BOLOGNA: LA FILLE DU REGIMENT, 14 novembre 2018
GAETANO DONIZETTI
La fille du régiment
Direttore d’Orchesrta Yves Abel
Regia Emilio Sagi
Personaggi e Interpreti:
- Marie, giovane vivandiera, soprano Hasmik Torosyan
- Tonio, giovane tirolese, tenore Maxim Mironov
- Sulpice, sergente, Basso buffo Federico Longhi
- La Marchesa di Berckenfield, mezzosoprano Claudia Marchi
- Hortensius, intendente, basso Nicolò Ceriani
- Un caporale, tenore Tommaso Caramia
- Un paesano, tenore Cosimo Gregucci
ripresa regia Valentina Brunetti
scene e costumi Teatro Comunale di Bologna
progetto originale Giulio Galan
luci Daniele Naldi
Maestro del coro Andrea Fidautti
Bologna, 14 novembre 2018
Ultima recita col primo cast presa impiccionescamente al volo, al Teatro Comunale di Bologna. Ultima volta, mi si dice, che l’allestimento che proprio in questo teatro vide la luce nell’ormai lontano 2004 (protagonisti Eva Mei, Juan Diego Florez e Bruno Praticò, tra gli altri: ed io ovviamente c’ero), verrà allestito e quindi destinato al macero. Peccato, poiché le scene e costumi di Julio Galan, molto godibili questi ultimi specie nella seconda parte durante l’ingresso degli invitati al matrimonio di Marie, e la regia di Emilio Sagi, che trasporta l’azione alla fine del secondo conflitto mondiale, sono particolarmente centrati e assai divertenti. E’ anche vero che Sagi, con questa sua Fille du regiment bolognese, ha totalizzato ben quattro produzioni dell’opera, essendo la più celebre forse quella “alla Botero” che pure ha girato parecchio, ma è sempre con un po’ di tristezza che si vede scendere il sipario su un allestimento ben riuscito, quando invece sono in libera circolazione altri bruttarelli. Pazienza, speriamo in un ripensamento.
Nulla da eccepire, comunque, sull’ottima resa musicale laddove il cast l’ha fatta da padrone, senza nulla togliere alla bella prova di orchestra e coro, questo come sempre istruito da Andrea Faidutti, ubbidienti alla bacchetta di Yves Abel. La protagonista Hasmik Torosyan, che si era apprezzata come Musetta nella scorsa Bohéme felsinea per la regia di Vick, ha qui messo in evidenza tutte le sue indiscutibili qualità vocale ed interpretative, risultando una Marie spericolata nella facile ascesa all’acuto e sovracuto presi senza sforzo apparente, con estrema sicurezza, perfetta intonazione e slancio, bellezza di suono e luminosità, quanto dolce e tenera nei momenti di abbandono, dove ha evidenziato una linea di canto elegante, un ottimo legato e una cantabilità piena e suadente. Bravissima ed acclamatissima alla ribalta finale. Non meno bravo e festeggiato – dopo la fatidica aria dei “nove Do” è parso che l’azione non dovesse più proseguire – Maxim Mironov, anche lui dall’estensione fluida e sicura e dotato di un timbro assai gradevole, cui si unisce l’eleganza sia nel canto che nel portamento e l’abilità nel rendere di Tonio il lato veemente e di vero innamorato senza scadere nell’immagine del solito sempliciotto. L’aria del secondo atto, “Pour me rapprocher de Marie” è stata letteralmente cesellata e, pur senza l’iperbolica salita all’acuto dell’altra, ha sedotto non solo la bella innamorata, ma anche tutto il pubblico.
Perfettamente in parte il Sulpice del baritono Federico Longhi, ammiccante e paterno nel contempo e dotato di un’importante vocalità. Non meno bravi l’Hortensius assai centrato dal baritono triestino Nicolò Ceriani e la marchesa di Benkerfield intonata con verve da Claudia Marchi.
Resta da dire della presenza di Daniela Mazzucato, nel meteorico ruolo della stizzosa e altezzosa Duchessa di Crakentorp. Come si è letto già da altre parti, disporre di una tale artista, autentica bestia di palcoscenico e risaputamente “regina dell’operetta” senza concederle l’opportunità di un’arietta da baule o di uno scenetta supplementare, come si è fatto quando in questa arte si son calate personalità quali Kiri Te Kanava e la compianta Montserrat Caballé, è un vero e proprio insulto alla ragione oltre che un’occasione mancata ed un “furto” operato nei confronti del pubblico che, certamente e come il sottoscritto, si sarebbe aspettato una prova della sua bravura che andasse oltre al grido di “Quel scandal!”. Appunto, uno scandalo.
Andrea Merli