TEATRO ALLA SCALA: la Cenerentola – Gioachino Rossini, 26 febbraio 2019
LA CENERENTOLA
Melodramma giocoso in due atti
Libretto di Jacopo Ferretti
Musica di GIOACHINO ROSSINI
(Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Casa Ricordi, Milano.
A cura di Alberto Zedda)
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Valle, 25 gennaio 1817
Prima rappresentazione al Teatro alla Scala: 25 agosto 1817
Produzione Teatro alla Scala
Direttore OTTAVIO DANTONE
Regia, scene e costumi JEAN-PIERRE PONNELLE
Regia ripresa da GRISCHA ASAGAROFF
Personaggi e interpreti principali
- Angelina Marianne Crebassa
- Don Ramiro Maxim Mironov
- Don Magnifico Carlos Chausson
- Dandini Nicola Alaimo
- Alidoro Erwin Schrott
- Clorinda Tsisana Giorgadze
- Tisbe Anna-Doris Capitelli
Luci MARCO FILIBECK
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Maestro del Coro BRUNO CASONI
Teatro alla Scala, 26 febbraio 2019
Ritorna al Teatro alla Scala La Cenerentola nello “storico” allestimento di Jean-Pierre Ponnelle, ripreso in questo caso da Grischa Asagaroff, in memoria di Claudio Abbado nel quinto anno della sua scomparsa ed è subito trionfo. Si tratta di uno di quegli spettacoli referenziali – La Bohéme firmata Zeffirelli, La traviata “della Cavani”, ma la lista è lunga – che sono diventati delle icone: certo, ci sono altre Cenerentole, altre Bohéme, altre Traviate in libera circolazione, ma queste edizioni rimarranno sempre un punto di riferimento e non solo alla Scala.
Che poi, a dirla tutta, questo spettacolo nacque per il Maggio Fiorentino nell’ormai lontanissimo 1971. Io la vidi la prima volta al milanese Teatro Lirico, in trasferta da Trieste a Milano col compagno di avventure Rino Alessi, nel febbraio del 1976, protagonista l’indimenticata Lucia Valentini Terrani e con Enzo Dara, il caro amico che ci aveva procurato i biglietti. Oh memorie del tempo che fu!
Nel frattempo ha girato il mondo, adattandosi – il teatro è vita – a vari teatri con cast e direttori che si sono, ovviamente, alternati. Ora alcuni rimpiangono il rigore di una direzione, sia musicale che scenica, che non ammetteva sbavature ed ammiccamenti, di una perfezione che ha difficile paragone.
Personalmente, poiché i ricordi giova lasciarli in guardaroba con i soprabiti, me la sono goduta una volta ancora. Iniziando dall’ottima direzione di Ottavio Dantone e dal coro maschile, sempre puntuale sotto la guida di Bruno Casoni.
Il cast mi è parso adeguato con elementi di sicuro spicco; a Marianne Crebassa difetta la pirotecnica esplosione di agilità nel rondò finale, sebbene risolto con discreta scioltezza, ma in compenso tratteggia un’Angelina insolita, palpitante, dotata di una patina di sofferente mestizia che l’ha resa credibile e partecipe. Così pure il principe Ramiro di Maxim Mironov, oltre ad essere elegante e sciolto in scena, compensa un volume limitato – ma è stato annunciato malato di un potente raffreddore a inizio recita – con una linea di canto squisita e di naturale nobiltà. Nei ruoli dei due buffi, Nicola Alaimo tracima simpatia con la sua dilagante figura e riesce a divertirsi e a divertire facendo di Dandini un personaggio memorabile, cantando con precisione tutte le note e catalizzando con la sua presenza l’attenzione in scena. Altrettanto straordinario il Don Magnifico di Carlos Chausson, il baritono spagnolo di lunga e valorosa carriera che, di fatto, ha debuttato alla Scala dopo una lontana presenza in un cast alternativo di Adriana Lecouvreur nel 1989. Qui siamo di fronte ad una personalità che ci riporta, per verve scenica e proiezione vocale, ai tempi dei Corena, Capecchi e Montarsolo: una master class di tecnica ed arte scenica, unita ad una resa teatrale straordinaria. Sono piaciute pure le due brave sorellastre, la scatenata Tisbe di Anna-Doris Capitelli e la non meno prevaricante Clorinda di Tsisana Giorgiogadze, entrambe soliste dell’Accademia Teatro alla Scala. Con lo splendido Alidoro di Erwin Schott, un lusso asiatico, si chiude un cast che subirà qualche cambio nelle prossime riprese, ma che ha dato prova di grande omogeneità e compenetrazione. Una lode, infine, al Maestro al fortepiano, Paolo Spadaro.
Andrea Merli