Verona PLÁCIDO DOMINGO – Antología de la Zarzuela 21 luglio 2017
Direttore d’orchestra Jordi Bernàcer
Regia Stefano Trespidi
Ligthing designer Paolo Mazzon
Con la partecipazione straordinaria della Compañía Antonio Gades
Direzione artistica Stella Arauzo
Orchestra dell’Arena di Verona
“Vi racconterò cosa mi è successo, l’emozione più profonda che ho provato in vita mia” parafrasando la canzone che ha immortalato l’irraggiungibile Concha Piquer, descrivo una serata magica e storica: quella del recital interpretato da Placido Domingo, e con lui lo stupendo soprano Ana Maria Martinez e il valoroso tenore Arturo Chacon-Cruz, l’orchestra sotto la direzione di un altro spagnolo eccellente, il valenciano Jordi Bernacer e con la partecipazione della sensazionale Compagnia Antonio Gades: Antologia della Zarzuela.
E’ risaputo che il genere lirico nazionale spagnolo appartenga geneticamente al Tenore madrileno, figlio di due grandi interpreti di Zarzuela: Placido Domingo senior e Pepita Embil; è pure noto che egli sia l’ambasciatore della Zarzuela nel mondo. Mi limito ad un esempio: a lui si deve la “prima” di Luisa Fernanda al Teatro alla Scala, sebbene in trasferta nella sede provvisoria del Teatro degli Arcimboldi. Il capolavoro del grande Moreno Torroba ha segnato indissolubilmente la sua vita e quella della sua famiglia in “terra straniera”, laggiù nella sua seconda Patria messicana.
Qui non insisterò sulla sua eccezionale longevità vocale, sulla musicalità innata, sul suo innegabile carisma, della sua generosità di interprete e delle altre molteplici qualità. No, tutto ciò è ovvio e ripetitivo. Voglio dare voce ad un sentimento che non è facile spiegare, suscitato dal canto grazie a queste musiche immortali che sono così profondamente legate alla nostra terra: Torroba, Sorozábal, Chapi, Serrano Gimenez, Soutullo e Vert e un lungo eccetera. Nell’Arena di Verona abbiamo provato la gioia di chiunque possiede un cuore, e non debba essere necessariamente un melomano, ascoltando … “Sospiri di Spagna”. Il “miracolo” è stato proprio questa tangibile emozione che ha coinvolto le oltre quattordici mila persone che gremivano i gradoni di pietra dell’antico anfiteatro romano.
La dolce nostalgia ha sedotto più di uno che non è riuscito a trattenere le lacrime ed ha aleggiato in una notte indimenticabile sotto il cielo stellato. E ‘stato un atto collettivo di amore: di un Uomo che ha si è donato e dedica la sua vita alla musica, del pubblico in delirio che gli corrisponde con affetto e gratitudine.
Per tutto ciò, e per mille altri motivi in quasi cinquant’anni di ascolto, la ringrazio Maestro. Per la “noche buena mas buena” che poteva sognare uno spagnolo e, naturalmente, tutti gli altri, tra cui l’italiano che qui si firma e che le vuole bene.
Alla traduzione dello scritto dettato dal cuore, sull’onda delle emozioni fortissime e persistenti che mi ha suscitato il mitico Placido Domingo, aggiungo pochi versi, due righe di cronaca per il lettore italiano e no.
Lo spettacolo, riuscito sebbene alcuni cambi in scena – questa mutuata con poco attrezzo dalla locale Carmen zeffirelliana – siano risultati un po’ farraginosi ed abbiano allentato la tensione, è stato molto apprezzato dal pubblico: regia di Stefano Trespidi. Suggestive le luci ideate da Paolo Mazzon ed efficaci i finali giochi d’artificio, i fuochi più o meno fatui, i coriandoli rosso gialli simboleggianti la bandiera spagnola.
Jordi Bernacer, dal podio, ha tratto il meglio dall’orchestra areniana, anche se è stata proprio la parte squisitamente orchestrale quella più penalizzata, appiattita dall’amplificazione, fortunatamente poi ridotta nella seconda parte del concerto. Le voci ne hanno risentito meno, anzi, sono parse molto naturali per la loro presenza ridimensionata nello spazio dell’arena. Tra gli aggiustamenti ed arrangiamenti, divertente quello del duetto dall’opera di Manuel Penella El gato Montés: “Me yamaba, Rafaeliyo?”, per l’occasione trasformato in terzetto sdoppiando il ruolo del tenore per permettere a Domingo d’inserirsi e dare… la botta finale.
Quindi è stata la volta dei bis. Il primo ci ha sorpreso per l’entrata del bel Placido con tanto di cavallo bianco, menzionato per altro nella “copla” di Quiroga, Leon, Valverde “Ojos verdes”, una canzone che fu lanciata nel 1941 dalla “cupletera” più famosa dello scorso secolo, Concha Piquer. Quindi la bravissima Maria Martinez ha interpretato con “gracia y salero” le “carceleras” dalla Zarzuela Las hijas de Zebedeo di Ruperto Chapì; poi è stato il turno del tenore Arturo Chacòn-Cruz che ha interpretato una commovente “La roca frìa del Calvario”, l’accorato “relato del Padre Rafael” dalla Zarzuela di José Serrano La Dolorosa. Infine il testimone non poteva che passare a Domingo, il quale ha sugellato con un’”aria degli addii”, tratta dalla Zarzuela Maravilla di Francisco Moreno Torroba, la magnifica serata.
Serata di Zarzuela, sì, ma con tanto di balletto che ha giustificato in parte i brani di De Falla e di Granados, che “zarzueleros” non sono mai stati, sebbene abbiano scritto entrambi opere su libretto in lingua castigliana. Meno giustificabile l’Entr’acte della Carmen, pasticciato col flamenco ed il “cante jondo”, che certo “fa molto Spagna”, ma che ovviamente Zarzuela non è. S’è pagato il pegno per assistere alle per altro apprezzabilissime danze della Compagnia Antonio Gades.
Uno spettacolo “formato esportazione”, in definitiva, che funziona comunque benissimo e che ci si augura, sempre con il grande Plassy, di rivedere anche in altre arene e, magari, al chiuso nei teatri.
“Voy a contarles a ustedes lo que a mi me ha sucedio, que es la emoción mas profunda que en mi vida yo he sentio” parafraseando la copla que inmortalizó la inalcanzable Concha Piquer, doy cuenta de una noche mágica e histórica: la del recital protagonizado por Plácido Domingo, y con él la estupenda soprano Ana Maria Martinez y el valiente tenor Arturo Chacòn-Cruz, la orquesta bajo la batuta de otro excelente español, el valenciano Jordi Bernacer y con la participación de la sensacional Compañía Antonio Gades: Antología de la Zarzuela.
Que el genero lírico nacional pertenezca genéticamente al Tenor madrileño es consabido, hijo de dos grandes de la Zarzuela, Plácido Domingo y Pepita Embil; que sea el embajador de la Zarzuela en el mundo también, debiéndose a él, y me limito a un ejemplo, el estreno absoluto de Luisa Fernanda en el Teatro alla Scala, si bien en la sede provisional del Teatro Arcimboldi. Esa obra maestra del gran Moreno Torroba, que marcó su vida y la de su familia en “tierra estraña”, allá en su segunda Patria mejicana.
Aquí no voy a escribir de su excepcional longevidad vocal, de su musicalidad innata, de su carisma y entrega y de sus otras múltiples calidades. No, todo eso resulta obvio y repetitivo. Quiero dar voz a un sentimiento que no se puede explicar, llevado atraves del canto gracias a estas musicas inmortales que son tan entrañablemente nuestras: de Torroba, Sorozabal, Chapì, Serrano, Gimenez, Soutullo y Vert y otro largo etcétera. En la Arena de Verona disfrutamos de ese gozo que provoca, y ya no solo al melómano mas a todo el que tenga un corazón, el escuchar “suspiros de España”. El “milagro” fue, precisamente, que este sentimiento llegara a encandilar las mas de catorce mil personas que abarrotaban las gradas de piedra del antiguo anfiteatro romano.
La dulce nostalgia conmovió a mas de uno, hasta llorar de contento y aleteó en una noche inolvidable bajo un cielo maravillosamente estrellado. Fue un colectivo acto de amor, de un Hombre que ha entregado y dedica su vida a la musica, de un publico delirante que le ha correspondido con afecto y agredecimiento.
Por esta y otras mil razones a lo largo de casi cincuenta anos escuchándole en los teatros de todo el mundo, Maestro le doy las gracias. Por la “noche buena mas buena que sonar pudo un español” y por supuesto todos los demás, incluyendo al italiano que firma y que le quiere.
Andrea Merli
I PARTE
Gerónimo Giménez
“Intermedio” da La boda de Luis Alonso
Compañía Antonio Gades
Coreografia: Mayte Chico e Stella Arauzo
Reveriano Soutullo e Juan Vert
“Quiero desterrar” da La del soto del parral
Plácido Domingo
Pablo Sorozábal
“No corté más que una rosa”
da La del manojo de rosas
Ana María Martínez
José Serrano
“Te quiero, morena” da El trust de los tenorios
Arturo Chacón-Cruz
Manuel Fernández Caballero
“No cantes más La Africana”
da El dúo de La Africana
Plácido Domingo e Ana María Martínez
Enrique Granados
“Intermedio” da Goyescas
Orchestra dell’Arena di Verona
Jacinto Guerrero
“Mi aldea” da Los gavilanes
Plácido Domingo
Reveriano Soutullo e Juan Vert
“Amor, mi raza sabe conquistar”
da La leyenda del beso
Ana María Martínez e Arturo Chacón-Cruz
Manuel de Falla
“Danza ritual del fuego” da El amor brujo
Compañía Antonio Gades
Coreografia: Antonio Gades
Pablo Sorozábal
“No puede ser ” da La tabernera del puerto
Plácido Domingo
Durata: 50 minuti
II PARTE
Manuel de Falla
“Farruca” da El sombrero de tres picos
Compañía Antonio Gades
Coreografia: José Huertas
Federico Moreno-Torroba
“En mi tierra extremeña” da Luisa Fernanda
Plácido Domingo e Ana María Martínez
Federico Moreno-Torroba
“De este apacible rincón de Madrid”
da Luisa Fernanda
Arturo Chacón-Cruz
Federico Moreno-Torroba
“Tres horas antes del día” da La marchenera
Ana María Martínez
Federico Moreno-Torroba
“Luche la fe por el triunfo” da Luisa Fernanda
Plácido Domingo
Georges Bizet
“Entr’acte” da Carmen
e Flamenco
Compañía Antonio Gades
Coreografia: Antonio Gades e Carlos Saura
Pablo Sorozábal
“Hace tiempo que vengo al taller”
da La del manojo de rosas
Ana María Martínez e Plácido Domingo
Manuel Penella Moreno
“¿Me yamaba, Rafaliyo” da El gato montés
Plácido Domingo, Ana María Martínez
e Arturo Chacón-Cruz