Milano: LA BOHEME – Giacomo Puccini, Teatro alla Scala, 5 luglio 2017
LA BOHÈME
Opera in quattro quadri
Libretto di LUIGI ILLICA e GIUSEPPE GIACOSA
Musica di
GIACOMO PUCCINI
Produzione Teatro alla Scala
Direttore: EVELINO PIDÒ
Regia e scene: FRANCO ZEFFIRELLI
Regia ripresa da: MARCO GANDINI
Personaggi e interpreti
- Mimì: Sonya Yoncheva (7, 10, 13, 15, 20 giu.; 14 lug.)
Ailyn Pérez (30 giu.; 5, 10 lug.) - Rodolfo: Fabio Sartori
- Marcello: Simone Piazzola
- Schaunard: Mattia Olivieri
- Colline: Carlo Colombara (7, 10, 13, 15, 20, 30 giu.; 5 lug.)
Gabriele Sagona (10, 14 lug.) - Musetta: Federica Lombardi
- Benoît: Davide Pelissero
- Alcindoro: Luciano Di Pasquale
Costumi: PIERO TOSI
Luci: MARCO FILIBECK
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro: BRUNO CASONI
Checché ne pensino alcuni “snob della lirica”, per i quali La bohéme firmata da Franco Zeffirelli nel 1963, fedelmente ripresa da Marco Gandini, il quale non rinuncia però ad aggiungere un po’ di farina dal suo sacco con qualche gustosa controscena, è superata e noiosa, questa è e sarà per sempre LA BOHEME.
Storica o classica che dir si voglia, ritrova ad ogni suo ricomparire il consenso entusiastico della stragrande maggioranza del pubblico, specie se si tratta di una “fuori abbonamento” nel susseguirsi di numerose recite a teatro sempre pieno.
Quando qualche strenuo difensore del “teatro di regia” deciderà, molto incautamente, di mandarla in soffitta – la soffitta in soffitta – dovrà vedersela con lo zoccolo duro di chi ama la tradizione, lo svolgersi dell’azione “nei tempi e nei luoghi” senza stravolgimenti psico-sociali assolutamente estranei sia a Murger che a Puccini ed ai suoi fedeli librettisti Giacosa ed Illica.
E dunque, scontato il prevedibile successo dell’ever green Bohéme, si parli del buon risultato, con punte di ottimo e di eccezionale, sul fronte squisitamente musicale e specialmente vocale. Iniziando dall’orchestra che, direttore permettendo, questa partitura può eseguire ad occhi bendati, con una bellezza di suono ed un’armonia difficilmente eguagliabili. Evelino Pidò, direttore di lunga carriera, guida in buon porto una lettura che, a momenti, si vorrebbe più serrata, ma che nel suo adagiarsi in tempi allargati trae il massimo della poetica pucciniana, non tanto e solo nelle canoniche arie, quanto nell’espandersi amoroso e languido di duetti e scene d’assieme: il finale del primo atto, ma soprattutto nella scena tra Mimì e Marcello e quindi tra Rodolfo e Mimì del terzo e in tutto il finale quarto del fatidico “Sono andati, fingevo di dormire”.
Grande successo anche per i due protagonisti, tenore e soprano: di Fabio Sartori, come apre bocca, ci si dimentica dell’aspetto “pavarottesco” gestito per altro con grande scioltezza scenica, ammaliati da una voce dal timbro maschio, ricca di armonici, che si espande nella non felicissima acustica della sala del Piermarini quasi fosse amplificata. Stupisce, anche per chi lo conosce bene, la duttilità dello strumento, forte di una tecnica solidissima, che gli permette di raccogliere il suono in piani e pianissimi in voce e gli consente un legato suggestivo. La “gelida manina” suona mezzo tono sotto, ma conta poco mezza nota sulla prestazione complessiva in cui, oltre allo sfoggio di colori e dinamiche, gli riesce di toccare le corde del sentimento e far provare un dolce brivido nella scena finale.
Bravissima Ailyn Pérez, che nel ruolo di Mimì ritorna alla Scala riconfermando qualità indiscutibili, sia sul lato specificamente vocale, pure lei dotata di tecnica scaltrita, che soprattutto su quello puramente esecutivo. Perfettamente in parte nel ruolo della sfortunata e malaticcia, ma fremente e appassionata fioraia, può ricordare per limpidezza nell’emissione e per la sublime naturalezza del fraseggio la Mimì dell’indimenticata Victoria De Los Angeles, laddove la semplicità è insita nella freschezza e nell’ingenuità di un personaggio in cui pare superfluo cercare artificio o peggio il calcolo. La Pérez è Mimì e tanto basti.
Il resto del cast non è stato da meno, continuando col gioviale ed assai ben cantato Marcello di Simone Piazzola, sciolto in recitazione e in piena forma vocale, con il solido e maturo Colline di Carlo Colombara, che si è guadagnato un bell’applauso dopo la sua magistrale “Vecchia zimarra”. Assai maturato il mercuriale Schaunard del giovane baritono Mattia Olivieri, una prova con i fiocchi. Ben integrata la bella Musetta di Federica Lombardi, cui non riesce di smorzare il fatidico Si acuto a conclusione del valzer, ma che è molto presente sia musicalmente che scenicamente. Ottima la distribuzione delle parti di fianco: il collaudato e ben interpretato Benoit del baritono Davide Pelissero, il patetico Alcindoro, eseguito alla perfezione dal basso Luciano Di Pasquale. Un vero lusso il Parpignol del tenore Francesco Castoro, solista dell’Accademia di perfezionamento della Scala, come del resto i bravi Gustavo Castillo baritono, Rocco Cavalluzzi, basso rispettivamente Sergente e Doganiere e Jeremy Schutz, il venditore di prugne di Tours.
Bene benissimo il coro, sempre ubbidiente a Bruno Casoni e le voci bianche dove ha spiccato uno squillante bimbo, intonatissimo con “Vo’ la tromba e il cavallin!”.
Andrea Merli