Las Palmas di Gran Canaria: RIGOLETTO 27 maggio 2017
opera in tre atti
libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma di Victor Hugo Le Roi s’amuse
musica di Giuseppe Verdi
Direttore: Ramòn Tebar
Regia: Mario Pontiggia
Personaggi e Interpreti:
- Rigoletto: Leo Nucci
- Gilda: Elisandra Melian
- il Duca di Mantova: Antonio Gandia
- Sparafucile: Roman Ialcic
- Maddalena: Juliette Galstian
- il Conte di Monterone: Kiok Park
- Matteo Borsa:Yauci Yanes
- Marullo – un Usciere: Qipeng Tan
- Il Conte di Ceprano: Elu Arroyo
- Giovanna: Rosa Delia Martìn
- la Contessa di Ceprano: Monica Soria
- un Paggio: Marisa Dorta
Coreografia e costumi: Claudio Martin
Luci: Alfonso Malanda
Orchestra Filarmonica di Gran Canaria
Coro dell’Opera di Las Palmas di Gran Canaria
Direttore del Coro: Olga Santana
Produzione ACO
“Ho deciso di smettere entro la fine dell’anno” così confida con aria un po’ sorniona il “Leo nazionale” sorpreso al trucco nel camerino del Teatro Pérez Galdos di Las Palmas di Gran Canaria poco prima di andare in scena per l’ultima recita sull’Isola del suo 528esimo Rigoletto, RIGO – LEO per gli intimi. Recita trasmessa in diretta su un mega-schermo nella piazza antistante il retro del teatro per soddisfare del tutto gratuitamente coloro che si erano lanciati nell’affannosa ricerca di un biglietto, senza trovarne.
“Non ci credo nemmeno se lo giuri sulla cosa più sacra” la altrettanto divertita risposta. “La mia nipotina più piccola mi ha intimato: quand’è che ti decidi a fare il nonno?” insiste Leo, ma io e l’Adriana ci scambiamo un’occhiata d’intesa, soprattutto perché sappiamo che il “nonno” è inarrestabile. La sua vita è il teatro, lo si è capito da un pezzo. E del resto, come dargli torto? Checché ne dicano i detrattori ad oltranza, e ci sono coloro che lo avrebbero pensionato già una ventina di anni fa, all’alba dei suoi primi 75 anni Nucci si presenta in forma sia fisica – controllatissima da lui stesso che si esegue l’elettrocardiogramma dopo ogni “Vendetta”, regolarmente bissata, e lo invia via e-mail al suo cardiologo – che vocale strepitose.
Sulla sua immedesimazione col Gobbo inutile insistere ed aggiungere altro. Leo Nucci, come l’Araba fenice, si ricrea recita dopo recita aggiungendo e modificando non la linea musicale, sempre perfettamente aderente al dettato verdiano, bensì le inflessioni, le pause, le intenzioni, gli accenti: ogni sua interpretazione si trasforma in una “classe magistrale” di grandissima scienza scenica e di tecnica vocale. In ciò si aggiunga l’innegabile carisma che, sommato alla totale adesione al personaggio –ormai sua seconda pelle – contagia il pubblico ad ogni latitudine, sera dopo sera.
Il “miracolo Nucci” si è ripetuto, puntualmente, nell’Isola dove lo attendevano con spasmodica attesa melomani, amici e colleghi da tutta la vita – e ne cito solo due appartenenti al gentil sesso: Maria Isabel Toron, che per altro fu la prima Maddalena nel Rigoletto con Alfredo Kraus che inaugurò la prima stagione il 7 dicembre del 1967, ed Isabel Rey che con Nucci ha diviso spesso la scena – e un folto pubblico che l’anno scorso rimase molto deluso della sua improvvisa defezione per il programmato Simon Boccanegra, causa un fortunatamente superato problema di salute. Arrivare a Gran Canaria e sentire anche dal taxista tessere le lodi di Nucci e del suo Rigoletto è stato tutt’uno. Insomma, un evento che ha coinvolto gran parte della popolazione, non necessariamente melomane, e che ha dato ulteriore lustro culturale ad un’Isola che della musica va fiera; in ciò si ringrazia ancora una volta e sempre sia i numerosi sponsor privati che le istituzioni che vi partecipano con forti contributi, per tutti il Patronato del Turismo e ovviamente gli amici della ACO, Asociacion Canaria amigos de la Opera.
Il teatro era comprensibilmente tutto esaurito, le due barcacce di proscenio occupate dagli operatori per la ripresa TV. Molto impiccionescamente ho disdegnato l’ottimo posto assegnatomi, di prima fila in balconata per sedermi invece in un angolo della barcaccia e poter, così, godere da vicino i cantanti e vedere il direttore d’orchestra. Una postazione che, regista e spettacolo permettendo, mi piace occupare ogni volta è possibile.
Lo spettacolo, del resto, io lo conosco bene e l’ho pure già recensito quando si presentò la prima volta, nel maggio del 2012: vi cantavano Alberto Gazale, Ivan Macrì e Nino Machaidze, tra gli altri e dirigeva Stefano Ranzani. Allora come oggi la regia e le scene sono firmate da Mario Pontiggia (le luci le cura Alfonso Malanda, la coreografia ed i costumi si debbono a Claudio Martin, mentre il Maestro preparatore e la direttrice di palcoscenico, sono rispettivamente il nostro Marino Nicolini e la efficientissima Laura Navarro) che ha creato un’ambientazione storicamente fedele e drammaturgicamente ideale, servendo su un piatto d’argento l’opera agli interpreti. La consolidata tradizione gli concede l’estro anche per alcune sottolineature: per esempio e molto efficace quella in cui il Duca, in veste di Gualtier Maldè, legge un poemetto che principia con le fatidiche parole “E’ il sol dell’anima” e che quindi consegna all’innocente fanciulla. Tutte fedeli alla drammaturgia originale che, per altro, non ha mai avuto urgenza di essere rinnovata. E dunque gli si è grati, immagino gli interpreti con Nucci in testa, per averci riproposto un Rigoletto “come Dio (Verdi e Piave, cioè) comanda”!
Nucci era assai ben affiancato dal tenore Antonio Gandia, originario del paese valenciano, ma di carriera internazionale. E’ stato un piacere riascoltarlo e godere della sua veemente interpretazione del gagliardo “antieroe” godereccio e cinico. La presenza scenica, giovanile e scattante, si sposa con una voce dal timbro accattivante e personale, con un fraseggio scandito a meraviglia e con una proiezione generosa del suono, sempre “in avanti” e dotata di apprezzabile squillo nell’acuto. In Spagna, nell’Isola specialmente di tenori ci si intende e si amano questo tipo di voci “espada” che si stagliano con la lucentezza dell’argento. Il successo che ha ricevuto è stato prevedibile e comunque meritatissimo.
Assai felice il debutto di ruolo di una giovane e promettente voce locale, quella del soprano Elisandra Meliàn che a dire il vero si era già notata in altri ruoli di minor importanza, ma che comunque ne avevano messo in rilievo le qualità. Una Gilda, la sua, trepidante e commovente, con il colore e l’aspetto della fanciullezza, ma anche con la determinazione che la porta al sacrificio per amore. Musicalmente ineccepibile, sciolta nelle agilità del “Caro nome” ed estesa fino al fatidico Mi bemolle conclusivo della “Vendetta” che, come anticipato, è stata puntualmente bissata davanti al sipario, un “Bonus” che ormai è una costante e che il pubblico pretende da Nucci e che lui concede sempre gioiosamente, divertendosi a variarlo rispetto alla esecuzione che conclude l’atto secondo. Anche qui si coglie l’intelligenza e la simpatia dell’Artista. La Meliàn, essendo del loco, è stata accolta con speciale affetto e calore ed alle grida di “bravo” si è aggiunto anche un impiccionesco “brava”!
Benissimo l’Orchestra Filarmonica di Gran Canaria, ubbidiente alla bacchetta impetuosa del pur bravo e molto festeggiato Ramòn Tebar, pure lui valenciano. Qualche dinamica prevaricante e dei tempi talora un po’ stretti, si pensi alla precipitosa cabaletta del tenore, hanno caratterizzato una lettura assolutamente condivisibile ed apprezzabile. Molto lodevole anche il lavoro di Olga Santana, Maestro del coro questa volta impegnato, risaputamente, solo quello maschile. La lista delle parti di fianco ha avuto la meglio con gli isolani: in particolare l’interessante tenore Yauci Yanes, Matteo Borsa ed il veterano basso Elu Arroyo, Ceprano. La Maddalena del mezzosoprano armeno Juliette Galstian è dotata di voce sonora e di presenza notevole, come del resto il basso moldavo Roman Ialcic, più impressionante per la figura che per la voce dalla dizione spesso ingarbugliata. Nell’ambito di una certa modestia il resto, con la presenza di un baritono cinese e di un basso koreano che, sinceramente, non sono parsi all’altezza né di Marullo né tanto meno di Monterone. In molti ci siamo chiesti se su suolo ispanico non si sarebbe potuto trovare di meglio. Domanda retorica che non ha inficiato il risultato di una serata per molti versi memorabile.
Andrea Merli