pubblico partecipe tra cui numerosissimi i giovani e giovanissimi. Quella dell’opera, infatti, è una tradizione molto sentita nell’Isola che, pur contando una popolazione autoctona che non raggiunge i centomila abitanti, ha dato alla lirica tante voci, alcune di respiro internazionale, si pensi al baritono Juan Pons – cui nel teatro è stato dedicato un camerino – e a Simon Orfila, giovane ma ormai lanciatissimo basso che, addirittura, nella sua bella Isola è il testimonial di un calzaturificio, Mabo, tra le maggiori firme produttrici delle tipiche calzature locali.

Il merito di spingermi, a circa 36 anni di distanza, a tornare nell’Isola spetta a lui e devo dire che ne son ripartito ampiamente ripagato e con la voglia di tornarvi presto e non solo per godere le esaltanti serate d’opera, ma per goderne le meraviglie naturali ed architettoniche, nell’incredibile diversità tra Mahon, dove ancora si respira l’aura della dominazione inglese e la spagnolissima Ciutadella, ricca di edifici barocchi, pure le ghiottonerie di una gastronomia varia e saporita e, buona ultima, la placida simpatia degli Isolani il cui motto è: “Sono menorquino, non sono io ad essere lento, sei tu che sei stressato”!

La messinscena, una produzione in buona parte procedente dall’Opéra Royal de Wallonie-Liège, è stata curata idealmente da Giorgia Guerra che ha gestito elegantemente e con ottimi risultati una scena ed una attrezzeria perentoriamente ed orgogliosamente molto tradizionali, dipanando la trama dell’opera in maniera che, anche senza seguire i sopratitoli, fosse a tutti chiara, lineare. “Mi rendo conto” ci ha confidato poi durante il cocktail offerto dopo lo spettacolo “che posso disturbare dimostrando che nel mettere in scena un’opera, specie questa con dei connotati storici ben precisi sebbene la trama sia di fantasia, si possa semplicemente seguire le indicazioni del libretto, senza cercare sovrapposizioni di natura psicologico-sociale. Insomma, svolgere il lavoro del “Metteur en scène” senza farsi prendere la mano, assecondando l’azione e cercando di rendere il compito dei cantanti quello musicale innanzitutto, senza obbligarli a posizioni e situazioni anti musicali che, il più spesso delle volte, navigano anche contro la drammaturgia originale voluta ed indicata dagli Autori”. Come darle torto?

Sfruttando al massimo i bei costumi scelti da Ferran Ruiz, che ha saputo ben caratterizzare sia i banditi seguaci di Ernani che i cortigiani di Silva, grazie anche al preciso lavoro di luminotecnica di Sylvain Geerts, la regista ha ottenuto un ottimo risultato, a cui hanno pure partecipato nei rispettivi compiti il direttore di palcoscenico Franco Orsini e l’aiuto regista Brunella de Laurentis; si è garantita così un’accoglienza calorosa del pubblico, totalmente ed ampiamente soddisfatto di questa “tradizione italiana” che andrebbe ormai protetta come “patrimonio dell’umanità”.

L’ambiente si è vieppiù surriscaldato nello svolgersi della recita per la prestazione dell’intero cast che ha raccolto l’onda di entusiasmo proveniente dal pubblico e che si è prodotto al massimo delle umane ed artistiche possibilità. Iniziando dai tre ruoli di fianco affidate a validissimi esecutori: il soprano di Minorca Maria Camps, Giovanna, il basso di Valencia David Cervera, Jago ed il tenore di Barcellona Albert Casals, che in altri teatri veste panni da protagonista, un Don Riccardo di lusso.

Praticamente debuttante, avendo eseguito una sola volta ed in tempi ormai lontani il ruolo di Elvira, la vergine aragonese ambita da tutti e su cui ruota l’intera vicenda, la napoletana Anna Pirozzi, è stata semplicemente straordinaria. Si sprechino i superlativi per questo soprano, ora al top di una carriera che la vede impegnata prossimamente al Met di New York, cui riesce coniugare il canto alato in preziosi pianissimi e sbalorditive messe in voce, che ricordano quelli di un’altra Elvira, la Caballé, con la grinta, la protervia aggressiva di un personaggio che resiste, si oppone e scatta con nobile temperamento di fronte allo stesso sovrano. Dopo il magnifico cantabile “Ernani involami” e l’insidiosa cabaletta “Tutto sprezzo”, superata alla grande nelle impennate d’agilità, la Pirozzi è stata travolgente, culminando per dolcezza e soavità nel duetto a fianco di Ernani nel secondo atto e quindi nello struggente terzetto finale. Pagine in cui è riuscita a rendere palpabile l’emozione che ha coinvolto il pubblico.

Standing ovation finale anche per il protagonista, il tenore Josep Bros, pure lui catalano e barcellonese. In forma vocale smagliante, egli rappresenta l’esempio vivente della professionalità al servizio dell’arte. Il timbro non è mai stato privilegiatissimo, ma con gli anni la voce ha acquistato un corpo ed uno spessore notevoli senza, perciò, perdere la facilità dell’acuto ed il sostegno del canto, fermo e sicuro anche nelle tessiture estreme. Recitativo ed aria “Come di rose un cespo” e la seguente cabaletta sono stati resi con un accento infuocato ed un fraseggio che hanno sorpreso sin dalla prima sua esecuzione. Molto presente ed incisivo negli assieme, spavaldo nello sfogo del secondo atto: “Oro, quant’oro ogn’avido”, poi teneramente innamorato, con dovizia di mezze voci, nel duetto con Elvira ed infine intenso nelle frasi: “Quel pianto Elvira ascondimi” e dà lì fino al tragico finale in cui questa regia, con un originale guizzo drammatico, prevede la morte di entrambi gli innamorati. Una esecuzione, pure la sua, memorabile.

Classe 1985, il baritono veronese Simone Piazzola, che la parte di Don Carlo ha recentemente eseguito in Scala, possiede uno strumento straordinario per bellezza, velluto e colore autenticamente baritonale. Segue intenzionalmente l’esempio di Renato Bruson nel cercare di mantenere sempre morbida l’emissione e la recente scuola seguita col suo attuale mentore, il basso Giacomo Prestia, lo porta a risultati di alto livello; pure lui, sia dopo i duetti, ma soprattutto dopo l’esecuzione della sua grande scena del terzo atto con l’aria “A dei verd’anni miei”, ha ricevuto una vera e propria ovazione.

Si dirà che gioca in casa il basso di Alaior Simon Orfila, che il trucco ha cercato di invecchiare, senza perciò togliere un pelo all’imponente presenza scenica, all’eleganza e aplomb dell’innamorato ed inflessibile Silva. Un debutto felicissimo che inaugura, c’è da sperare e da augurargli, una lunga galleria di personaggi verdiani: il prossimo dovrebbe essere in ordine di tempo Zaccaria nel Nabucco. La raggiunta maturità vocale, unita a quella dell’interprete, garantiranno belle sorprese in futuro dopo l’ammirevole risultato in questo granitico ruolo. Alla veemenza del suo “Infelice, e tuo credevi” ha fatto seguito la battagliera cabaletta, scritta prima per l’Oberto poi praticamente riciclata nel Nabucco e che spesso si taglia; in questo caso è stata eseguita, seppure una sola volta. Ma in corso d’opera Orfila è sempre emerso, pur tra personalità prepotentemente presenti come quelle dei colleghi chiamati al suo fianco, siglando con la Pirozzi e Bros un terzo atto sensazionale.

Infine la prova più eroica, quella del direttore d’orchestra, Matteo Beltrami, che con pochissime prove, alcune realizzate nella vicina isola di Mallorca, pur sempre raggiungibile o in aereo o in aliscafo comunque con notevole dispendio di forze e di tempo, ha sfruttato al meglio la validissima Orchestra delle Isole Baleari, nelle cui file per altro si contano parecchi professori italiani, ed il volenteroso Coro Amics de s’Opera di Maò, formato da entusiasti non professionisti, che pure darebbe filo da torcere a formazioni stabili e più consolidate anche per l’ottimo coinvolgimento scenico tra cappa e spada. Gran parte il merito spetta alla bravissima Maestro del Coro Cristina Alvarez. Una lettura quella del Beltrami gagliarda, ma attentissima a non scollare strumenti e palcoscenico e sempre al servizio delle voci; ha reso il clima “quarantottesco” delle brillanti scene d’assieme e nei concertati, ma ha posto in evidenza le mille ed una bellurie di un’opera che dovrebbe tornare stabilmente in repertorio, al pari di Macbeth e Nabucco, per intenderci, e che a Mahon è ritornata dopo la prima ed unica apparizione nel 1849, appena cinque anni dopo la “prima” veneziana, riscuotendo un successo sorprendente.

Andrea Merli

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