CRONACA DA CORFU’:  DIONYSIA OPERA FESTIVAL  8 – 13 settembre 2017

CRONACA DA CORFU’: DIONYSIA OPERA FESTIVAL 8 – 13 settembre 2017

Appena sbarcato, dopo cinque minuti ero già innamorato dell’Isola!” così ha dichiarato Orlin Anastassov, celebre basso bulgaro che concessosi un momento di pausa nella sua folgorante carriera, ad appena 41 anni compiuti intraprende la difficile professione di impresario. Cinque minuti? Cinque giorni musicali nella Fortezza veneziana che domina imponente la bellissima citta di Kerkyra, capitale di Corfù. Isola beata, terra dei Feaci governati dall’ospitale re Alcinoo, padre di Nausica che giocando a palla con le amiche sulla riva del mare destò il naufrago Ulisse, giunto all’ultima tappa del suo viaggio per Itaca. Isola ricca di storia antica e anche più vicina a noi, se si pensa che fu governata per oltre 400 anni dalla Serenissima che vi impiantò la coltivazione dell’ulivo per fornirsi di prezioso olio, tutt’ora prodotto da piante altissime e secolari che rendono il panorama particolarmente verdeggiante. Infatti, oltre alla fortezza sopra menzionata, il centro storico di Kerkyra si chiama Campiello, quello vicino al porto Muraya, la passeggiata porticata con i più rinomati caffè e ristoranti Liston, come quello frequentatissimo di Verona e l’antistante spazioso giardino pubblico sorge sulla Spianata, campo di Marte dei veneziani.

Tutto ciò per sottolineare il legame di quest’Isola greca, che non conobbe la devastante invasione turca, ma soffri terribilmente la Seconda guerra mondiale, specie dopo l’armistizio del 1943 quando i tedeschi si scatenarono contro le forze militari italiane che avevano occupato l’Isola, sottoponendola a continui bombardamenti ed operando poi una carneficina di massa, con il Veneto e con l’Italia da cui oggi provengono, a frotte, molti italiani accolti con un‘ospitalità e gentilezza che stupiscono.

A Kerkyra si fondò nel settecento un primo teatro d’opera italiana. Alla fine dell’ottocento però, risultando troppo piccolo, si decise la costruzione di un nuovo teatro assai simile architettonicamente alla Scala, inaugurato nel 1902. Il vecchio edificio, con le debite trasformazioni, è dal 1903 sede del municipio della città. In quel capiente teatro passarono nomi gloriosi, tanto che il detto “applaudito a Corfù” fu sinonimo di grande successo e riconoscimento artistico. Purtroppo tra gli edifici colpiti dalle bombe risultò anche il teatro. Si poteva forse recuperare, ma negli anni settanta dello scorso secolo, dopo anni di incuria, si decise che era più conveniente abbatterlo del tutto e costruirne uno moderno, a dirla tutta piuttosto brutto.

Ciò non toglie che nell’Isola ci sia una grande passione per la musica confermata dalla presenza di circa venti bande musicali e quasi tutti i corfioti, sin da bambini, vengono avviati allo studio di uno strumento. Una vera e propria stagione d’opera, però, non esisteva: qualche sporadico allestimento, più spesso in forma concertante e con accompagnamento di pianoforte, e nulla più.

L’idea di Anastassov è stata accolta con entusiasmo sia dal sindaco di Kerkyra, Costas Nikolouzos che dalla Sovrintendente del dipartimento dell’Archeologia di Atene, la signora Tenia Rigakou che parla un italiano perfetto, entrambi presenti a tutte le recite. Si è trattato, ovviamente, di un primo passo, poiché ci si è misurati sia con il luogo, la spianata occidentale della Fortezza dominata da un finto tempio greco costruito dagli inglesi durante la loro dominazione nel 1840, che con l’inevitabile amplificazione. L’affluenza del pubblico è stata in crescendo per i quattro titoli che hanno cadenzato il primo Festival Dionysia. Nell’ordine Norma, Carmen, Aida ed Il barbiere di Siviglia. Si intende, così, dare un seguito moderno alle Grandi Dionisie, festività che nell’antica Grecia celebravano Dioniso, appunto, con tre drammi ed un’opera comica equivalenti alle tre tragedie e il dramma satiresco che venivano rappresentate in quelle popolarissime festività.

Tra mille inciampi, affrontati e superati con coraggio e caparbietà, Orlin Anastassov ha garantito ai quattro titoli, proposti nell’arco di soli cinque giorni, una sostanziale dignità con punte eccezionali in alcuni solisti, autentiche rivelazioni anche per l’impiccione.

L’orchestra mutuata dal Teatro Nazionale dell’Opera di Ruse, città natale degli Anstassov in Bulgaria, ha dimostrato di essere una compagine affidabile e, soprattutto, di avere una gran duttilità nel passare da uno stile compositivo all’altro. Meno efficace il coro di Pleven, rimediato all’ultimo minuto per defezione dell’organico designato, pochi giorni prima che iniziasse la programmazione. Detto ciò, i trenta elementi che lo compongono si sono resi utili all’uopo e vanno assolti anche per il limitato numero di prove.

Defezione che non è stata l’unica, mancando all’appuntamento sia il regista di Carmen, le cui direzione ha preso Ventseslav Anastassov, fratello baritono di Orlin, che ha vestito pure i panni di Escamillo e poi di Amonasro in Aida. Le più gravi, anche perchè a distanza di poche ore dell’andata in scena, quelle del direttore d’orchestra di Aida e del tenore previsto per il ruolo di Radames. Onore al merito, dunque alla bravissima direttrice d’orchestra Viliana Valtcheva, che vanta un ottimo curriculum e che ha mantenuto la calma affrontando tutti e quattro i titoli, debuttando sia Aida che Barbiere. I miracoli, ogni tanto accadono, e speriamo di averla presto in Italia per la professionalità oltre che personalità riconoscibile in un bel gesto e nel polso vigoroso. Il tenore georgiano Mikheil Sheshaberidze, di casa all’Arena di Verona, ingaggiato per la parte di Don José in Carmen, nel giro di tre ore, senza nemmeno avere il tempo di ripassare l’opera che fortunatamente conosce assai bene, si è ritrovato nei panni del guerriero egizio ed è stato un bel colpo di fortuna.

Entrando nello specifico, darò un breve resoconto delle opere viste, documentate alcune con i rispettivi audio. “Ce n’est que un debut, continuon le combat” da ex sessantottino, quale per motivi di età mi ritrovo ad essere, conto di  poter tornare a Corfù l’estate prossima per potervi raccontare un’altra bella avventura. I titoli in programma per la stagione 2018, che si anticiperà probabilmente a metà agosto, sono molto ambiziosi: Boris Gudunov, Madama Butterfly, la ripresa di Aida e L’elisir d’amore, in cui come in quest’edizione, si esibiranno i frequentatori dell’Accademia appositamente costituita per preparare giovani talenti affidando loro anche i ruoli di fianco nelle altre opere.

NORMA – Vincenzo Bellini

Dimitra Theodossiou: Norma. Boris Lukov: Pollione. Francesca Romana Tiddi: Adalgisa. Marco Ciatti: Flavio. Despoina Pourika: Clotilde. Direttore: Viliana Valtcheva. Regia di Ventislav Petkov.

Fortezza, 8 settembre.

Al capolavoro di Bellini, forse di non massimo richiamo in una stagione all’aperto, è toccato il compito di aprire … le danze l‘8 settembre. Nonostante il tempo inclemente e il continuo stillicidio, la serata si è felicemente conclusa. Perciò va lodata l’orchestra che ha resistito laddove, in Italia, si sarebbe sospeso alle prime gocce. Viliana Valtcheva ha subito dimostrato di tenere in mano orchestra, coro e solisti, con piglio deciso ed imprimendo tempi battaglieri. La titolare, in Grecia, non poteva che essere Dimitra Theodossiou. La quale il ruolo di Norma ha interpretato tantissime volte e con grande successo, rivivendo in lei il fuoco sacro della sua Terra non meno di quanto ardesse nelle vene della sua più celebre connazionale, di cui quest’anno si celebrano i 40 anni della morte. Temperamento, sì, ma anche canto sul fiato ed un bel legato; espressività e disperazione, ma contenute senza scendere in compromessi veristicheggianti, che all’aperto sarebbero pure giustificabili. L’acuto ora è più cauto, rispetto a dieci anni fa, ma è lì, sicuro e tenuto. Seduce l’uso della mezza voce. Il suo è stato un trionfo annunciato.

Al suo fianco ha assai ben figurato l’Adalgisa di Francesca Romana Tiddi, gradevolissima scoperta. Voce “anfibia” tra soprano e mezzosoprano, ben si adatta al ruolo della “vergine alunna” concupita da Pollione. Questi era il giovanissimo tenore bulgaro Boris Lukov, assai ben preparato, efficace nel fraseggio e nell’accento, ma che forse dovrebbe affrontare un repertorio meno drammatico. Ottimo l’Oroveso Aleksey Tikhomirov, amplia voce di basso baritono e molto apprezzabili sia la Clotilde di Despoina Pourika, sortita dall’Accademia, che il Flavio del tenore Marco Ciatti, dalla salda vocalità e dal timbro maschio.

Poco da aggiungere sulla regia tradizionale di Ventislav Petkov che ha dovuto adattare ingressi e movimenti alla monumentale, sebbene falsa, facciata del tempio dorico sullo sfondo. Si prevede, per la prossima stagione, la possibilità di avere delle scene vere e proprie e non dover giostrare con il poco attrezzo. Per fortuna è risultato molto suggestivo l’uso delle luci, ben amministrate pure nelle altre opere.

CARMEN – Georges Bizet

Sanja Anastasia: Carmen. Don José: Mikheil Sheshaberidze. Escamillo: Ventseslav Anastassov. Micaela: Marika Spadafino. Zuniga: Bozhidar Bozhkilov. Frasquita: Maria Pavlova. Mercedes: Paola Roncolato. Dancairo: Georgi Dimitrov. Remendado: Yani Nikolov. Morales: Mario Arsenov. Coro di voci bianche di Corfù diretto da Christina Kalliaridou. Direttore: Viliana Valtcheva. Regia. Ventseslav Anastassov.

Fortezza, 10 settembre.

Stessa luogo, stessa scena, ma fortunatamente ottimo tempo e vento quasi nullo. Sanja Anastasia è un mezzosoprano assai noto al pubblico italiano, specie quello dell’Arena di Verona dove è stata Carmen in varie occasioni. Dotata di un naturale fascino zingaresco, bella donna con temperamento e passionalità da vendere, in scena è una magnifica sigaraia. Vocalmente il ruolo non le pone problemi e lei lo affronta con sicurezza estrema e musicalità ammirevoli. Mikeil Shasheberidze ha tutto per essere un valido Don José, presenza fisica e padronanza della scena. Conquista per il suo modo gagliardo nel rendere l’appassionato amante, sia nei trasporti amorosi che nel finale drammatico. Canta con grande generosità senza ricorrere al falsetto che affiora solo, richiesto dallo stile “opera comique“, con un filato suggestivo nell’aria del fiore. Seconda sorpresa per chi firma, la delicata e vocalmente efficace, Micaela del soprano Marika Spadafino, partecipante anche lei all’Accademia preparatoria. Voce lirica dotata di bel timbro e interprete commovente. Detto del solido ed impetuoso Escamillo del baritono Ventseslav Anastassov, va sottolineata la bella prova di un’altra “accademica”: Maria Pavlova, Frasquita, svettante e ben presente nei concertati. Ha in repertorio Lucia di Lammermoor e rimane la curiosità di ascoltarla in quel ruolo. La Mercedes di Paola Roncolato, professionista di lungo corso, oltre a cantare bene ha tenuto a bada musicalmente i contrabbandieri: il Dancairo di Georgi Dimitrov, poi Figaro nel Barbiere rossiniano, interessante baritono e il Remendado di Yani Nikolov ancora acerbo, ma dal bel timbro di tenore con possibilità di crescita nel repertorio drammatico. Completavano il cast lo Zuniga del basso Bohzidar Bozhkilov, quindi Don Basilio in Rossini, e il Morales del baritono Mario Arsenov, poi Fiorello a Siviglia. L’edizione scelta è stata la Guiraud senza recitati parlati e tagliata all’osso. Un bene per tutti in casi estremi. La regia di Ventseslav Anastassov ha sfruttato i bastioni della fortezza: nel complesso tutto è andato liscio. Bravissimi ed assai spigliati in scena i ragazzi del coro di voci bianche di Corfù, diretto da Christina Kalliaridou. Viliana Valtcheva ha ripetuto il buon esito registrato con la Norma.

AIDA – Giuseppe Verdi

Aida: Joana Zhelezcheva. Radames: Mikheil Sheshaberidze. Amneris: Anastasia Boldyreva. Amonasro: Ventseslav Anastassov. Ramfis: Eugeny Stanimirov. Re: Bozhidar Bozhkilov. Sacerdotessa: Rosa Cappon Poulimenou. Messaggero: Yani Nikolov. Regia: Orlin Anastassov. Direttore: Viliana Valtcheva.

Fortezza 12 settembre.

L’Aida sarebbe dovuta andare in scena l’11 settembre, ma forti raffiche di vento e scrosci di pioggia hanno costretto al rinvio. Motivo per cui il Maestro che aveva diretto la “generale”, Davide Crescenzi e che aveva previsto il rientro in Italia, dove l’attendevano altri improcrastinabili impegni musicali, il giorno dopo ha dovuto rinunciare. Viceversa, il tenore Boyko Tzvetanov, titolare del ruolo di Radames, ha avuto un improvviso abbassamento vocale. In queste condizioni andare in scena si è dimostrato un atto più che coraggioso, audace. Audacia premiata dalla fortuna con la benedizione di Santa Cecilia. Di fatto questa Aida, titolo che si ripeterà l’anno prossimo con altro cast, è stato forse lo spettacolo più riuscito e sicuramente il più acclamato. Non solo per la regia di Orlin Anastassov, autentico tuttofare, che ha garantito pure un ridotto, ma efficace, corpo di ballo per poter seguire lo spartito al completo di danze (cosa che, ricordiamolo, non è riuscita nell’ultima edizione in Scala), soprattutto per il cast che è parso inaspettatamente omogeneo.

Di Sheshaberidze Radames va aggiunto, a quanto scritto per il suo Don José in Carmen, che oltre al coraggio ha … scusate il francesismo … le palle. Trattasi, risaputamente, di un ruolo che fa tremare i polsi ai più grandi e dove molti ci hanno lasciato le penne. Ebbene, ha dato vita ad un Radames  coi fiocchi! Ottimo nella scena del trionfo e nel terzo atto, autorevole nella scena del giudizio e finalmente estatico con mezze voci sotto la fatal pietra. La seducente Amneris di Anastasia Boldyreva, di frequente presenza sugli italici palcoscenici, possiede bella voce di mezzosoprano acuto che si impone pure nell’Anatema lanciato ai sacerdoti. Bene l’Amonasro di Ventseslav Anastassov, vestito come un Guarany, ma paterno e terrificante nel contempo. Ottimo il Ranfis del basso Eugeny Stanimirov e lodevole la sacerdotessa del mezzosoprano greco Rosa Cappon, titolare della cattedra all’Università Musicale Ionica e preparatrice dei ragazzi all’accademia.

La sorpresa, in questo caso, l’ha riservata il soprano bulgaro Joana Zhelezcheva, Aida straordinaria. Chi sostiene che non ci sono più le voci o che si è persa l’antica scuola, ha una visione molto limitata della realtà attuale. Eppure il sottoscritto, che di voci ne sente tante e nei luoghi più impensabili, è rimasto colpito ed ammirato da questa interprete che ha tutte le doti: un timbro angelico con un corpo da lirico pieno, estensione e capacità di modulare l’acuto in messe in voce di rara suggestione: ne è risultato uno dei più bei “Cieli azzurri” mai ascoltato dal vivo. Con una tenuta esemplare del fiato e con la capacità di smorzare e rinforzare il suono stupefacenti. Per lei il trionfo, meritatissimo, della serata.

IL BARBIERE DI SIVIGLIA – Gioacchino Rossini

Georgi Dimitrov: Figaro. Anita Ognyanova: Rosina. Michael Alfonsi: Conte di Almaviva. Don Bartolo: Alfonso Antoniozzi. Bozhidar Bozhkilov: Don Basilio. Georgia Tryfona: Berta. Mario Arsenov: Fiorello/Un ufficiale. Direttore: Viliana Valtcheva. Regia: Alfonso Antoniozzi.

Quest’ultima cronaca potrebbe sembrare “in cauda venenum”, ma tant’è: non si può essere “buonisti” a oltranza. Nonostante la presenza di un’autentica bestia di teatro, qual’è Alfonso Antoniozzi, sia riuscita a salvare capra e cavoli, si deve riflettere sull’impiego di ragazzi, pur promettenti, non pronti al vaglio per prime parti e nello specifico col capolavoro rossiniano. Non si insisterà sulla impreparazione di alcuni, in palese difficoltà a ricordarsi le parole e le note, né sulla direzione d’orchestra affidata ad una pur valente direttrice, giunta però comprensibilmente esausta dopo aver preparato e diretto in pochi giorni quattro titoli tra loro completamente diversi per stile.

La recita è comunque andata in porto e ha registrato il “tutto esaurito”, poiché la voce che nella Fortezza si faceva l’opera, e bene, si era rapidamente diffusa per Corfù. Applausi dopo le singole arie e concertati, però, non possono illudere i diretti interessati cui si consiglia studio, studio ed ancora studio. In questo contesto la partecipazione di Antoniozzi, oltre che regista impegnato nel ruolo di Don Bartolo, faceva quasi a pugni col resto del cast per l’indistruttibile professionalità, per il dominio della scena e per l’ineccepibile musicalità, paragonati con l’approssimazione degli altri, in cui, oltre al tenore italiano Michael Alfonsi, Almaviva da battaglia che s’immagina più idoneo in altro repertorio, la più brava, sia scenicamente che vocalmente, è parsa la Berta del soprano greco Georgia Tryfona.

Della regia è presto detto: Antoniozzi si è superato nel ricreare dal nulla e con nulla – no scene, no costumi, no atrezzo – uno spettacolo che, pur condizionato dalla scarsità dei mezzi, parso addirittura “sperimentale“.

Andrea Merli

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