TORINO: il Trovatore – Giuseppe Verdi, 10 ottobre 2018

TORINO: il Trovatore – Giuseppe Verdi, 10 ottobre 2018

Il trovatore

Dramma in quattro parti
Libretto di Salvatore Cammarano
dall’omonimo dramma di Antonio García-Gutiérrez

Musica di Giuseppe Verdi

Direttore d’orchestra Pinchas Steinberg

Regia Paul Curran

Personaggi  e Interpreti

  • Leonora Rachel Willis-Sørensen , Karina Flores (12, 17, 20, 23)
  • Manrico Diego Torre, Samuele Simoncini (12, 17, 20, 23)
  • Azucena Anna Maria Chiuri, Agostina Smimmero (12, 17, 20, 23)
  • Il conte di Luna Massimo Cavalletti, Damiano Salerno (12, 17, 20, 23)
  • Ferrando In-Sung Sim, Fabrizio Beggi (12, 17, 20, 23)
  • Ines Ashley Milanese
  • Ruiz Patrizio Saudelli
  • Un vecchio zingaro Desaret Lika, Marco Tognozzi
  • Un messo tenore Luigi Della Monica, Alejandro Escobar

Scene e costumi Kevin Knight
Luci Bruno Poet
Riprese da Andrea Anfossi
Assistente alla regia Oscar Cecchi
Maestro del coro Andrea Secchi

Orchestra e Coro del Teatro Regio

 Allestimento Teatro Comunale di Bologna


Torino, 10 ottobre 2018

Con la spada di Damocle del ventilato taglio del FUS, fluttuante tra un milione e seicentomila ed i due milioni di euro, prende il via la stagione 2018/19 del Teatro Regio di Torino. Ad accogliere l’impiccione e la gentil compagna, oltre all’affabile ed ineccepibile ufficio stampa schierato al completo per l’occasione, il nuovo sovrintendente, amico di lunga data, William Graziosi, pronto a volare il giorno appresso a Roma, in compagnia  del sindaco (il termine “sindaca” mi fa venire l’orticaria) Chiara Appendino, Presidente della Fondazione, a perorare presso il ministro competente la causa del Teatro torinese, fino a poco tempo fa considerato uno dei “virtuosi”, prima che si scoprissero le carte di una gestione a quanto pare piuttosto spensierata.

L’elegante pubblico della “prima” delle nove recite de Il trovatore, che ha sostituito la inizialmente programmata Siberia di Giordano rimandata a tempi migliori, ha applaudito con convinzione il comunicato letto in palcoscenico, presenti tutte le masse artistiche e tecniche del Regio. Un appello giusto e motivato per difendere oltre, come è ovvio, i posti di lavoro, la vita stessa di un teatro d’opera tra i più importanti in Italia, conosciuto in tutto il mondo.

La “trilogia popolare” di Verdi, che sarà rappresentata nell’arco della stagione, rappresenta sempre e comunque una sorta di salvagente per ogni teatro. Per questo Trovatore ci si è affidati alla collaudata produzione firmata da Paul Curran, scene e costumi di Kevin Knight, luci di Bruno Poet riprese da Andrea Anfossi, vista al suo debutto a Bologna nel 2005 e poi in altri posti, specie in Spagna a Bilbao, Gran Canaria e Tenerife. Ripresa con l’aiuto indispensabile di Oscar Cecchi, altro noto complice della “Barcaccia“, con alcuni ritocchi alla regia. L’azione è posticipata al Risorgimento italiano, ma con divise militari di difficile connotazione. La scena che più risente dell’impianto sostanzialmente unico, sebbene assai mobile, capeggiato da una immensa scalinata scomponibile, è quella del convento che chiude il terzo atto – l’opera è proposta in due parti: dunque nel finale della prima – con le suore, prima oggetto di violenza da parte dei seguaci del Conte di Luna e quindi “guerrigliere” al fianco di Manrico. Il lungo quarto atto è quello riuscito meglio, sia per la “tinta” notturna della scena de “la torre ove di stato gemono i prigionieri”, soprattutto nella realizzazione del carcere. Come di consueto negli ammodernamenti, Manrico non finisce sul ceppo, bensì freddato da un colpo di pistola alla nuca. Eppure nell’ottica delle molte stramberie drammaturgiche a cui è sottoposto questo titolo, l’azione passa con ritmo incalzante e con un’esposizione chiara della contorta trama del Garcia Gutierrez, anche per un pubblico digiuno di Trovatore, che poi è sempre la maggioranza.

Sul fronte musicale, sugli scudi orchestra e coro, diretto da Andrea Secchi, per la preziosa resa omogenea. Pinchas Steinberg, ormai di casa a Torino, ci propone una lettura stringata, ma anche con abbandoni lirici nei momenti di aperta cantabilità. Non gli appartiene il guizzo quarantottesco, ma sì una salda tenuta del palcoscenico ed un eccellente ricorso ad agogiche e dinamiche, molto apprezzate da tutti, a dispetto dei “soliti” tagli – salvifici per i cantanti, ça va san dire – vista l’accoglienza trionfale alla ribalta finale.

Grande successo è arriso al soprano Rachel Willis-Sorensen, Leonora dalla slanciatissima figura, elegante nella postura e forte di una vocalità sicura quanto la musicalità. La voce, superato il fastidio di un leggero vibratello, è gestita con grande duttilità anche nelle colorature. Peccato qualche fissità in acuto che suona anche un po’ “indietro”. L’esecuzione di un’accorata “D’amor sull’ali rosee” l’è valsa l’ovazione pìù convinta e lunga della serata. In ordine di “applausometro”, seconda ma solo di qualche secondo la bravissima Azucena di Anna Maria Chiuri, artista a tutto tondo che si conosce per la assoluta professionalità, saldezza ed estensione vocale – non ha azzardato, prudentemente ed opportunamente, la variante al Do acuto nella stretta del duetto con Manrico – che conferma un temperamento eccezionale, esibendo un fraseggio giustamente infuocato e risultando, a tutti gli effetti, il perno su cui gira tutta l’azione drammatica. Si capisce, così, la tentazione che ebbe Verdi di intitolarle l’opera. Applausi più che cordiali quelli riservati al Manrico del tenore messicano Diego Torre, molto attivo si dice in Australia. Piccolo di statura e parecchio robusto ha affrontato gagliardamente il ruolo dell’infelice menestrello, coronando con un ampia corona il fatidico “all’armi” della Pira, eseguita in tono. Ma la dizione lascia un po’ a desiderare e così l’articolazione della parola, a volte ingolfata quasi tenesse una patata in bocca. La prova del baritono Massimo Cavalletti, Conte di Luna, che possiede una voce benedetta da Dio per bellezza, potenza e qualità timbriche, ha avuto momenti esaltanti ed altri in ombra per alcuni scivoloni d‘intonazione, probabilmente dovuti alla tensione nervosa. Un personaggio che gli calza molto bene, ma che alla seconda ripresa del ruolo, dopo il debutto a Firenze, richiede un’ulteriore messa a fuoco. Da riascoltare, poiché sarà in crescendo in corso di replica. Corretto il puntuale Ferrando del basso In-Sung Sim, Un piacere ritrovare Patrizio Saudelli nel ruolo di Ruiz; citati Un vecchio zingaro, per la voce del baritono Desaret Lika e “l’usato messo” del tenore Luigi Della Monica, entrambi ottimi e provenienti dalle fila del coro, resta la molto presente e molto gradita, Ines del soprano Ashley Milanese che ha colpito per la incisività dei suoi tutt’altro che trascurabili interventi: un ruolo di fianco, ma voce da protagonista.         

Andrea Merli   

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